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La voce degli ultimi: Oscar Romero, la coscienza del Salvador

Romero

La voce degli ultimi: Oscar Romero, la coscienza del Salvador

Per comprendere la figura del cardinale Oscar Arnulfo Romero bisogna capire il contesto del popolo salvadoregno, profondamente profetico, capace di leggere la realtà e denunciare l’ingiustizia, e martire come fu lui. Caratterialmente, Romero era tutto fuorché un rivoluzionario. Il suo temperamento emotivo era introverso, pauroso e conservatore. Agì in modo tanto rivoluzionario imponendo in primo luogo una grande sfida a sé stesso.

El Salvador, una terra infelice

El Salvador è soprannominato il pulgarcito (“pollicino”) del Centro America, più piccolo della Lombardia, con soli 6,3 milioni di abitanti ma quasi 2,9 milioni di cittadini all’estero. Ad esempio, nella sola Milano sono 29.000. Secondo dati ONU, circa 700 salvadoregni lasciano ogni giorno il loro paese per migrare, sebbene la maggior parte sia fermata in Messico o Guatemala e rimpatriata.

Ciudad Barrios, città natale di Romero, San Miguel, sua diocesi, San Salvador, la capitale, dove fu arcivescovo, e Santiago de Maria, vicina a San Miguel, sono quattro delle città principali del paese e quelle fondamentali nella vita di Romero.

El Salvador divenne indipendente dalla Spagna il 15 settembre 1821. Questo ufficialmente, sebbene tale data fosse stata scelta solo per conformarsi alla data di dichiarazione analoga da parte del Guatemala: non esistono documenti ufficiali, i due anni di caos generale seguiti al 1821 portarono alla Confederazione delle Province Unite (El Salvador, Honduras, Nicaragua, Guatemala e Costa Rica), che si divise nel 1840. Nel 1841 El Salvador divenne ufficialmente una repubblica indipendente, sebbene il paese festeggi ancora il 15 settembre come festa nazionale. Gli spagnoli, spietati al momento della conquista, avevano poi avuto il grande merito di rispettare le forme di organizzazione economica della popolazione, in El Salvador: tuttora gli indigeni non conoscono la proprietà privata.

Il passaggio dalla corona spagnola al potere delle grandi oligarchie smaccatamente filoamericane e legate alle multinazionali sancì grandi stravolgimenti, ed El Salvador cadde dalla padella nella brace: la proprietà collettiva fu disconosciuta, e il sistema indigeno travolto dal formarsi del latifondo nel finale del XIX secolo.

Le compagnie commerciali acquisirono sempre più potere, El Salvador divenne una vera e propria repubblica delle banane o, meglio, republica cafetera. 14 famiglie divennero i padroni di un sistema latifondistico-colonico di matrice neofeudale.

La crisi del 1929 fece crollare il prezzo del caffè. Tutti i contadini caddero sul lastrico: pur avendo perso sinora la proprietà della terra, vi lavoravano almeno come braccianti. Una volta non più impiegati dai proprietari, questa gente impossibilitata a coltivare la terra per sussistenza cadde nella miseria. Le elezioni del 1931 videro la partecipazione del Partito Comunista, che ovviamente propugnava un “comunismo latino”: i comunisti del Salvador probabilmente non avevano mai conosciuto le opere di Marx! I comunisti vinsero le elezioni ma governarono brevemente, assediati dalle oligarchie. Nel gennaio 1932 si arrivò dunque, soprattutto nella parte occidentale, alla più grande insurrezione popolare di sempre in Centro America. L’esercito soffocò l’insurrezione dei contadini armati di machete, guidati da Augustin Farabundo Martì, in pochi giorni. Martì dà il nome all’attuale partito di governo del paese.

30.000 contadini furono uccisi, gli indigeni subirono una vera e propria pulizia etnica, i costumi tradizionali vennero soppressi. Ciò fu devastante per un paese di soli 2 milioni di abitanti! Una serie di dittature militari si spartì il potere da allora sino a fine anni Ottanta. Ogni protesta subì brutali repressioni.

Romero, pastore dei dimenticati

Oscar Romero nacque nel 1917 a Ciudad Barrios. La famiglia di nascita era modesta, sebbene non poverissima, ed egli era terzo di otto fratelli. Entrato in seminario, fu poi inviato a Roma in piena guerra mondiale per completare il percorso di formazione. Fu ordinato sacerdote a Roma il 4 aprile 1942. L’anno successivo riuscì fortuitamente a ritornare in America Latina, subendo persino un arresto a Cuba per supposto spionaggio. Ritornato nel paese, Romero divenne parroco nel 1944 e fondò diverse confraternite spirituali e circoli di assistenza a bisognosi. Romero fu subito profondamente responsabilizzato, soprattutto a causa della ristrettezza degli organici della sua diocesi, San Miguel. Romero fu da subito uomo di grande carità, disposto a togliersi pane e vestiti pur di darli ai poveri.

Un “ma” condizionerà Romero per il resto della vita: non riuscì a chiedersi perché ci fossero così tanti poveri. Nato tra i poveri e educato a conviverci e aiutarli, non riuscì a mettere in relazione il fatto che ci fosse un’infinità di poveri a fronte di una manciata di ricchi, vedendo la situazione come qualcosa di naturale. Il sistema economico in essere sforna e produce la povertà; permette di fare la carità ma non di interrogarsi sul meccanismo causa-effetto che porta alla povertà. La solidarietà buonista spesso mal si concilia con la reale giustizia, che è subordinata ad analisi lucide. Romero nel suo primo periodo fu caritatevole sinceramente, ma mantenne anche amicizie tra i “lupi”, i membri dell’oligarchia. Andò incontro a profondi scontri con gli altri preti, e all’inizio, quando il suo vescovo storico lasciò il soglio, subì un promuoveatur ut amoveatur, diventando Segretario della Consistenza Episcopale a San Salvador e, poi, Segretario della Conferenza Centroamericana nel 1967.

La svolta di Romero

Il 1968 fu un anno chiave per la Chiesa latinoamericana: dal 26 agosto al 7 settembre ci fu la Conferenza di Medellin. Sulla scia del Vaticano II, che modernizzò le coscienze e le idee dei vescovi, spinti a riunirsi in gruppi regionali per tradurre in scelte pastorali concrete le grandi intuizioni del Concilio. Romero partecipò in prima persona al congresso che portò la Chiesa latinoamericana a schierarsi dalla parte dei poveri e degli sfruttati di tutte le nazioni, una scelta coraggiosa in tempi in cui, dal Messico all’Argentina, sanguinarie dittature militari che provocheranno centinaia di migliaia di desaparecidos insanguinavano le nazioni. Vai a liberare il mio popolo, poi mi offrirai preghiere: il libro dell’Esodo offrì lo sprone “teologico” per mettere la Chiesa a fianco delle rivendicazioni del 95% della popolazione contro un 5% oligarchico in maniera assoluta.

La scelta di Medellin infiammò il continente: i dominatori videro la Chiesa, da sempre potere favorevole al controllo delle masse dai tempi coloniali, cambiar schieramento. In Salvador iniziò una campagna di discredito contro il vescovo di San Salvador, Chavez, e forti attacchi ai Gesuiti, che gestivano il più importante collegio del paese, l’unico seminario del paese e l’Università Centroamericana formata dall’oligarchia per non dover mandare i figli all’Università Nazionale, accusata di deriva sinistrorsa. I vescovi che fecero la coraggiosa scelta di campo erano stati formati prima del Concilio, insediati ai tempi di Pio XI e XII, e decisero di non tradire il proprio ministero ma di esaltarlo nella sua più grande manifestazione.

Romero, tradizionalmente conservatore, si scontrò coi Gesuiti e prese a essere considerato un portavoce dell’oligarchia. Tuttavia, l’arcivescovo “progressista” lo nominò vescovo ausiliare. Come direttore della rivista diocesana, accusò i gesuiti di “comunismo”, e questo lo portò a esser fuori della realtà. Romero non si rendeva conto che accuse del genere sembravano un viatico all’iscrizione sulla lista nera degli squadroni della morte. Non riusciva a capire, pur disprezzando la povertà, le radici della miseria. Solo l’amico Rutillo Grande gli restò vicino, tra i gesuiti.

Un vescovo contro tutti

Nel 1974 Romero divenne vescovo a Santiago de Maria. Qua, eclissatosi dai radar che erano tradizionalmente puntati sulla capitale e perso di vista amici e nemici, cambiò profondamente. A Santiago Romero “inciampò nella povertà”. A Santiago vennero assassinati, come succedeva spesso, diversi contadini. Per la prima volta dovette accogliere i cadaveri, guardare negli occhi il dolore e leggervi all’interno la paura.

La concezione paterna che aveva del ministero lo portarono allo sconvolgimento interiore; scrisse al generale golpista Arturo Molina, presidente del paese, per chiedere chiarimenti sugli omicidi perpetrati dall’Esercito, senza ricevere risposte non elusive. Romero iniziò a mettere in campo la “pastorale sociale” che aveva fortemente attaccato l’anno precedente e avviò il “Sistema degli aiuti”.

Zona cafetera, l’area di Santiago richiamava numerosi lavoratori stagionali dal resto del paese, dal Guatemala e dal Nicaragua. Ora, la dollarizzazione dell’economia dovuta ai trattati di libero commercio ha portato alle stelle i prezzi senza adeguare i salari: questo ha aiutato le economie vicine, non ancora dollarizzate e che sfruttavano i cambi favorevoli delle monete.  

Romero ospitò nelle canoniche delle chiese i lavoratori in arrivo e smascherò le politiche portate avanti dai latifondisti, che assumevano in nero violando il sistema lavorativo salvadoregno che, per gli standard, era avanzato. Questo chiarì il suo nuovo quadro della realtà, proprio mentre il paese andava in frantumi e l’omonimo del vescovo, il generale Romero, assumeva il potere con un golpe.

Nel 1977 si liberò l’arcivescovado di San Salvador; l’oligarchia, che non aveva monitorato i progressi interiori di Romero e si ricordavano il vecchio Oscar, spinse per la nomina di Romero, che assunse funzione il 22 febbraio 1977.

Romero restituì al mittente un’automobile dono della presidenza della Repubblica, chiedendo piuttosto chiarezza sul rapporto da lui richiesto, e rifiutò la villa offerta dagli oligarchi: sembrava un abominio accettare tale dono quando metà del paese faceva fatica ad avere una casa. Egli andò a vivere in una stanzina miserrima nella cappella di un ospedale di suore, salvo poi trasferirsi in una casetta nello stesso ospedale. Il 12 marzo 1977 fu ucciso l’amico Rutillo Grande, parroco in una regione contadina, che portò avanti un lavoro di evangelizzazione, formando ben 2000 catechisti (di cui solo poche decine sopravvivranno ai massacri). Romero ebbe gli occhi definitivamente aperti quando, nel comunicargli la notizia, Molina definì Rutillo un “comunista”.

Da guida a martire

Il 20 marzo 1977 Romero celebrò una messa grandiosa dalla cattedrale, che fu l’unica del giorno in tutto il paese e fu definita, storicamente, la Misa Unica. Essa cementò l’unione della Chiesa salvadoregna e sancì la definitiva scelta di campo dell’arcivescovo. Preti e religiose subirono omicidi, e attorno ai suoi nuovi martiri si unì il popolo vittima della dittatura. Il 7 maggio 1979 Romero incontrò Giovanni Paolo II, col quale sicuramente ebbe difficoltà di comprensione. Il papa polacco era da poco salito al soglio di Pietro, figlio di un paese oppresso dal comunismo adottò categorie europee per comprendere una realtà a lui molto distante, e era determinato a smantellare il sistema comunista. Romero era fresco degli incoraggiamenti del defunto Paolo VI, Woitijwa gli raccomandò prudenza nel trattare col governo, memore delle sue esperienze personali in Polonia.

Romero divenne “la Voce dei senza voce”, denunciò in ogni omelia radiotrasmessa i soprusi che insanguinavano e brutalizzavano il Salvador; una radio del Costa Rica, amplificata da stazioni venezuelane e colombiane, portava in tutto il subcontinente latinoamericano la voce di Romero. Consapevole di essere sotto assedio e nella lista nera, scrisse a Carter chiedendo la fine degli aiuti militari al paese e, nell’ultima omelia del 23 marzo 1980, giocò la carta del richiedere ai militari un’esplicita cessazione della violenza e un’obiezione di coscienza. Profondamente cristiani e di stirpe contadina, buona parte dei militari sarebbero stati probabilmente colpiti da una serie di parole del genere. Tuttavia, Romero il giorno successivo fu assassinato mentre celebrava una messa privata nell’hospedalito dove viveva.

Il 30 marzo 1980 i funerali di Romero videro un’adunata oceanica, a cui la dittatura rispose con bombe e tiri di cecchini. La morte di Romero accese la miccia della guerra civile nel paese; le varie anime della guerriglia avrebbero potuto prendere il potere subito e risparmiare al paese gli 80.000 morti che seguiranno se solo dopo tali obbrobri si fossero fatti trovare pronti e coesi.

Romero evidentemente non divenne comunista, come fu accusato. Il popolo oppresso poteva probabilmente accostare tutti coloro che lo difendevano, e probabilmente considerarlo vicino a posizioni simili, ma di certo Romero fu “accusato” di comunismo a causa delle sue prese di posizione. Inoltre, l’arcivescovo fu accostato alla Teologia della Liberazione, avendovi aderito tutti i suoi collaboratori più vicini: quindi sono fallaci le accuse che lo ritenevano contrario a tale corrente; non fu teologo ma fu sicuramente “vescovo della Liberazione”. La Chiesa Cattolica lo ha ritenuto a tutti gli effetti un “martire”, morto alla maniera di Gesù di Nazareth, per aver cercato la Giustizia del Regno di Dio.

L’ascesa di Papa Francesco ha portato alla fondamentale proclamazione della correlazione che c’è tra la difesa della Giustizia e la difesa del Cristianesimo: la Giustizia è elemento importante della Fede. Romero temeva la morte, la sola idea lo faceva tremare, ma la sua uccisione creò un precedente per le future prese di posizione della Chiesa. Che elevando il monsignore salvadoregno all’onore degli altari ne ha infine riconosciuto il martirio in odium fidei: Romero è stato proclamato beato, in una solenne celebrazione presieduta dall’ex prefetto della Congregazione delle cause dei santi Angelo Amato in San Salvador, il 23 maggio 2015 e proclamato santo tre anni dopo da Papa Francesco. A testimonianza di un riconoscimento universale di un’opera fondamentale per un Paese travolto dalle disgrazie della storia.

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I ritratti dell’Osservatorio

Bresciano classe 1994, si è formato studiando alla Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali della Statale di Milano. Dopo la laurea triennale in Economia e Management nel 2017 ha conseguito la laurea magistrale in Economics and Political Science nel 2019. Attualmente è analista geopolitico ed economico per "Inside Over" e "Kritica Economica" e svolge attività di ricerca presso il CISINT - Centro Italia di Strategia e Intelligence.

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