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Antony Blinken, un “falco” pronto a spiccare il volo?

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Antony Blinken, un “falco” pronto a spiccare il volo?

Hillary Diane Rodham Clinton, già Emerita First Lady dell’Emerito Presidente Bill Clinton, nonché Emerito Segretario di Stato dell’Emerito Presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, ha intervistato il suo Emerito consigliere Antony Blinken, Segretario di Stato in carica del neo eletto Presidente Joe Biden, a sua volta Emerito Vice-Presidente di Obama.

Tanto benemerito merito dei molti Emeriti è finito non sulle colonne di un anonimo e polveroso Bollettino ministeriale, bensì sul prestigioso sito informativo web del Dipartimento di Stato[1], dal quale una teorica delle Relazioni Internazionali del calibro della Clinton si è premurata con attenta squisitezza di svezzare alla stampa dell’Orbe intero il non proprio neofita Blinken, attesi i suoi encomiabili sforzi e trascorsi per esportare la democrazia sulle ali argentee delle aquile dell’USAF (United States Air Force) in Iraq, Siria e Libia.

Dall’interessante articolessa, sotto forma di delicato duetto via podcast, emerge innanzitutto che il quasi negletto Blinken, alias B, è smanioso, Covid 19 permettendo, di uscire finalmente dalle tetre stanze ministeriali del Dipartimento di Stato, per “visitare, lavorare e impegnarsi con i nostri alleati e partner”, al punto che nomina la parola allies ben sei volte in relazione alle questioni più cruciali, ma soprattutto per chiamarli a raccolta contro la Cina.

“Whether it’s the adversarial piece, whether it’s the competitive piece, whether it’s the cooperative piece, we need to be approaching China from a position of strength.  And what I think that means is a few things.  It means with our partners and allies, not without them.  Those alliances, those partnerships are a source of strength in dealing with China.” (Che sia un soggetto avversario, competitivo o cooperativo, abbiamo bisogno di affrontare la Cina da una posizione di forza. Io penso che ciò voglia dire una sola cosa da fare. Significa con i nostri partners e alleati, non senza di loro. Queste alleanze, questi partenariati sono una fonte di forza nel trattare con la Cina)

Intanto, nel novembre 2020 la firma del Regional Comprehensive Economic Partnership / Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP)[2], tra la Cina e altri quattordici Paesi dell’Indo-Pacifico[3] (Australia, Brunei, Cambogia, Cina, Indonesia, Giappone, Laos, Malaysia, Vietnam, Birmania, Filippine, Nuova Zelanda, Singapore, Corea del Sud, Thailandia) riguardante il 30% dell’economia e della popolazione mondiale, ha escluso gli USA, per volontà di Trump, che si è tirato indietro dalle intese preliminari. Tutto questo Blinken lo sa? Forse le sue sicure competenze sinologhe sono celate così bene per non concedere alcun vantaggio gratuito all’insidioso avversario sistemico.

Gli Stati Uniti, lungi dal ritirarsi dall’Europa, dove si sono impiantati dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, e intendono restarci, ritengono prioritario in questo momento storico focalizzare le proprie attenzioni maggiormente sul mondo asiatico. I dossier degli europei possono aspettare, o al più siano essi a risolverli tra di loro, ammesso che siano capaci. I nuovi problemi, creati nel Mar Mediterraneo dalle infernali Primavere arabe al tempo ruggente degli apprendisti maghi della novella meteorologia politica degli Emeriti, possono andare in putrida marcescenza, purché piovano lontano dalle linde e spumeggianti coste oceaniche americane.

Da un lato Washington raduna gli alleati e squilla le sette trombe di corno sotto la Muraglia cinese, senza che questa crolli su sé stessa, ma dall’altro Blinken è dimentico della storia errante delle Relazioni Internazionali americane. Fu il solipsista Presidente George Bush senior, ex ambasciatore a Pechino, ad ammettere d’imperio la Cina nel WTO, pur non avendone tutti i requisiti, su pressione lobbistica del Dragone. I tremendi disastri occupazionali nei distretti industriali italiani desertificati sono ancora evidenti. Molte piccole e medie imprese sono state scovate e schiacciate dalla repentina concorrenza a tutto campo e dalla impossibilita di sostenere i costi accelerati dell’innovazione, soprattutto di prodotto e produzione.

Nell’analisi delle linee di politica estera di Blinken va evitata una visione eurocentrica delle problematiche mondiali.

Il profilo di Blinken sembrerebbe a prima vista quello di un multilateralista filoeuropeo. Ma bisogna intendersi sul punto, dato che lo stesso B adopera sottilmente il sintagma linguistico e filosofico “mean” per sette volte nell’idillio con la Clinton e che è stato assertivamente uno dei maggiori sostenitori della fulgida e lungimirante dottrina Obama, così dallo stesso riassunta: “we will engage, but we preserve all our capabilities.” (Ci impegneremo, ma conserviamo tutte le nostre capacità.)

Gli insuperabili capolavori strategici dell’amministrazione Obama, in grado di profilare i russi in Cirenaica, il caos in Siria e in Libia e un crescendo di tensioni tra la prorompenza della Turchia e i suoi vicini, non hanno bisogno di essere ulteriormente sottolineati. Blinken viene accreditato come uno dei migliori esperiti dei democrats americani di Medio Oriente, da oltre un ventennio, nel corso del quale ha accumulato un’esperienza imbattibile. Forse i munifici qatarioti che si vedono precluse a nord e a est le vie di costruzione dei metanodotti per esportare il loro gas in Europa, nutrono profondi pensieri divergenti, ma questo conta relativamente poco nella potentissima e lontanissima America … a meno che non intendano fare lobbying a Washington. 

Obama su theatlantic.com[4] ha recitato l’ennesima e inutile mea culpa sull’intervento in Libia del 2011, definendolo il suo “peggior errore”. In privato è molto più confidenziale, poetico e soave: sciorina e sublima una pudica “shit show”, imputandola alla scarsa antiveggenza pianificatoria degli alleati, già pacificamente acclarata in Afghanistan e in Iraq, dove gli USA hanno vinto la guerra, ma perso la pace, perché non hanno saputo e voluto ricostruire. In compenso sono stati eccezionalmente bravi e capaci nell’aprire più larghe piste migratorie verso i paesi alleati dell’Europa, salvo vedere innalzate alte mura al confino col Messico.

Blinken è un fedele e sincero europeista del nord, come lo è stato Obama con Sarkozy, da lui signorilmente definito “un coq nain, qui bombe le torse,” (un gallo nano che gonfia il petto). Altri lodevoli e lusinghieri giudizi del Presidente non sono qui riportabili a causa dell’inderogabile netiquette.

Le pochissime idee, ma saldamente fuse insieme, sui rapporti tra Germania e Cina verso gli Stati Uniti, hanno impedito al multilateralista filo americano Blinken di enucleare e implementare una visione complessiva e compiuta dei rapporti, in attesa dei punti di vista della Russia e dell’UE, dei quali fin ora gli USA hanno fatto a meno, sebbene la Germania sia il principale partner commerciale europeo della Cina e la Cina sia il principale importatore dei prodotti energetici russi, seguita dalla Germania. Sull’espansionismo turco si può predire quale sarà la non-risposta opportunistica di B, proprio perché ha visto che nell’emancipata Turchia, tutt’ora importante alleato degli USA, c’è del marcio, almeno quanto nella Danimarca di Amleto.

Nel frattempo la Marina Militare italiana, che detto per inciso è una Marina di prima linea, è stata cortesemente invitata da zio Sam a pattugliare il lontano Mar Cinese Meridionale, in nome della sacra libertà di navigazione, affinché i cinesi non lo trasformino in un proprio Mar Mediterraneo di loro esclusiva pertinenza, da cui lanciare un domani la sfida per il controllo dei Sette Mari agli Stati Uniti. Con ogni probabilità la Marina Militare cinese farà con le navi italiane quel che fa periodicamente da anni con le francesi: prenderà la flottiglia tricolore in consegna, in una sorta di regata non competitiva; educatamente la scorterà fino a fine missione e la commiaterà cortesemente fuori da quelle che sono ritenute le acque della zona economica esclusiva nazionale.

Blinken non si chiede responsabilmente cosa possano fare gli Stati Uniti in favore degli alleati europei, tanto più se ci sono di mezzo Grecia, Italia, Francia e Turchia. Semmai si domanda in modo divisivo cosa possano fare utilmente i più fedeli alleati per gli irresistibili Stati Uniti.

Quando si è nella stessa Organizzazione difensiva con i diversamente alleati autonomi Obama, Clinton, Sarkozy, Erdogan e Blinken non si sente il minimo bisogno di avere nemici lontani come Xi Jinping. Qualche vigoroso “no” ben assestato a ragione lo si può opporre anche ai nord europeisti e ai multilateralisti filo statunitensi amletici, quando sono in gioco i fondamentali interessi italiani, altrimenti abbiamo una timida Marina Militare di tutto rispetto, buona solo per fare le crociere d’altura su ordine e necessità degli alleati, ma che, appena fuori casa, si fa mettere in scacco da quella turca, mentre protegge il naviglio italiano, intento a perforare fondali marini non appartenenti alla Turchia[5].

Dopo tutto la Francia per conto della Total si oppose all’invasione dell’Iraq nel 1991. L’Italia del titubante Berlusconi non fu capace di impedire gli sciagurati, ignominiosi e folli bombardamenti sulla Libia e di tutelare l’ENI, quantunque Muammar Gheddafi non avesse invaso nessun Stato confinante, come invece aveva fatto Saddam Hussein col Kuwait. L’arrembante Turchia, nel vuoto temporaneo di potere lasciato dagli USA, ma anche dall’irenismo dell’Italia, si sente libera di fare quel che crede, tanto più nella relazione con la “Grande Sorella” Cina, cui è legata da stretti vincoli finanziari e commerciali, utilizzati per estendere le nuove Vie della Seta nel Bacino del Mediterraneo.

Quel che avviene in Estremo Oriente è dannatamente importante per l’Italia, tanto più se gli Stati Uniti in quell’area seguono linee politiche ondivaghe.

Ovunque la trasmissione della Scienza Diplomatica per infusione diretta ha dato pessimi risultati. Gli esperimenti incontrollati dei Clinton e dei Bush lo dimostrano platealmente. Grazie al Cielo ci sono stati risparmiati le Bushetta e le Barake.

Forse gli strumenti tradizionali di indagine sono fallaci e inadeguati per interpretare le dinamiche e le interazioni claniche all’interno del Dipartimento di Stato. Non resta che confidare in bravi antropologi per sceverare tra gratuità e contoterzismo nei prossimi nefasti stereotipi della scuola di B.

Caveat! Questo è un terreno particolarmente infido e scivoloso per l’Italia, a causa degli aggiramenti diplomatici oscuri e inconfessabili, nei quali alcuni nostri alleati e avversari eccellono.

Però, chiediamoci anche se l’Italia ha una politica estera diversa dal fanciullesco, insensato e aberrante affidamento mero e accomodante.


[1] https://www.state.gov/secretary-antony-j-blinken-with-hillary-clinton-you-and-me-both-with-hillary-clinton-podcast/

[2] https://www.ilsole24ore.com/art/la-cina-firma-14-paesi-piu-grande-patto-commerciale-pianeta-ADWqHU2

[3] Sugli sviluppi dell’area Indopacifica, v.d. https://aldogiannuli.it/indo-pacifico-un-approfondimento/

[4] https://www.theatlantic.com/international/archive/2016/04/obamas-worst-mistake-libya/478461/

[5] https://www.repubblica.it/esteri/2018/02/23/news/eni_cipro_saipem_nave_piattaforma_tuschia_speronamento-189577201/

Luca Colaninno Albenzio, già avvocato, è abilitato all'insegnamento di scienze giuridiche ed economiche negli istituti di istruzione secondaria di II grado. Si occupa di Contabilità Pubblica; è' autore sotto pseudonimo di numerosi interventi di politica estera sul sito www.aldogiannuli.it, dove pure si cura della newswire "ACME NEWS".

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