La doppia morale sulle “fake news”
Negli ultimi anni il tema delle “fake news” è diventato uno dei più discussi nell’ambito del mondo dell’informazione, specialmente occidentale. L’attuale emergenza legata al Covid-19 ha contribuito ad un’ulteriore presa di coscienza dei potenziali danni derivanti dalla proliferazione di notizie false e, d’altronde, è stata accompagnata da proposte politiche tese a limitarne la diffusione.
Tuttavia, c’è da dire che tali proposte sono state accompagnate da un discreto e comprensibile scetticismo e alcuni opinionisti hanno sostenuto che una possibile stretta “anti-fake news” potrebbe eventualmente portare alla limitazione della libertà dell’informazione e dei media.
Comunque sia, ciò che risulta attualmente chiaro è che le recenti campagne anti-fake news risultano essere alquanto “selettive” e non propriamente “super partes”.
Quando le fake news sono diffuse dal mainstream: alcuni esempi
Solitamente, quando si parla di fake news si pensa generalmente a certe bufale diffuse nella Rete o, in alternativa, a certe menzogne utilizzate dalla propaganda di determinati regimi totalitari o autoritari, sia di ieri che di oggi.
D’altronde, nei principali mass media si identifica perlopiù il problema delle fake news con certa disinformazione, propaganda e/o falsità particolarmente diffusa su Internet. Di per sé, c’è da dire che effettivamente esiste un forte problema legato a tutto ciò ma, d’altro canto, non è propriamente corretto restringere la tematica delle notizie false al solo web o al mondo dell’informazione non mainstream.
Il fatto è che, purtroppo, pare questa la piega che si sta prendendo in Occidente e ciò andrebbe a vantaggio degli interessi dei pochi grandi gruppi editoriali internazionali. Sempre a riguardo di ciò c’è anche il rischio che, dietro il paravento della nobile causa della battaglia per la “corretta informazione”, si possa portare avanti un’attacco ai media indipendenti e alla stessa libertà d’informazione e ciò in modo ‘indiretto’ e/o ‘subdolo’.
Uno degli aspetti che rafforza questa ipotesi è un certo “doppio standard” che si registra a seconda della fonte che diffonde notizie false o, ancora, informazioni distorte o più semplicemente misinformazione(1).
Il punto è che, a volte e non così raramente, anche i media mainstream pubblicano notizie false o informazioni distorte e al riguardo si possono fare alcuni esempi.
Uno dei più noti è sicuramente quello delle famigerate “arme di distruzioni di massa” dell’Iraq, un falso diffuso anche e sopratutto dal New York Times, che in seguito fece ‘mea culpa’ per ciò(2). Altri esempi più recenti riguardano alcune ‘mezze verità’ e notizie false diffuse prima dell’intervento militare in Libia e altre che rientrano nell’ambito della propaganda di guerra contemporanea(3).
Oltre a ciò, si possono citare casi di importanti reporter che per anni si sono ‘specializzati’ nella creazione di notizie false prima di essere ‘scoperti’, come Stephen Glass del New Repubblic(4) e, più recentemente, Claas Relotius dello Spiegel(5).
Inoltre, poche settimane fa è stata diffusa da diversi media mainstream, tra cui la CNN, la notizia della presunta scomparsa di Kim Jong-un, notizia che è stata smentita inizialmente dallo stesso presidente statunitense Donald J Trump e pochi giorni dopo da tutti i media globali(6).
Passando all’Italia, c’è da segnalare che pochi giorni fa La Repubblica ha pubblicato un’intervista con un individuo identificato come il portavoce di Al Shabaab in merito alla recente liberazione di Silvia Romano, ma tale rappresentante (Ali Dhere) in realtà è scomparso alcuni anni fa(7).
La necessità di un’informazione più libera e corretta
Gli esempi citati possono servire a capire che la questione delle notizie false e della “cattiva informazione” è, in linea di massima, più “trasversale” di quanto comunemente si pensi. Difatti, come appena ricordato, anche nei media ritenuti più autorevoli capita di incorrere in qualche errore, sia involontariamente che qualche volta spontaneamente.
Un altro dei punti cruciali della questione è che, d’altronde, anche l’informazione mainstream occidentale (e non) è ben meno “libera” e “indipendente” di quanto si pensi. Difatti, com’è notorio, la maggioranza dei media che ‘realmente contano’ appartiene a pochi gruppi editoriali decisamente potenti ed influenti a livello globale.
Detto ciò, è di conseguenza superfluo aggiungere che buona parte dei media mainstream fa gli interessi delle società ‘controllanti’ o segua determinate agende politiche/economiche o di altro tipo (private o pubbliche). Affermare ciò, comunque, non sta a significare che la maggioranza dei media mainstream occidentali diffonderebbe un’informazione non autorevole ma, semmai, riconoscere che essa è comunque funzionale a determinati interessi piuttosto che essere propriamente ‘imparziale’ come si vorrebbe far credere.
Il punto fondamentale di tutta la questione è che c’è indubbiamente bisogno di un’informazione che sia, almeno nei limiti possibili, maggiormente autorevole così come corretta e libera.
Quindi, sarebbe anche necessario che si crei un ‘rinnovamento’ del mondo dell’informazione occidentale e globale e che, al contempo, si promuova sempre di più l’importanza di un’informazione più indipendente e libera.
In tal modo si creerebbero le basi di un’informazione più genuina e, oltre a ciò, si promuoverebbe quella che dovrebbe essere la stessa funzione ufficiale dei mass media, mainstream o meno.
Ovvero sia, fungere da “mezzi” di una comunicazione e di un’informazione utile e efficace nella comprensione e nello ‘svelamento’ dei meccanismi che governano la società e il mondo.
NOTE
(1) https://it.wiktionary.org/wiki/misinformazione
(2) https://www.theguardian.com/media/2004/may/26/pressandpublishing.usnews
(3) https://www.informazioneconsapevole.com/2011/08/guerra-in-libiala-fabbrica-di-bugie.html
Pingback: Silvia Romano e la conversione all'Islam: facciamo chiarezza - Osservatorio Globalizzazione
Leonardo
A me sembra onestamente che dietro la crociata contro le fake news si nasconda semplicemente la lotta dei grandi gruppi editoriali per cercare di ripristinare quel monopolio informativo che hanno perso nel momento in cui, grazie ad internet, l’accesso alle fonti si è decentrato.
E’ una battaglia per il controllo dei pozzi che viene ritenuta tanto più importante quanto la decentralizzazione delle sorgenti informative ha permesso ai volenterosi che si informano attivamente di scoprire la sistematica manipolazione della narrazione di eventi da parte degli stessi gruppi editoriali che adesso gridano alla crociata contro le fake news.
La decrescente fiducia nei confronti delle fonti di informazione che ancora cercano di accreditarsi sulla base di un presunto prestigio accumulato negli anni è ampiamente giustificata dalla dissonanza cognitiva tra la realtà dei fatti e la narrazione che costruiscono.
Aggiungerei che l’attenzione alle fake news come principale metodo di diffusione di disinformazione è concettualmente limitato e limitante.
Nella mia esperienza di membro dell’audience, la maggior parte della cattiva informazione non avviene attraverso la pubblicazione di notizie palesemente false, bensì attraverso l’accurata manipolazione del contesto in cui le notizie sono inserite, ottenuta attraverso l’omissione di notizie fondamentali passate sotto silenzio o attraverso la pubblicazione di notizie sensazionalistiche ma di scarsa sostanza.
Un esempio della seconda è l’intera mitologia nota come Russigate, priva di qualsiasi riscontro fattuale ma ormai entrata prepotentemente in un immaginario collettivo che arranca nella superficialità. A parte pochi giornalisti di prestigio come Matt Taibbi, Glenn Greenwald e altri meno famosi come Aaron Maté, sono pochi quelli che hanno accettato di pagare il prezzo dello stigma sociale nel tentativo di ricondurre all’ambito fattuale una vicenda interamente costruita sulla suggestione e sul far leva sui pregiudizi dell’opinione pubblica,
Un esempio della prima è invece la cortina di silenzio sollevata dai media cosiddetti “mainstream” rispetto alla notizia della manipolazione da parte della dirigenza OPCW del rapporto sull’attacco chimico (in realtà mai avvenuto) a Douma, in aperta polemica con gli ispettori più anziani che la stessa organizzazione aveva inviato sul posto e la cui reputazione ha apertamente cercato di infangare quando hanno osato parlare pubblicamente delle manipolazioni interne, nel tentativo di ripristinare il prestigio di una organizzazione nominalmente neutrale la cui dirigenza aveva scelto di cedere a pressioni politiche.
Pingback: La rivoluzione digitale e la schematizzazione del dissenso - Osservatorio Globalizzazione
Pingback: Infodemia, un termine fuorviante? - Osservatorio Globalizzazione
Pingback: I videoeditoriali del direttore - Osservatorio Globalizzazione