La politica italiana in Libia e quel realismo che manca
L’Italia evoca il cessate il fuoco per la Libia. Ma imporre il cessate il fuoco senza senza avere opzioni politiche chiare è un controsenso politico. Lo spiega, in questo commento che rilanciamo da “StartMag”, il professor Giuseppe Gagliano.
Sul Corriere della Sera il ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, ha sostenuto che solo attraverso una collaborazione con l’Ue sarà possibile imporre il cessate il fuoco in Libia dal momento che l’opzione militare non farebbe altro che aggravare la situazione libica.
Una dichiarazione di tale natura implica in primo luogo che esista una politica estera europea coesa che de facto non esiste soprattutto in relazione alla Libia.
In secondo luogo implica che l’Ue abbia una credibilità tale sul piano della politica estera da riuscire a porre in essere una soluzione politica in Libia. Ma la politica estera europea senza la Nato almeno allo stato attuale non esiste. Quanto al ruolo che la Nato ha svolto in Libia questo è stato assolutamente nefasto e controproducente per il nostro paese (vedi Eni, immigrazione clandestina e crescita del terrorismo jihadista).
In terzo luogo una tale dichiarazione è il risultato di un approccio tipicamente liberale e non realista alla politica estera. Infatti la celebre affermazione di Von Clausewitz, secondo la quale la guerra non sarebbe altro che la prosecuzione della politica con altri mezzi, non può trovare applicazione in un approccio liberale alla politica estera perché secondo questo approccio gli Stati non devono considerare la guerra un mezzo legittimo per la composizione dei loro dissenso. In altri termini, secondo l’opinione del politologo liberale John Inkenberry, l’internazionalismo liberale fa proprio l’assunto ottimistico in base al quale gli Stati possono superare i vincoli e cooperare per risolvere problemi di sicurezza, perseguire azioni collettive per creare un sistema aperto e stabile.
Ma cosa significa al contrario avere un approccio squisitamente realista alla dinamica conflittuale della politica estera? Significa innanzitutto prendere atto che la politica internazionale è caratterizzata da una dinamica conflittuale permanente determinato a sua volta da una anarchia intrinseca al sistema internazionale (come sostenuto dai realisti come Waltz o Mearsheimer) e che gli Stati competono per il potere dal momento che chi ha più potere fra gli Stati ha probabilità di sopravvivere.
Le istituzioni internazionali hanno per il realista – come hanno sottolineato Morgentahu e Mearsheimer – una importanza assolutamente marginale perché hanno un potere coercitivo minimo o nullo sugli Stati. In linea di massima gli Stati mirano a massimizzare gli asset militari che controllano e a fare in modo che altri Stati non conquistino il potere a loro spese cercando in questo modo di spostare l’equilibrio di potere a proprio vantaggio. Bisogna rendersi conto insomma che la competizione per il potere, all’interno delle relazioni internazionali, determina un contesto politico spietato e insieme insidioso. Sebbene la potenza militare non possa certo garantire sempre e comunque la sopravvivenza tuttavia la accresce in modo significativo e rilevante.
Ma torniamo adesso alle scelte che l’Italia vorrebbe attuare in Libia.
Il ministro, come d’altronde lo stesso Conte, sembra alludere – quando afferma che è necessario imporre il cessate il fuoco – a una sorta di no fly zone che dovrebbe essere salvaguardata dalla presenza di forze aeree tedesche, francesi e italiane. Ma ci domandiamo non senza una certa ironia: come si fa a porre in essere una no fly zone senza fare ricorso al potere militare in funzione di deterrenza? E se la deterrenza non dovesse essere efficace l’Europa sarebbe disposta a utilizzare lo strumento militare in funzione offensiva?
Insomma sostenere che sia necessario imporre il cessate il fuoco senza ricorrere a una soluzione militare e senza avere opzioni politiche chiare è non solo un contro senso logico ma soprattutto un controsenso a livello politico.
Ora, al di là di queste soluzioni la cui credibilità sul piano strategico è prossima allo zero, la Turchia invece sta ponendo in essere una politica di proiezione di potenza lineare e spregiudicata facendo ricorso ai miliziani siriani e avendo anche come obiettivo il rafforzamento della Fratellanza Musulmana.
In definitiva i veri player di questa partita non sono l’Italia né l’Ue ma il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto, la Turchia e la Russia (come raccontato all’Osservatorio dall’analista Mauro Indelicato).
È infatti molto probabile che fra gli scenari possibili vi siano da un lato una guerra civile permanente oppure una spartizione tra russi e turchi che consentirà loro non solo il conseguimento di una egemonia energetica ma soprattutto di ricattare l’Europa – come d’altronde ha ripetutamente fatto Erdogan – con la questione della immigrazione.
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