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Eugen Weber,un impressionista della storia

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Eugen Weber,un impressionista della storia

Gli USA non sono stati terra adottiva solo di scienziati e matematici mitteleuropei, ma anche di grandi storici come Nagy-Talavera ed Eugen Weber, ed è proprio questo impressionista della storia che andiamo a tratteggiare
Eugen Joseph Weber nacque a Bucarest il 24 aprile 1925, figlio di Sonia ed Emmanuel Weber, un industriale benestante romeno. Il precettore privato di cui i suoi genitori si avvalsero quando lui aveva 10 anni, risultò inadatto per la curiosità del ragazzo, che, all’età di 12 anni, su sua richiesta, venne mandato all’Ashville College nelle Yorkshire. Avrebbe studiato la Romania, ma non ci avrebbe mai più vissuto. Anzi, tra il 1943 e il 1947 servì per l’esercito di Sua Maestà Britannica e si unì a The King’s Own Scottish Borderers, arrivando al grado di capitano e combattendo in Belgio, Germania e India. Conosceva la lingua e la letteratura inglese in maniera perfetta ma fu la storia francese ad attrarlo e dopo il servizio militare studiò all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi. Fu in quel periodo che conobbe la moglie, Jacqueline Brument-Roth, sposandola nel 1950. Tornato in Inghilterra, per un dottorato sulla destra nazionalista francese prima del 1914, sotto l’egida di David Thomson, la sua tesi fu inizialmente respinta dall’’esaminatore esterno, Alfred Cobban dell’Università di Londra, perché non la ritenne sufficientemente documentata. L’errore esiziale di valutazione del college inglese fu un guadagno per gli USA, perché Weber si spostò in America, dapprima all’Università dell’Alberta in Canada (1954-1955), poi in Iowa e infine, nel 1956, alla UCLA (Università della California), diventando titolare della cattedra di Storia Europea, Presidente del Dipartimento (dal 1977 al 1982), Decano della Facoltà di Scienze Sociali e del College, vincitore di numerosi premi (come il Distinguished Teaching Award) e conferenziere brillante e vero Maestro per molti sul mestiere di storico, trasformando il dipartimento di storia in uno dei migliori del paese. La sua tesi di dottorato respinta a Cambridge venne pubblicata nel 1959: “Il risveglio nazionalista in Francia, 1905- 1914”. Fu un vero successo con numerosissime ristampe anche in Francia. E sulla storia dell’Hexagone ha scritto delle vere e proprie pietre miliari, opere vivide, con uno stile scintillante, spiritoso, ricco di aneddoti curiosi per portare il passato ad essere rilevante per il lettore presente. Del resto in una intervista del 1999 al Toronto Star, Weber fu chiaro: lo studioso, lo storico in particolare, deve avere il desiderio selvaggio di trasmettere quello che ha appreso, deve essere felice di stampare un’opera o tenere conferenze, anche se a seguirlo sono in pochi. Il motore dello storico, come egli stesso confessò nelle riflessioni autobiografiche che aprono “La mia Francia” (1991) è l’incurabile curiosità, la riluttanza di accettare l’accettato, la volontà di vedere cosa si cela dietro i luoghi comuni e gli stereotipi e il desiderio di raccontarlo.

Da questa disposizione d’animo sono nate le sue opere magistrali, ad iniziare da “Action Française: realismo e reazione nella Francia del ventesimo secolo” (1962) in cui analizza il movimento ultranazionalista francese tracciandone i confini e le distinzioni col fascismo italiano e le convergenze con gli autoritarismo di sinistra. Impossibile poi non dedicare qualche parola a “Ginnastica e sport nella Francia di Fin-de-Siècle: oppio delle classi?” (1971), in cui, da pioniere, delinea non solo una prima storia dello sport in sé, ma l’uso politico che le forze politiche (perdonate la ripetizione) ne avevano fatto, in una visione di rigenerazione nazionale.

Più che alle meditazioni degli intellettuali dei vari periodi da lui studiati, Weber era interessato alla vita quotidiana delle masse. E così, con stile ricco di spirito ha raccontato dettagli su bagni, ristoranti, sport e tempo libero e la reazione alle allora nuove tecnologie come l’elettricità e il telefono. Il capolavoro in questo senso fu “Da contadini a francesi. La modernizzazione della Francia rurale (1870-1914)” in cui Weber, con una ampia ricerca sociologica e demoscopica, evidenziava come prima della fine del XIX secolo, in molte aree della Francia era il dialetto locale a dominare, con un legame tra persone e province che spesso superava, in robustezza, quello nazionale. Tra il 1870 e il 1914, merito dell’assetto terzo-repubblicano, forze statali nuove arrivarono in quelle campagne: oltre la chiesa, ci fu un incremento delle scuole, la costruzione di strade e ferrovie, l’economia di mercato e il sistema giudiziario che resero le masse contadine sempre più coscienti dell’esistenza nazionale. Il libro, pubblicato nel 1976, destò grande interesse in Francia, tanto che l’anno seguente Weber venne insignito dell’ “Ordre National des Palmes Académiques” per il suo contributo alla cultura francese. Certo nel corso degli anni si sottolineò come non tutta la campagna francese fosse adattabile alle tesi di Weber, ma il libro rimane un racconto ricco, erudito e caleidoscopico della Francia rurale. In linea insomma con ciò che Weber pensava dovesse essere il mestiere dello storico.

In un articolo del 22 luglio del 1984 per il New York Times dal titolo “La storia è ciò che fanno gli storici” Weber, che raramente parlava della sua idea di storia,  sosteneva che “la storia è ciò che gli storici hanno la visione di trovare, o ciò che hanno scelto di fare; quindi ci sono solo storie parziali […] Come per i romanzieri, la loro interpretazione sta nella storia che raccontano. La descrizione è narrazione; la narrazione è spiegazione; non esiste una spiegazione storica in senso scientifico, solo una descrizione esauriente”. E così la comprensione storica diviene “un’illusione retrospettiva, se non altro (ma non solo) perché il futuro inevitabilmente arricchisce il passato e lo colora. […] è lo storico che fa l’evento, o lo rifà, a partire dall’evidenza su cui ha il buon senso o la fortuna di pensare. La storiografia non è arbitraria, ma soggettiva.” La storia per Weber non aveva un metodo preciso, perché è fortemente dipendente da chi la scrive, il quale, inevitabilmente osserva il passato con i medesimi occhi con cui guarda il presente. Il Mondo della Storia è un mondo che conosce il caso nella definizione che ne diede Poincaré: la spiegazione storica rende intelligibile un evento ma non lo inserisce in una legge. Riportiamo le sue parole “La storia spiega come accadono le cose, le circostanze in cui la mela è caduta dall’albero. La scienza rivela perché cadono le mele. Scoprire una legge scientifica è scoprire un’astrazione che funziona. Nella storia, le astrazioni possono essere una scorciatoia necessaria, ma possono facilmente portare fuori strada” ; e ancora “Il riferimento a concetti generali, come la lotta tra classi o tra campagna e città, rende la storia più intelligibile e più misteriosa, e immerge il lettore in un’atmosfera allegorica in cui le cose assumono più significato di quanto dovrebbero avere. Ma universali e astrazioni sono solo nomi, e la storia non ha bisogno di principi esplicativi, solo parole per dire come stavano le cose. La storia è nominalista”. La Storia di Weber è una storia che ama la concretezza e cede poco alle lusinghe dell’astrazione. Così difficilmente si era visto Weber esprimersi sulla storia in senso astratto, perché lo storico serio ha meno idee sulla storia rispetto a un dilettante ma si impegna a ordinare i fatti per raccontare la sua storia. Egli non deve cercare teorie ma informazioni, documenti e idee su come trovarli e gestirli. Poiché sono i documenti la base storica, il progresso del sapere storico non è in “profondità”, ovvero non cerca di scoprire leggi nascoste o cause ultime, ma è in “ampiezza” , nella presa di coscienza di una visione sempre più larga del reale.

Questa sua concezione la ritroviamo della sua opera più voluminosa, le circa 1300 pagine di “Una storia moderna dell’Europa: uomini, culture e società dal Rinascimento al presente” del 1971 da cui sono tratte le 52 lezioni/conferenze televisive, di circa 30 minuti,  prodotte dalla stazione televisiva pubblica di Boston WGBH, che riscossero buon successo di pubblico, del 1989 dedicate alla storia occidentale (”The western tradition”)

Agnostico ma profondo lettore della Bibbia, amante di pipa, sigaro e brandy, teneva una rubrica, la “LA Confidential” per The Times Book Review dal 1999 al 2005, in cui recensiva il genere letterario che più amava: il thriller. Il dipartimento di Storia Europea Moderna della UCLA è ora a lui intitolato. Morì il 17 maggio 2007 per un cancro al pancreas nella sua casa di Brentwood (LA).

52 – Lacheroy, il controrivoluzionario

53 – John McDowell, un gigante della filosofia

54 – Gianroberto Casaleggio e il web come agorà politica

55 – Vigdis Finnbogadottir, una statista per l’Islanda

56 – Eugene Weber, un impressionista della storia

I ritratti dell’Osservatorio

Laureato magistrale in Scienze Filosofiche all'Università degli Studi di Milano, è attualmente consigliere comunale nel paese di Cesano Boscone.

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