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La guerre c’est moi! Lo Stato moderno e il concetto di guerra

La guerre c’est moi! Lo Stato moderno e il concetto di guerra

Sesto capitolo dell’analisi di Giuseppe Gagliano su “Lo Stato e la guerra” di Krippendorf, incentrato sulla nascita dello Stato moderno a partire dalle riflessioni sulla Guerra dei Trent’anni e la pace di Westfalia.

Nel 1648, la pace di Vestfalia conclude la guerra dei Trent’anni e segna la nascita dell’attuale sistema internazionale, consacrando lo Stato moderno come unico attore della politica, dotato di rappresentatività verso l’esterno e del monopolio della violenza legittima all’interno.

Tale risultato politico fu conseguito a seguito di uno sterminio di ampie proporzioni (vi furono zone come l’Assia o la Pomerania, in cui la perdita di popolazione si aggirò intorno al 60/70%). L’olocausto di una parte considerevole della popolazione fu il prezzo attraverso cui lo Stato riuscì ad affermarsi pienamente. Le classi dominanti raggiunsero la consapevolezza che l’unico strumento realmente efficace di legittimazione ideologica fosse il possesso di un esercito permanente, la qual cosa richiedeva però entrate stabili e durevoli, un’economia dalla quale si potessero ricavare tasse, vale a dire funzionante, ed infine una popolazione non troppo limitata. L’impulso delle classi di governo al ripopolamento non fu originato da ragioni umanitarie, quanto dalla necessità di costruire una base economica che finanziasse tale apparato militare. Anche l’organizzazione amministrativa e l’ideazione di un sistema di leggi (in sintesi l’elaborazione di una forma politica) furono in fondo funzionali alla costituzione di un esercito non mercenario. Anche non volendo comunque sposare la tesi (per alcuni estrema) circa la priorità temporale della nascita dell’esercito rispetto allo Stato, non si può non concordare sulla complementarietà della loro genesi, che si svolse in modo dialettico.

Dal punto di vista sociologico, lo Stato moderno è un prodotto dell’aristocrazia europea, anche se questa dovette allearsi con l’emergente borghesia cittadina. Si trattò tuttavia, almeno all’inizio di un patto fra partner di diverso peso politico. La nobiltà, avendo nel corso del tempo assimilato, per educazione e prassi di vita, un solido istinto del potere, dimostrò una notevole capacità di adattamento alle nuove situazioni. Dovette apprendere i nuovi compiti del funzionario colto  e dell’ufficiale disciplinato, lasciando perdere le antiche abitudini vassallatiche e l’esercizio della violenza privata. L’aristocrazia portò comunque in dote al nuovo sistema assolutistico la propria capacità di organizzare e servirsi della guerra. La guerra – secondo lo storico dell’assolutismo, Perry Anderson – rimase centrale nel nuovo sistema internazionale. L’assolutismo è – secondo Anderson – la prima forma che assume lo Stato moderno: esso non significò, tuttavia, la fine del dominio di classe nobiliare. Il governo aristocratico venne riconfermato anche nel nuovo ordinamento, riprendendone i valori di “fedeltà al principe”, “disponibilità al sacrificio” e “distinzione naturale fra chi comanda e chi è comandato”, valori che trovavano ora una nuova concretizzazione nell’apparato militare.

Sotto il profilo dell’analisi storico-politica del sistema internazionale, la ratifica dell’ordine statale, avvenuta nel 1648 comporta anche la legittimazione della guerra come metodo della politica degli Stati. Il trattato di pace non intendeva affatto creare una pace durevole o addirittura perpetua, bensì semmai un meccanismo di conclusione delle guerre future, una volta che esse avessero raggiunto lo scopo che i suoi promotori si erano prefissati o quando le parti ritenessero poco sensato continuarle. Il 1648 fu anche l’anno di nascita delle conferenze internazionali, intese come strumento per la conclusione delle guerre. La dottrina politica che giustificava la guerra come strumento naturale era quella dell’equilibrio: occorreva vi fosse equilibrio fra gli Stati o le coalizioni, per poter garantire l’esistenza di tutti. La teoria dell’equilibrio non era soltanto uno strumento di giustificazione della guerra: “le coalizioni aventi lo scopo di mantenere l’equilibrio fra gli Stati avevano anche la funzione della deterrenza, la quale, per essere credibile, doveva costantemente essere dimostrata in guerra, per ripristinare l’equilibrio, potenzialmente sempre messo in pericolo dalla logico e dalla dinamica del fattore insicurezza.” Secondo Krippendorff dunque lo Stato e la sua burocrazia non nascono per il mantenimento della pace. La politica sociale, quella economica o quella demografica, la creazione di amministrazioni moderne, burocratiche, l’unificazione e la crescita territoriale, tutto fin dall’inizio era in relazione con la capacità dello Stato di condurre la guerra.”

Sotto Luigi XIV, l’apparato statale francese sviluppò un’organizzazione centralizzata di una perfezione fino a quel momento sconosciuta, che divenne e rimase per lungo tempo modello di tutti i grandi e piccoli principi. Il Re Sole promosse, durante il proprio regno, ventinove guerre, che ebbero un costo umano di circa nove milioni di persone e provocarono un impoverimento della popolazione e delle casse statali. Nonostante tutto ciò, molti monarchi europei imitarono la politica del perseguimento della fama personale, mascherata da ragion di Stato, senza preoccuparsi delle più o meno note conseguenze  catastrofiche per l’economia e la popolazione. Fra costoro ci fu anche Federico II di Prussia. La Prussia ed il sistema di Brandeburgo, nato dal sistema del 1648, rappresentavano in un certo senso la forma più pura ed estrema dello Stato militare moderno. “Era, innanzitutto, l’esercito permanente che dava una base al potere statale, il quale rendeva possibile unire in unicum parti separate di un territorio. Esso era la stampella del dominio di una sola persona ed invero la colonna su cui fissava la sovranità. Il mantenimento di questo esercito rese necessario un nuovo sistema di tasse ed influenzò notevolmente tutta l’amministrazione, tanto che addirittura i governi provinciali sotto Federico Guglielmo I vennero denominati camere di guerra e di dominio.” (K. Frantz, Der Militärstaat, Berlino 1859). Mirabeau, l’ambasciatore francese alla corte prussiana alla corte prussiana, definì la Prussia come lo Stato che possiede un esercito e la cui unica industria è quella militare. Se Federico Guglielmo, nonostante la costruzione di un notevole apparato militare, non condusse alcuna guerra, il suo successore Federico II, detto il Grande, impegnò la Prussia in una serie di conflitti per la conquista ed il mantenimento della Slesia. Secondo Krippendorff, a prescindere dalle motivazioni politiche che il sovrano prussiano dette delle proprie iniziative belliche, il motivo reale della sua condotta va ricercato nella fame di gloria del re germanico. A conferma di ciò, esiste una lettera di Federico II all’amico filosofo, Voltaire.

  1. “La ragion di Stato”
  2. “Antropologia della guerra”
  3. “La nascita di Usa e Urss”
  4. “La Grande Guerra”
  5. “Max Weber e la figura del combattente”
  6. “La guerre c’est moi!”
  7. “Guerra e rivoluzione”
  8. “Guerriglia e istituzioni militari”

Nel 2011 ha fondato il Network internazionale Cestudec (Centro studi strategici Carlo de Cristoforis) con sede a Como, centro studi iscritto all'Anagrafe della Ricerca dal 2015. La finalità del centro è quella di studiare, in una ottica realistica, le dinamiche conflittuali delle relazioni internazionali ponendo l'enfasi sulla dimensione della intelligence e della geopolitica alla luce delle riflessioni di Christian Harbulot fondatore e direttore della Scuola di guerra economica(Ege) di Parigi

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