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Martinica, Guadalupa, Barbados, Salomone: perché le periferie del mondo ribollono

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Martinica, Guadalupa, Barbados, Salomone: perché le periferie del mondo ribollono

Da Martinica a Guadalupa, passando per le Barbados e le Salomone: ogni cambiamento è collegato e ogni scontro è intelligentemente disegnato, anche se da mani diverse. La nuova guerra fredda è entrata in una nuova fase, dove rimasugli coloniali e satelliti saranno al centro dei conflitti.

Il 2022 è alle porte e una cosa è certa: gli eventi dell’ultimo bimestre del 2021 sembrano preannunciare l’entrata della competizione tra grandi potenze in una nuova fase, molto più bellicosa e (im)prevedibile delle precedenti. Una fase dalla quale attendersi l’ulteriore globalizzazione di un confronto egemonico già globale e che sarà protagonizzata da satelliti e rimasugli dell’era coloniale.

Mentre nelle Isole Salomone è in corso un lapalissiano tentativo di desatellizzazione da parte delle potenze occidentali – la violenta insurrezione sinofobica di fine novembre scoppia dopo un biennio di governo Sogavare, al quale si deve il disconoscimento di Taiwan a favore della RPC –, nei Caraibi la situazione è più complicata.

La recente emancipazione delle Barbados da Sua Maestà può essere interpretata come un semplice approdo nella contemporaneità, come una rivalsa dell’anticolonialismo e/o come il risultato di una strategia di de-occidentalizzazione delle Americhe Latine portata avanti dalla RPC. Perché più il Commonwealth si restringe, più l’Impero celeste si espande – e viceversa, questa è la dura lex historiae. Ed è nelle Americhe Latine, del resto, che negli anni recenti si è concentrata la politica della de-taiwanizzazione della RPC, tanto che nel subcontinente, oggi, ad avere relazioni bilaterali con Taiwan sono rimasti soltanto i minuscoli Belize, Guatemala, Haiti, Honduras, Nicaragua, Paraguay, Saint Vincent e Grenadine, St Kitts e Nevis.

Simile ma diversa è la questione dell’insurgenza nei domini-chiave del fu Impero francese nel cortile di casa degli Stati Uniti, che finora ha investito le cronicamente sottosviluppate Martinica e Guadalupa. Qui è accaduto che delle rivolte popolari contro le restrizioni sanitarie, iniziate il 17 novembre, abbiano coartato l’Eliseo a inviare dei reparti speciali per ripristinare l’ordine nelle Antille francesi. Una mossa concepita per intimorire gli abitanti dei dipartimenti d’oltremare e che, lungi dal sortire l’effetto sperato, ha esacerbato gli animi e determinato un’escalazione tale da spingere il titolare degli affari oltremare, Sébastien Lecornu, a promettere l’avvio di un dialogo in materia di autonomia.

Come è stato possibile che delle proteste scaturite nell’alveo del movimento antivaccinista abbiano avuto come delta una richiesta di autonomia? E qual è il legame – se uno ce n’è – che unisce le periferie degli imperi britannico, francese e australiano? Il legame c’è ed è la nuova guerra fredda, altresì nota come guerra fredda 2.0, competizione tra grandi potenze e terza guerra mondiale a pezzi. Diversi termini, medesimo significato: lo scontro tra i senili alfieri dell’unipolarismo e i promotori giovani e insofferenti del multipolarismo.

Gli eventi che stanno avendo luogo dai Caraibi all’Oceania (ci) dicono, anzi (ci) confermano, qualcosa che i più acuti osservatori avevano già intuito: il ritorno dei Dem alla Casa Bianca è stato lo spartiacque che ha sancito l’entrata della competizione tra Occidente e Oriente in una nuova fase, molto più bellicosa e globale della precedente.

Micro-stati e colonie, cioè le periferie degli Imperi, sono destinati a rivestire una rilevanza crescente. Guadalupa, Martinica e Salomone: tutto è collegato. Povertà e anti-vaccinismo sono il pretesto: la spogliazione degli Imperi dei loro domini più vulnerabili è l’obiettivo.

La Francia è caduta nel tranello: è pronta a dare ascolto ai dimostranti di Guadalupa e Martinica, aprendo un dibattito sulla concessione di una maggiore autonomia. Ed è pronta a farlo pur sapendo che l’insurrezione era nata per altre ragioni. Che l’Eliseo abbia intuito il piano dell’avversario (o degli avversari) e preferisca, giustamente, l’autonomia all’indipendenza? Certo, non è da ieri che nei Dipartimenti d’oltremare si parla di autonomia, talvolta di indipendenza, ma che Emmanuel Macron sia sceso nottetempo a patti coi riottosi è indicativo di qualcosa: la Francia sa che l’assenza di dialogo potrebbe aggravare una condizione già cataclismica, quindi, di nuovo, meglio l’autonomia dell’indipendenza.

Ma chi è che trae benefici da una de-inglesizzazione e da una de-francesizzazione dei Caraibi? Non soltanto la RPC, anche gli Stati Uniti – per i quali le Americhe Latine restano la linea rossa per eccellenza, il cortile di casa protetto dall’imperitura dottrina Monroe e la provincia dove ogni intruso è malvisto, che venga dall’Asia o venga dall’Europa. Gli americani, del resto, mai hanno dimenticato che l’ultimo grande tentativo di effrazione ad opera dell’Europa sia stato condotto dai francesi nel ventre molle d’America: il Messico.

Scrivere e parlare dell’esistenza di questo “antagonismo pluralistico” è più che importante, è indispensabile, dato che circoscrivere l’intera guerra fredda 2.0 ad una mera questione tra Stati Uniti e RPC, oltre che riduttivo, è intrinsecamente errato. Perché se è vero che nel mondo è in corso una lotta tra due blocchi, lo è altrettanto che la coesione interna degli stessi è tutt’altro che scontata. Ed è precisamente nello stomaco dei poli di potere che va posato lo sguardo. Lo stomaco, lì dove si trova  la loro anima.

Barbados, Martinica, Guadalupa e Salomone sono forieri che preannunciano l’arrivo di un nuovo vento. Un vento che non si sostituirà al precedente, ma si mescolerà con esso. E questo vento sarà particolarmente intenso, a tratti uraganico, per micro-stati, satelliti – inclusi i territori occupati ma privi di riconoscimento internazionale – e avanzi dell’epoca coloniale, ovverosia per coloro che sono sprovvisti di ombrello e cappuccio. La Francia ha misurato beaufortianamente la forza del vento in Martinica e Guadalupa, la Britannia alle Barbados e la RPC alle Salomone – e in Nicaragua, primo e vero precorritore della “centralizzazione delle periferie” –; la domanda: chi sarà il prossimo?

Classe 1992, è laureato in Scienze internazionali, dello sviluppo e della cooperazione all’università degli studi di Torino con una tesi sperimentale intitolata “L’arte della guerra segreta”, focalizzata sulla creazione di, e sulla difesa dal, caos controllato. Presso la stessa università si sta specializzando in Studi di area e globali per la cooperazione allo sviluppo – Focus mondo ex sovietico. I suoi principali campi di interesse sono geopolitica della religione, guerre ibride e mondo russo, che negli anni lo hanno portato a studiare, lavorare e fare ricerca in Polonia, Romania e Russia. Scrive per e collabora con diverse testate, tra cui Inside Over, Opinio Juris – Law & Political Review, Vision and Global Trends, ASRIE, Geopolitical News. Le sue analisi sono state tradotte e pubblicate all’estero, ad esempio in Bulgaria, Germania, Romania, Russia.

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