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VectorRobotics, il decollo dei giovani campioni italiani dei droni

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VectorRobotics, il decollo dei giovani campioni italiani dei droni

Con Gabriele Giorgini, Chief Operating Officer di Vector Robotics, continua il viaggio di Amedeo Maddaluno nell’Italia che innova. Oggi si parla di droni. Buona lettura!

 La vostra azienda è un gioiellino del mondo dei droni e opera insieme ad un’altra punta di lancia dell’hi-tech. Come nasce  la vostra esperienza? E la collaborazione con NPC? 

VectorRobotics è una startup relativamente giovane, fondata ufficialmente solo nel 2021, ma con parte dei progetti  presentati negli ultimi mesi in studio almeno dall’autunno 2019. Ognuno dei membri del team vanta un’esperienza  più che decennale nel proprio settore di competenza e abbiamo tutti maturato esperienza per le cose volanti in tempi  non sospetti, quando le ground station si chiamavano ancora radiocomandi e usavano quarzi con frequenze  nell’ordine dei pochi MHz. Negli anni ci siamo via via specializzati, andando a ritagliarci la nostra “nicchia” di mercato. In particolare con Vector uno dei nostri obiettivi era quello di riuscire a sviluppare droni di piccole dimensioni, perché  fossero discreti, poco invasivi e soprattutto inoffensivi in caso di impatto. Per ottenere questo risultato è stato 

necessario individuare materiali innovativi, emancipandoci dai semplici compositi utilizzati da tutti ed implementare  una componentistica, intesa come sensori, camere, autopiloti, il più miniaturizzata possibile. Cercando quindi dei partner esperti nei micro-componenti è stato facile affiancarsi a chi costruisce nano satelliti  dove, in maniera analoga, il peso è importantissimo. Da qui la partnership con NPC e la loro divisione SpaceMind. 

 Quali sono le competenze che faticate di più a reperire nel nostro paese? A mio parere col moderno metodo didattico il miglior studente sia portato ad essere sì altamente specializzato  ma tipicamente esperto in una sola singola materia e questa è una condizione che si accentua ulteriormente con  l’eventuale laurea magistrale o dottorato in cui viene creato un picco di conoscenza eccezionalmente più alto di tutto  il resto.  Anche se tutto questo garantisce uno straordinario plafond di cervelli alle multinazionali ultra-strutturate che  possono quindi attingere alle persone specializzate proprio nel ristrettissimo ambito che gli è più necessario, tale  disponibilità si sposa davvero male con le esigenze di una piccola azienda o di una startup snella come la nostra dove  ogni membro del team deve risultare più poliedrico possibile. Non fatichiamo a trovare professionisti specializzati,  fatichiamo a trovare programmatori che sappiano che cos’è l’aerodinamica, fatichiamo a trovare elettrotecnici che  sappiano disegnare al CAD o mettere le mani ad un rendering, ci è quasi impossibile trovare un tecnico di laboratorio  che sappia redigere una presentazione con un business plan. La preparazione multidisciplinare è una caratteristica  che stiamo trovando solo grazie agli eventuali hobby dei candidati e questo è davvero un peccato. 

E quanto ha impattato su di voi la crisi dei  semiconduttori? 

Riguardo alla crisi dei semiconduttori devo ammettere che non ci ha impattato particolarmente. Abbiamo sì  registrato un aumento dei costi di alcuni componenti ma i fornitori sono sempre stati lungimiranti e hanno sempre  preferito accontentare tanti clienti che ordinavano piccoli lotti piuttosto che accontentare pochi grandi clienti. Questo,  unito al fatto che molta elettronica viene progettata internamente e che all’occorrenza possiamo riscrivere i  firmware, ci ha permesso di poter sostituire molto velocemente i componenti critici in favore di altri disponibili senza  quindi interrompere il flusso di lavoro.  

 Intelligenza Artificiale, nuovi materiali, Manifattura Additiva, Internet delle Cose e presidio dello spazio a basse e medie  orbite: se dovesse scegliere due tra questi cinque macro ambiti tecnologici, quali sono quelli chiave per il futuro della  vostra azienda? E quali sono quelli nei quali il sistema-Italia possa giocare un ruolo importante? 

È proprio un peccato doverne scegliere solo due perché sono costretto a selezionare nuovi materiali e manifattura  additiva, gli ambiti su cui abbiamo fondato le basi della nostra azienda e a cui di certo non rinunceremo nel  breve/medio termine. Per i nostri prodotti abbiamo a lungo utilizzato i materiali compositi, ovvero la classica fibra carbonio anche in vari intrecci con le fibre aramidiche. Bellissima da vedere ma comunque troppo fragile se l’obiettivo 

principale è la leggerezza e conseguentemente i tempi di volo. È sufficiente una banale distrazione sul campo, un  leggero urto nel punto sbagliato e l’intera struttura è compromessa con conseguente impossibilità di utilizzo. Da  qualche anno abbiamo iniziato ad utilizzare materiali polimerici leggeri e performanti, riciclabili, resistenti agli urti e  soprattutto inoffensivi in caso di impatto con persone o cose. L’unico punto debole di questi materiali è l’aspetto, per  il quale viene inesorabilmente associato al polistirolo espanso e quindi a qualcosa di economico o scadente e le  performance uniche al mondo dei nostri mezzi non bastano ad eliminare questo retaggio. C’è ancora molto da  insegnare a riguardo e dovremo impegnarci più che mai a farlo.  

Riguardo alla stampa 3D, che nell’onirico è ancora associata principalmente al prototipo economico fatto con  fabbricazione di filamento, confesso che non potremo più farne ameno perché già la utilizziamo su larga scala  direttamente per la produzione e certamente continueremo a farlo. Grazie alla tecnologia che utilizziamo (che non è FFF o FDM) possiamo permetterci la massima libertà in fase di progettazione senza avere vincoli su sformi o  sottosquadri, integrando in singole parti quei componenti che con una normale produzione a iniezione richiederebbe  diversi pezzi da poi assemblare chimicamente/meccanicamente. Possiamo inoltre permetterci un miglioramento  continuo perché non più vincolati dalla necessità di ammortare gli stampi sul più alto numero di pezzi possibile e  senza nemmeno il forte impegno economico che forme complesse come le nostre richiederebbero per la  realizzazione delle matrici. 

In realtà tanto Vector quanto l’Italia dovranno incrementare la ricerca e sfruttare a piene mani l’innovazione portata  da tutti i macro ambiti citati nella domanda. Restare indietro anche su un solo segmento vuol dire regalare un  prezioso vantaggio alla concorrenza e sul mercato ultra-competitivo di oggi, non ce lo si può permettere. 

 Come si colloca l’Italia nel mercato mondiale dei droni civili e di quelli militari? Ci sono margini perché il nostro paese  penetri due mercati che appaiono come sempre più affollati? 

Così come si può evincere dall’osservatorio nazionale droni del Politecnico di Milano, il settore dei droni, in Italia  come all’estero, è in piena espansione. A livello internazionale c’è fondamentalmente un solo player che domina  il mercato con il 70% di share nonostante sia stato inserito nella black-list degli Stati Uniti. È concentrato sui  droni consumer, professional ed enterprise ma il recente conflitto in Ucraina ci ha fatto capire velocemente  come sia possibile, in caso di estrema necessità, convertire questi mezzi anche all’uso militare snobbando  completamente i prodotti ben più costosi sviluppati appositamente dalle altre aziende esperte in materia. 

Perché il nostro paese penetri il mercato militare ma soprattutto quello civile sarà necessario fare la differenza e noi, nel nostro piccolo cerchiamo di farlo aumentando di molto l’autonomia di volo, pur rimanendo a  propulsione elettrica, ecologici e silenziosi, grazie ai pannelli solari. Abbiamo fatto questo ragionamento perché  prima di tutto siamo operatori e ci rendiamo conto di quanto tedioso sia dover pianificare, ad esempio, una  missione di mappatura su grandi superfici sapendo di doverla suddividere in sezioni da 20 minuti per rientrare  a sostituire la batteria. Ci rendiamo conto di quanto sia imperdonabile sospendere una missione di ricerca e  soccorso perché il proprio quadricottero sia ormai al termine della sua autonomia da 40 minuti. Noi dichiariamo  fino ad 8 ore di tempo di volo su alcuni dei nostri mezzi. Vuol dire dimenticarsi completamente del problema  batteria e lasciare l’operatore libero di concentrarsi esclusivamente sullo scopo della missione, garantendo così  maggiori chance di successo.

Si è laureato in Economia presso l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano nel 2011. Dopo un’esperienza di cooperazione in Egitto durante le elezioni parlamentari dello stesso anno, inizia a collaborare con diverse riviste di Studi internazionali («Affari Internazionali», «Eurasia», «ISAG – Geopolitica» e altre). Si occupa di storia ed economia politica nonché di strategia e affari militari con un forte focus sul mondo arabo e islamico e sullo spazio post–sovietico, sia come analista che come appassionato viaggiatore.

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