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Europa: prospettive per il futuro

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Europa: prospettive per il futuro

Lo Stato nacque in Europa, a partire da quel di Francia lungo il XVI secolo. In seguito vi corrispose anche una nazione amalgamando popolazioni non perfettamente omogenee ma meno disomogenee tra loro che tra loro ed altre. Lo Stato non nacque per moto interno. Nacque come necessità dei popoli e loro relative élite, stante una forte pressione esterna. Nel caso, la lunga, defatigante ed irrisolvibile Guerra dei Cent’anni. Tale movimento storico, mosse in relativa sincronia tutta l’area circostante: Portogallo, Spagna, Inghilterra ed in seguito Province Unite (Olanda), si formano più o meno nello stesso periodo o poco dopo. L’Europa era abitata da circa 70 milioni di persone (oggi siamo dieci volte tanto) ed il Mondo da 461 milioni (oggi siamo sedici volte tanto). Portogallo, Spagna, Francia, Olanda ed Inghilterra poi Gran Bretagna (1707), poi Regno Unito (1800), diedero vita alla colonizzazione delle Americhe ed a tutta l’avventura coloniale ed imperiale che connotò i secoli successivi.

Poco dopo essersi formata come Stato unificato, già con una nazione formata culturalmente in quanto tale, la Germania andò in conflitto con questa area occidentale per ben due volte. Alla fine, nel 1945, tutti ne uscirono con le ossa rotte, l’Europa occidentale aveva perso definitivamente il suo protagonismo storico in favore degli Stati Uniti di cui divenne protettorato geopolitico e partner economico, il Resto del mondo a lungo dominato dagli europei occidentali, si emancipò e si sviluppò per proprio conto.

Gli Stati europei occidentali, tentarono di scavarsi una nicchia adattiva al mutato contesto. I britannici, mai davvero esclusivamente “europei” rimasero parte della loro area culturale anglosassone. L’area francofona, ed i due perdenti la guerra Germania ed Italia, diedero vita ad un primo nucleo di collaborazione cooperativa. In questa prima fase, si tentarono varie forme. Una venne promossa con forza dalla Francia che aveva compreso il rischio di soffocamento geopolitico dovuto alla duplice forza degli anglosassoni da una parte e dei sovietici dall’altra. Questa era l’idea di una Comunità di Difesa. L’idea faceva sponda su tre lati: 1) il primo era lasciarsi una forma di autonomia operativa geopolitica rispetto allo strapotere anglosassone; 2) il secondo era controllare militarmente la Germania poiché a questa sarebbe stato impedito il riarmo in proprio salvo il partecipare con proprie forze all’esercito comune; 3) il terzo era lasciare alla Francia un ruolo centrale politico poiché un esercito comune chiamava politica di Difesa comune e questa era appunto una funzione eminentemente politica e geopolitica, così che né alla Germania, né all’Italia sarebbe stata più consentito coltivare velleità sull’argomento. I francesi si diedero molto da fare, convinsero tutti, fecero approvare l’idea al parlamento del Belgio, dell’Olanda, del Lussemburgo, della Germania, l’Italia era ovviamente allineata e sarebbe stata l’ultima a ratificare l’accordo dopo la Francia. Ma quando la ratifica giunse al parlamento francese in quel di un 30 agosto del 1954, i francesi, i promotori del progetto, inaspettatamente, non approvarono il loro stesso piano per 50 voti. Il tutto scomparve dalla scena politica e da allora il senso della cooperazione europea prese un sapore esclusivamente economico.

Poiché la logica della cooperazione economica è diversa da quella politica, non si ebbe difficoltà ad estendere il sistema di cooperazione fino a 28, oggi 27, Paesi, del tutto eterogenei. Ad un certo punto, c’era chi addirittura avrebbe aperto le porte dell’accrocco europeo financo alla Turchia o ad Israele poiché, in effetti, un mercato non richiede poi questi grandi gradi di omogeneità tra i contraenti, anzi addirittura il contrario per via delle opportunità di scambio eccedenze vs mancanze. Dentro questo accrocco mercantile, si istituì un secondo più limitato accrocco monetario per vari motivi, tra cui la paranoia francese verso la Germania (che s’andava riunificando ripristinando la sua asimmetria di Stato un terzo più grande di Francia, Italia e Regno Unito) e l’opportunità per questa ultima, di togliere ai partner la leva monetaria per evitare scomode competizioni interne. Tutto ciò ha più o meno funzionato quando l’economia mondiale galoppava, ha avuto una sua prima crisi fondamentale quando l’economia mondiale ebbe un primo ictus nel 2008, sta per andare in crash di sistema a fronte di una crisi appena iniziata di cui nessuno ancora può sapere la dimensione, ma da quel che già si sa, più grave di ogni altra, pregressa. Il punto di queste ricorrenti e sempre più profonde crisi è che se anche la loro origine o il loro più evidente aspetto è di natura economica, la decisione di come farvi fronte non può che esser politica e politicamente non esiste alcuna omogeneità tra i 27 contraenti un patto di sistema economico e monetario sottoscritto quando il contesto economico mondiale era in espansione. Ciò che ordina nelle espansioni non può essere ciò che ordina nelle contrazioni.

per evitare scomode competizioni interne. Tutto ciò ha più o meno funzionato quando l’economia mondiale galoppava, ha avuto una sua prima crisi fondamentale quando l’economia mondiale ebbe un primo ictus nel 2008, sta per andare in crash di sistema a fronte di una crisi appena iniziata di cui nessuno ancora può sapere la dimensione, ma da quel che già si sa, più grave di ogni altra, pregressa. Il punto di queste ricorrenti e sempre più profonde crisi è che se anche la loro origine o il loro più evidente aspetto è di natura economica, la decisione di come farvi fronte non può che esser politica e politicamente non esiste alcuna omogeneità tra i 27 contraenti un patto di sistema economico e monetario sottoscritto quando il contesto economico mondiale era in espansione. Ciò che ordina nelle espansioni non può essere ciò che ordina nelle contrazioni.

Purtroppo l’argomento è complesso e non dovrebbe star recluso in un angusto articolo. Va anche aggiunto che l’idea di una alternativa Unione Mediterranea e Latina (Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Grecia, Cipro) non nasce da un ripiego rispetto ai fatti contingenti (il blocco del Nord Europa che non vuole concedere i c.d. coronabond), l’idea parte da un’altra serie di considerazioni[1] che non sono economiche, economiciste o monetarie, poiché chi scrive non crede che la Storia sia scritta dagli ordini economici, tantomeno monetari. Tale idea nasce nel ’45 ad opera di un francese[2] A. Koiève (sul quale non si può ignorare il probabile influsso del pensiero di F. Braudel[3]) ed in Italia ha avuto eco nel pensiero di due economisti: Bruno Amoroso[4] già allievo prediletto di F. Caffè e L. Vasapollo[5], sebbene con forme diverse. Braudel era uno storico o meglio geo-storico, Kojève un filosofo per quanto funzionario del Ministero degli Esteri, gli altri sono economisti. E’ quindi una idea pensata da più punti di vista, basata cioè su più forme di conoscenza. Sorprende a proposito dell’UE, il quasi esclusivo monopolio di pensiero dato a gli economisti secondo l’impostazione per la quale per chi ha un martello tutti i problemi sono chiodi.

L’idea si basa su tre semplici assunti concatenati: 1) le formazioni politiche territoriali si formano non per ragioni interne, ma per ragioni esterne, come già avvenne per la nascita del concetto di moderno Stato, poi Stato-nazione, europeo. Oggi, “l’esterno” non è più uno o più vicini europei ma gli USA, la Russia, la Cina, le potenze di seconda fascia, le problematiche del Mediterraneo e l’Africa ed in parte anche Medio Oriente. Politicamente, per la Danimarca o la Norvegia saranno i problemi di sfruttamento del Polo Nord, per gli ex Patto di Varsavia, saranno i problemi di vicinato con l’immenso e potente vicino russo, per i britannici sarà il ripristinare una qualche versione del Commonwealth, ognuno ha i suoi a seconda di dove la geo-storia l’ha collocato; 2) questo quadro problematico con molti competitor, molti problemi, molti livelli (c’è la demografia, la ricerca e lo sviluppo tecnologico, le dimensioni delle aziende, la Difesa che è anche industria, la geopolitica, l’economia certo e la moneta, ma anche la potenza relativa che si ha per difendere la proprie condizioni di possibilità, le minacce ed opportunità che rappresentano i vicini come i Paesi arabi, le migrazioni africane, i nuovi giacimenti del Mediterraneo, i rapporti paritari o gregari verso gli USA o la Cina etc.), presuppone soggetti che non possono esser quelli nati cinque secoli fa quando la logica del gioco era di tutt’altro tipo. In particolare, molti grandi player del gioco hanno massa enorme e la massa è correlata alla potenza e la potenza è l’energia necessaria a giocare questo tipo di gioco che è il gioco che determina le condizioni di possibilità per ogni altro gioco; 3) si consiglierebbe allora cominciare ad immaginare, nuovi sviluppi geo-storici con aggregati diversi dai singoli Stati nazione europei storici nati in tutt’altro contesto e tali aggregati, essendo forme che prima o poi debbono pervenire ad una unità politica, poiché questa è l’unica forma conosciuta come necessaria in storia da cinquemila anni, debbono basarsi su dati di omogeneità relativa. Fare Stati non è il fare Mercati. Omogeneità che non è ancora identità che va costruita nel tempo, così come i francesi corrisposero alla Francia già nata da tempo lungo un percorso decennale se non secolare.

Eco allora che un progetto di Unione di Paesi Latini e Mediterranei, risponde ai tre punti con un nuovo soggetto storico, in prospettiva all’ottavo posto per popolazione (Cina, India, USA, Indonesia, Pakistan, Brasile, Nigeria) ed il terzo per Pil (USA, Cina) e molte altre qualità non banali. Dotato di arma nucleare e seggio del Consiglio di sicurezza dell’Onu, con ampie prospettive di relazione e cooperazione in Africa e Sud America, in grado di mobilitare risorse per le sfide sempre più difficili date dalla sfera delle tecnologie e dei problemi ambientali. Un soggetto sovrano, federale, parlamentare, in grado di sedersi al tavolo del Grande Gioco e di giocarsi le sue partite. Non solo quelle di oggi, già oggi sempre più difficili ed impegnative, ma soprattutto quelle dei prossimi trenta anni ed oltre.  Se vogliamo darci un futuro, se barcolliamo per la diffusione di uno stupido e banale virus, sarà il caso di attrezzarsi per tempo ai prossimi trenta anni che promettono perturbazioni ben peggiori. Se continueremo a reagire a gli eventi ex-post, saremo sempre più in ritardo e con sempre meno carte da giocarci e la partita adattiva al mondo nuovo e complesso, sarà persa, inevitabilmente.   


[1] https://pierluigifagan.wordpress.com/2013/07/23/leuro-nostrum/

[2] Alexandre Kojève, Il silenzio della tirannide, Adelphi, 2004; L’impero latino p.163; http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/11/28/l%E2%80%99impero-latino-il-mediterraneo-inattuale-di-alexandre-kojeve/

[3] Attraverso varie opere tra cui spicca: F. Braudel, Il Mediterraneo, Bompiani, 2002

[4] Bruno Amoroso, Europa e Mediterraneo, Dedalo, 2000 (ma ne parla anche altrove tra cui qui: https://www.reset.it/caffe-europa/per-salvarsi-leuropa-riscopra-un-pensiero-mediterraneo

[5] L. Vasapollo, R.Martufi, J. Arriola, Il risveglio dei maiali, Jaca Book, 2011

61 anni, professionista ed imprenditore per 23 anni. Da più di quindici anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca da indipendente.Si occupa di "complessità", nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica, culturale e soprattutto filosofica. L'applicazione più estesa è in geopolitica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media (Rai3, la7, Rai RadioTre Mondo, Radio Blackout ed altre testate on line). Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità.

Comments

  • Candidato_2022
    7 Settembre 2022

    Sin dalla sua effettiva realizzazione come unione monetaria, il dibattito sull’Unione Europea ha intrecciato la questione della democraticita delle sue istituzioni con la sua capacita di addomesticare il capitalismo. Se l’euro era infatti stato introdotto per creare un’unione monetaria che rispondesse alle sfide dell’odierna fase di globalizzazione, questa si legava a un processo neoliberale ben piu ampio di erosione di quello che era stato conosciuto come “ modello sociale europeo ”. Un’analisi del progetto europeo che non si limiti al funzionalismo e all’efficienza delle proprie istituzioni, ma che lo definisca come progetto di emancipazione politica e sociale non puo dunque che partire dai rapporti tra democrazia, capitalismo e lavoro. In attesa che si definisca la composizione del nuovo parlamento europeo, e utile riprendere i fili di un dibattito che a partire dal significato del progetto europeo vada al di la della questione del funzionamento delle sue istituzioni. Parlare di Europa oggi significa porsi il problema dei rapporti tra Stati nazionali, capitalismo e globalizzazione da un punto di vista assai particolare, quello di regimi politici dove il pluralismo democratico ha storicamente significato anche la costruzione di un modello sociale in grado di “imbrigliare” le tendenze oligarchiche del capitalismo. In questo, il modello sociale europeo era il risultato di una capacita di soggetti collettivi come il movimento dei lavoratori e delle sue organizzazioni di addomesticare le derive dell’“accumulazione capitalistica” – per dirla con Marx – e della “mercificazione” delle forme di vita, per dirla alla Polanyi.

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