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“Nuevo Orden”, un film geopolitico sull’America Latina

Latina Film

“Nuevo Orden”, un film geopolitico sull’America Latina

Non vi era modo migliore di celebrare la riapertura delle sale, per un appassionato di cinema e geopolitica, che recarsi a vedere una delle opere cinematografiche più geopolitiche prodotte negli ultimi anni. Sia chiaro: i pregi di Nuevo Orden, ultima opera del cineasta messicano Michel Franco, sono innanzitutto cinematografici, come il Leone d’Argento all’ultima Mostra del Cinema di Venezia gli ha inequivocabilmente tributato.

È infatti un film potente, disturbante non tanto per la profusione di violenza che mostra ma per lo sguardo freddo, meccanico e disincantato con il quale la racconta. La telecamera è stretta sui personaggi, a indicarne i sentimenti – o la totale assenza dei medesimi: la paura, la rabbia, il disprezzo, la ferocia. Si pensi alle prime scene in apertura che mostrano subito l’incrocio tra la morte e quella vernice di colore verde che sarà il vero filo conduttore del film, quasi una pioggia di follia cannibale che cala sull’umanità, sommergendola; già dalla strana e inspiegabile inquietudine della anziana madre di uno dei protagonisti – spaventata dalla vernice verde che scende dal rubinetto – sappiamo che tutto non potrà che andare a finire in modo tragico, e quelle prime strisce di liquido verde sono il tramite con il quale il regista gioca con la nostra angoscia.

Come tutte le opere coinvolgenti, la critica a favore ha evocato a paragone ogni altra possibile espressione cinematografica, ora la freddezza narrativa dei registi scandinavi e il loro gusto per il racconto della tragedia che cova sotto l’ipocrita apparenza idilliaca, ora invece il racconto senza sconti della rivolta messo in scena da Gillo Pontecorvo. Sorprende che quasi nessuno abbia colto come Nuevo Orden si inserisca perfettamente in quel filone della cultura latino-americana che è in grado di raccontare la violenza come alfa e omega della tragedia e dannazione di un continente. L’aspetto geopolitico sta qui: è tipico dell’occhio latino-americano il racconto glaciale dell’orrore, con un distacco e un occhio quasi chirurgico che la critica nostrana ha persino definito “cinico” e “compiaciuto”. Possibile non aver letto, nelle continue scene di mattanza senza redenzione possibile per nessuno, il gelido pugno nello stomaco di Garage Olimpo di Marco Bechis (1999) o il racconto meccanico della violenza del cinema brasiliano, da Cidade de Deus di Lund e Meirelles (2002) ma soprattutto di Tropa de Elite dell’ormai celebre Jose Padilha (2007)? Possibile che nessuno vi abbia letto, come un pugno nello stomaco, il racconto spietato e senza speranza della strage dei contadini da parte dell’esercito narrata in Cento Anni di Solitudine, vero e proprio epos della Latinoamerica? Questo film è geopolitico per questo motivo esatto: circoscrive in uno spazio storico e geografico la tragedia di un popolo. Non è solo la narrazione inquietante di un colpo di stato, della diseguaglianza sociale che mangia l’anima, le menti e quindi i corpi e le vite tanto dei ricchi quanto dei poveri tanto da non riconoscersi più l’un l’altro la minima ombra di umanità. È la narrazione inquietante dell’eterna tragedia dell’America Latina.

La critica contraria ha invece sottolineato un presunto “cinismo” del regista, che non “rifletterebbe” sui temi che propone e non mostrerebbe empatia per alcuno. Tacendo della prima critica che ci puzza di scarsa cultura cinematografica (nel cinema la riflessione è affidata all’immagine, altrimenti è didascalia) sulla seconda ci chiediamo: dovrebbe? Dovrebbe essere empatico con l’amoralità totale dei ricchi o con la pazzia da “folla manzoniana” dei poveri, con la loro sommossa che, priva di disegno e guida politico-valoriale, diviene acefalo saccheggio? Quanto ci racconta Franco della nostra epoca di amorfo populismo e di feroce diseguaglianza!

Inventarsi critiche verso un film narrato bene e con ottimo ritmo e recitato meglio da un grande corpo di attori è davvero difficile e richiede voli pindarici che denunciano, a nostro avviso, una scarsissima conoscenza della cultura letteraria e cinematografica latino-americana.

Si è laureato in Economia presso l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano nel 2011. Dopo un’esperienza di cooperazione in Egitto durante le elezioni parlamentari dello stesso anno, inizia a collaborare con diverse riviste di Studi internazionali («Affari Internazionali», «Eurasia», «ISAG – Geopolitica» e altre). Si occupa di storia ed economia politica nonché di strategia e affari militari con un forte focus sul mondo arabo e islamico e sullo spazio post–sovietico, sia come analista che come appassionato viaggiatore.

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