Papa Francesco in Iraq: un viaggio storico sulle rotte di Abramo
Il viaggio di Papa Francesco in Iraq è un evento di portata storica per diversi punti di vista. Rappresenta la realizzazione di un sogno antico del Vaticano, già inseguito da San Giovanni Paolo II nel 1999, anno in cui il pontefice polacco accarezzò l’idea di un pellegrinaggio a Ur dei Caldei: portare la presenza della Chiesa nel cuore del Medio Oriente, sulle rotte calpestate dal patriarca Abramo, far sentire la vicinanza della Santa Sede a quelle antiche comunità cristiane che da millenni ivi risiedono, “più arabi degli arabi” per citare quanto scritto da Fulvio Scaglione ne Il patto con il diavolo, mandare un messaggio di dialogo dirompente al mondo islamico. Porta per la prima volta un pontefice a visitare un Paese avente come religione maggioritaria l’Islam sciita. Rafforza la postura ecumenica del pontificato di Jorge Mario Bergoglio col primo viaggio dall’inizio della pandemia di Covid-19, a un anno di distanza dalla preghiera solitaria, sotto la pioggia che bagnava Piazza San Pietro, con cui il Papa ha mandato un messaggio di forza e speranza all’umanità intera.
Le disastrose conseguenze dell’intervento statunitense in Iraq del 2003, la perenne guerra di tutti contro tutti, conflitto al tempo stesso religioso, settario, politico, apertasi dopo la caduta di Saddam Hussein e la brutale parabola del Califfato islamico hanno, da allora in avanti, sconvolto l’Iraq e portato nell’occhio del ciclone le comunità cristiane della Mesopotamia. “I dati più affidabili sulla fuga di cristiani dall’Iraq parlano di un calo delle presenze da 1,4 milioni a 3-400mila o comunque meno di 500mila, secondo quanto ricordato spesso dal patriarca caldeo, il cardinale Louis Raphaël Sako”, ricorda all’Osservatorio l’onorevole Paolo Formentini.
Formentini, 40enne bresciano esponente della Lega, eletto alla Camera nel 2018 e vicepresidente della Commissione Esteri, ha espresso di recente grande apprezzamento per il fatto che “la Chiesa si interessi con sempre più forza al problema della sopravvivenza della testimonianza di fede” e nel contesto della negoziazione per la Legge di Bilancio 2019, scritta dal governo Conte I, si è fatto promotore di un emendamento ad hoc per istituire un fondo a favore dei cristiani perseguitati, la cui disponibilità è stata ampliata dalla finanziaria approvata nel dicembre scorso.
Confrontandosi con l’Osservatorio Formentini mostra grande speranza e ottimismo per i risultati che la visita papale in Iraq può produrre, sottolineando che sulla scia degli insegnamenti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI la vicinanza ai cristiani iracheni, a lungo perseguitati, e il confronto con le massime autorità dell’Islam iracheno possono dimostrare che “il dialogo interreligioso, compiuto nel completo rispetto delle radici delle rispettive fedi e evitando ogni forma di nichilismo e relativismo, può essere un vero motore di progresso umano e di sviluppo di una convivenza pacifica tra i popoli” in aree a lungo segnate da scontri e violenze.
Non a caso “l’itinerario del Papa è estremamente simbolico”, rappresentando un viaggio tra storia, memoria e riconciliazione: centro del viaggio saranno la grande messa allo Stadio di Erbil e l’incontro nella città santa di Najaf con l’ayatollah Ali Sistani, figura chiave dell’Islam sciita iracheno (e del panorama pubblico nazionale, come ha ricordato l’analista Mauro Indelicato). Eventi che si svolgeranno nel quadro di un viaggio che Formentini non manca di definire “coraggioso” per le continue minacce alla sicurezza interna che anche ultimamente l’Iraq ha seguito.
In Iraq Bergoglio avrà modo di toccare con mano i simboli del dolore e della persecuzione subita negli ultimi anni dai cristiani d’Iraq per mano della violenza settaria che ha sconvolto il Paese, acuita dalla cieca ferocia e del radicalismo dei miliziani dello Stato Islamico, che nella piana di Ninive e a Mosul ebbero il loro epicentro. A Baghdad Francesco visiterà la Cattedrale siro-cattolica, teatro nel 2010 di un attentato in cui perirono 48 cristiani; a Mosul, ricorda Formentini, “la lettera araba nun”, la prima della parola Nassarah (“Nazareni”), “divenne il simbolo con cui venivano marchiate dai jihadisti le case dei cristiani locali” a partire dal 2014.
Qaraqosh, Telkaif, Tel Eskof, Bartella, Qaramlesh, Bashiqa: la geografia delle comunità cristiane nella Piana di Ninive, per diversi anni, è divenuta una geografia del dolore, i toponimi ricordano altrettante località da cui i cristiani sono dovuti fuggire, per evitare la marea montante di persecuzioni che per altri popoli, come gli yazidi, si sono tramutate in vere e proprie campagne genocide. Ma la visita del Papa coincide con il ritorno della speranza.
Formentini spiega: “Aiuto alla Chiesa che soffre ha certificato che circa il 45% delle famiglie cristiane della piana di Ninive è tornata ad abitare le terre abbandonate durante la persecuzione degli ultimi anni” e il Papa vedrà in prima persona luoghi segnati dal dolore e dall’odio: prima fra tutte, la chiesa di Qaraqosh in cui gli estremisti si esercitavano usandola come poligono e in cui, come ha riportato dall’Iraq Fausto Biloslavo su InsideOver, le icone della Vergine, dei santi e di Gesù sono state brutalmente vandalizzate. Proprio la piana di Ninive e i futuri progetti per il ritorno in patria delle comunità perseguitate e disperse, secondo Formentini, potrebbero coinvolgere gli interventi del fondo italiano per i cristiani perseguitati della cui attivazione, a pochi giorni dalla partenza del Papa, il ministro degli Esteri Luigi di Maio ha discusso con il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin.
Il Papa vedrà anche Ur, ripercorrendo i passi di Abramo, la cui figura secondo Formentini è il vero filo conduttore del viaggio: “Abramo è il simbolo di un dialogo interreligioso che ha al centro il Medio Oriente e vede la Chiesa cattolica confrontarsi anche con l’Islam sciita dopo averlo fatto con l’Islam sunnita e il mondo ebraico”, e in questo contesto si può tracciare il parallelismo con gli Accordi di Abramo conclusi da Israele, Stato ebraico, e Emirati Arabi Uniti, Paese musulmano, con la mediazioni degli Usa, che hanno aperto la strada a una fase distensiva nella regione. Il dialogo interreligioso è fondamentale per creare le condizioni sociali, umane e morali perché quello politico possa avere successo. E in fin dei conti la missione principale di Papa Francesco sarà quella di mandare un messaggio vigoroso, forte e inequivocabile ai cristiani d’Oriente, alla loro testimonianza, alle loro comunità: tenete duro, la Chiesa è con voi. Premessa fondamentale perché si realizzi l’auspicio papale, riassunto in un recente messaggio. Bergoglio si è augurato che “la presenza dei cristiani in queste terre continui a essere ciò che è sempre stata: un segno di pace, di progresso, di sviluppo e di riconciliazione tra le persone e i popoli”. Che la promozione di un proficuo dialogo interreligioso può effettivamente incentivare.
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