Le influenze politico-culturali nell’opera di Alain de Benoist
Discusso, chiacchierato e controverso, Alain de Benoist è un pensatore che da diversi decenni fa parlare di sé per la sua opera di divulgazione. Scopriamo l’evoluzione del pensiero del noto intellettuale francese.
La riflessione di Alain de Benoist ha attraversato, grosso modo, cinque fasi che possiamo suddividere nel modo seguente.
Per quanto riguarda il periodo che va dal 1961 al 1967 la riflessione dell’intellettuale francese è il frutto di una rielaborazione stilistica delle riflessioni dei seguenti autori: Francoise d’Orcival,H enry Coston e soprattutto Dominique Venner ( alludiamo ad esempio allo scritto Dizionario del militante del 1963) per quanto concerne il nazionalismo francese anti cosmopolita e anti-internazionalista. Anche l’utilizzazione, assolutamente strumentale dal punto di vista ideologico, della riflessione di Proudhon e di Sorel è il risultato dell’influenza di Dominique Venner. Un altro autore che ha influenzato de Benoist , questa volta sotto il profilo filosofico ed epistemologico, è stato Louis Rougier come storico razionalista delle origini del cristianesimo ma anche come critico impietoso della metafisica. Un altro autore che in questo periodo influenzerà l’intellettuale francese, in relazione alla critica dell’idealismo e del cristianesimo, sarà Nietzsche.
Per quanto concerne il secondo periodo,che va dal 1968 al 1979, le influenze politiche e culturali mutano. Il primo autore che è necessario considerare è l’italiano Giorgio Locchi grazie al quale l’intellettuale francese conoscerà in modo approfondito sia i pensatori della rivoluzione conservatrice tedesca, ma anche Wagner, Spengler e soprattutto Nietzsche, che verrà tuttavia interpretato in modo unilaterale senza considerare cioè la complessità e la contraddittorietà del pensiero del noto filosofo tedesco. Infine, agli inizi del 1970, l’intellettuale francese incomincerà ad avvicinarsi alle opere di Dumont, di Heidegger ma soprattutto a quelle di Dumezil e Lorenz interpretati sempre in modo strumentale con la finalità precipua di confermare la sua visione del mondo.
Negli Anni Ottanta avviene certamente il cambiamento più significativo nella riflessioni dell’intellettuale francese. Infatti critica la sociobiologia che aveva precedentemente abbracciato e soprattutto la xenofobia anti-immigrati. Una delle tematiche nuove che affronterò l’autore sarà la critica all’universalismo nutrito dalla riflessione dell’intellettuale francese Louis Dumont; in parallelo svilupperà la critica al mondo moderno nell’ottica di Heidegger . A tale proposito l’atteggiamento dell’intellettuale francese sarà sempre più critico nei confronti del progresso, delle utopie tecnico-scientifiche della modernità, tema che avrà risalto in Italia nel filone d’analisi condotto da autori come Massimo Fini e Marcello Veneziani. Ebbene, questa interpretazione verrà fatto sia alla luce delle opere di Heidegger che di quelle di Latouche .A tale proposito non c’è dubbio che ci sarà un progressivo e graduale avvicinamento tra l’intellettuale francese e il movimento anti utilitarista nelle scienze sociali e, in particolare, nei confronti di quella di Alain Caillé. Un’altra tematica che verrà sviluppata in questo periodo sarà quella terzomondista che non farà altro che accentuare la critica, già ampiamente presente nel periodo nazionalista, alla americanizzazione del mondo, un filone ripreso poi in Italia da uno studioso del calibro di Marco Tarchi. Superfluo osservare che l’immagine del terzo mondo che costruisce l’intellettuale francese è una immagine mitizzata.
A partire dal 1981 per arrivare al 1988 la riflessione dell’intellettuale francese assume una nuova dimensione. Il positivismo e lo scientismo occidentali che in un primo momento aveva condiviso vengono completamente abbandonati, cioè vengono sottoposti ad una critica radicale che lo induce a recuperare la riflessione radicalmente antimoderna non solo di Heidegger ma anche di Guenon, Evola, Arthur Moeller van den Bruck, Junger e Carl Schmitt.
Durante gli Anni Novanta, l’intellettuale francese accentua la sua critica alla americanizzazione del mondo e nello stesso tempo cerca di costruire delle alleanze con gli oppositori radicali del mercantilismo americano.Fra questi due nomi spiccano in modo evidente: Dugin che incontrerà a Mosca nel 1992, e Stuckers, leader della nuova destra nel Belgio francofono.
Vediamo adesso di giungere a delle conclusioni. In primo luogo non c’è dubbio che la sua riflessione sia sostanzialmente eclettica ,sia cioè un collage di tematiche elaborate da autori eterogenei sul piano politico e culturale, tematiche queste che sono state rielaborate con un stile brillante, tagliente. da vero e proprio militante politico; in secondo luogo, in modo assolutamente spregiudicato, l’intellettuale francese, già a partire dagli Anni Settanta, si è servito di questi autori in modo strumentale non prestando alcuna attenzione alla autenticità e alla complessità dei loro pensiero(si pensi a Dumezil o a Nietzsche). In terzo luogo, se si raffrontano le tematiche poste in essere dagli anni settanta in avanti, non si possono non cogliere numerose contraddizion,i la più importante delle quali è certamente il suo iniziale anticomunismo che si trasformerà in una appropriazione di rilievi critici caratteristici della sinistra degli anni ottanta in funzione anti capitalistica e anti americana (pensiamo a Serge Latouche). Infatti i comunisti, da nemici assoluti quali erano stati visti negli anni settanta, si sono trasformati via via in interlocutori legittimi ma solo nella misura in cui formulano critiche radicali al capitalismo e al liberalismo.
Convergenze parallale: al di là della destra e della sinistra
A partire dagli anni ottanta la critica alla egemonia americana nella riflessione di Alain de Benoist si manifesta in tutta la sua chiarezza.
Dal punto di vista politologico, l’antiamericanismo di de Benoist – influenzato profondamente dalla riflessione di Jean Thiart- presenta rilevanti convergenze non solo con quello di Althusser ma anche con quello di Debray.
Per de Benoist si tratta di affermare l’identità europea contro la superpotenza mondiale degli USA e proprio per questo l’antiamericanismo diventa una condizione indispensabile per affermare la necessità di costruire un’Europa delle etnie e delle regioni reiscritte in una struttura federale pensato sul modello romano e ’imperiale.
Una delle metafore maggiormente usate dall’autore è certamente quella di Disneyland. Infatti, per il politologo francese, dietro Disneyland si manifesta un mondo che somiglia al pianeta terra sognato dagli americani e cioè un mondo pacificato e tranquillo, infantile e trasparente. Ma Disneyland, per l’autore, è anche l’America della quantità, con la sua logica pubblicitaria, con il commercio della morale e la morale del commercio, con il suo ottimismo scientista. Insomma una concezione quella americana del mondo in cui la diversità umana è riportato alla rigida omogeneità dei valori mercantili e materiali. Per conseguire questo ambizioso traguardo l’America ha posto in essere una guerra culturale una guerra, sottolinea l’autore, pianificata dal cosmo-capitalismo Atlantico incarnazione del male assoluto.
L’occupazione fatta dagli americani dell’Europa non è più soltanto territoriale o militare ma è economica, culturale ed ideologica. Insomma l’americanizzazione culturale è una vera e propria guerra operante per infiltrazione, colonizzazione e occupazione. Proprio per questa ragione diventa indispensabile, secondo l’autore, superare gli angusti confini fra destra e sinistra allo scopo di tutelare l’identità europea.
La divisione è tra chi accetta la sottomissione e alla cultura americana e coloro che invece non hanno dimenticato che per un popolo l’indipendenza è il vero nome della libertà. Sarebbe necessario gettare le basi di una nuova dottrina Monroe europea con la quale il Mediterraneo possa tornare ad essere un mare Nostrum riaffermando in questo modo le prerogative della potenza continentale contro quella marittima. Ma bisognerà attendere la crisi del Golfo del 1990 perché si sviluppi una reale convergenza fra la nuova destra e l’estrema sinistra: la guerra annunciata contro l’Iraq non è altro che una guerra razzista perché ha come scopo di sterminare l’altro, secondo De Benoist. La guerra del Golfo è letta come una guerra coloniale americana. Infatti fin dall’inizio l’obiettivo è la distruzione della potenza irachena e l’istallazione di un contingente posto nelle vicinanze dei pozzi di petrolio. Secondo De Benoist, dopo questa guerra l’arroganza americana non conoscerà più limiti perché avrà come unico obiettivo quello di esercitare la leadership universale approfittando della miseria del terzo mondo, del crollo sovietico, della debolezza e della confusione europea.
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