Tra Nato e neutralità: il dilemma dell’Ucraina in guerra
I colloqui di pace tra Russia e Ucraina delle scorse settimane, bruscamente interrotte dal controverso caso del massacro di Bucha denunciato da Kiev, avevano riportato sul terreno il tema della neutralità dell’Ucraina al di fuori di qualsiasi schema di alleanza legato alla Nato. Ebbene, qualora il filo del dialogo dovesse riprendere in futuro, si ragionerebbe su una proposta che sarebbe già stata avanzata al leader di Kiev Volodymyr Zelensky a Monaco dal cancelliere tedesco Olaf Scholz.
A riportarlo il Wall Street Journal, secondo cui in occasione della Conferenza sulla Sicurezza tenutasi nel capoluogo della Baviera Scholz avrebbe offerto a Zelensky, lì convenuto per denunciare le mire russe sul suo Paese, la rinuncia a ogni aspirazione all’ingresso dell’Alleanza Atlantica in cambio di un accordo di garanzia securitaria firmato tanto da Vladimir Putin quanto da Joe Biden. Pochi giorni prima Scholz, del resto, aveva dichiarato che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato “non è nell’agenda” dei Paesi della coalizione occidentale.
Zelensky avrebbe rifiutato la mossa distensiva di Scholz, non credendo di potersi fidare della scelta di sottoscrivere garanzie securitarie mediate da un leader come Putin, che solo cinque giorni dopo ha dato alle forze armate russe l’ordine di invadere l’Ucraina. Plausibilmente il presidente ucraino, in quei giorni, stava prendendo atto del rischio reale di un’invasione dopo che le informazioni passate a Kiev dai servizi segreti Usa e dell’Anglosfera presentavano chiaramente l’entità della mobilitazione russa. Il 12 febbraio Zelensky aveva dichiarato: “Gli avvertimenti degli Stati Uniti su una possibile invasione russa dell’Ucraina causano il panico”, aggiungendo di voler vedere prove concrete su piani di invasione prima di prendere decisioni nette e definitive. Una settimana dopo a Monaco, nei giorni in cui Scholz avrebbe fatto l’offerta di pace, l’ex comico ha fatto un discorso a tinte oscure, presentando l’invasione russa come inevitabile e paragonando la Monaco del 2022, che rifiutava l’ingresso ucraino nella Nato, a quella del 1938, dell’appeasment tra Occidente e Germania nazista.
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Il dado era oramai tratto: Russia e Ucraina si ritenevano già pronte alla guerra. La macchina della mobiltiazione di Mosca era entrata a pieno regime e Zelensky aveva già dato ordine di rinforzare le difese nel Donbass e di prepararsi all’urto che, fino ad ora, le forze ucraine hanno retto con notevole capacità di resistenza. Secondo il Wsj, decisivo nel diniego di Zelensky sarebbe stato proprio il fattore umano: il leader di Kiev ha presentato la profonda sfiducia verso Putin come causa determinante del diniego al patto proposto da Scholz, estremo tentativo di salvare l’asse geoeconomico e strategico della GeRussia coltivato per anni da Angela Merkel e demolito dallo Zar del Cremlino con l’attacco del 24 febbraio. “Non ci si può fidare di Putin”: così Zelensky chiuse le porte alla mossa di Scholz.
Del resto, Zelensky, come poi ha dichiarato in un’intervista alla Cnn, la Nato aveva già messo in chiaro nei fatti che non avrebbe ammesso Kiev, ma sul fronte pubblico ha mantenuta aperta la porta all’opzione. Dunque assecondando la volontà di una quota crescente della popolazione del Paese che spera nelle garanzie securitarie occidentali. Per il giornalista Aaron Maté questo fa sorgere un interrogativo: la Nato, di fatto, avrebbe detto a Zelensky di “usare il proprio Paese per colpire la Russia” senza alcuna controparte garantita?
Ne valeva la pena, si chiede il direttore di The Grayzone? Va da sé che in campo ucraino stava sicuramente indebolendosi il partito della pace che, simmetricamente a quello russo sormontato dalle volontà bellicistiche del Cremlino, riteneva fatalisticamente inevitabile l’invasione russa. La mediazione di Scholz e del presidente francese Emmanuel Macron ha ricevuto, per diverse settimane, l’appoggio sotterraneo del leader di Kiev, ma alla fine su ogni punto di vista l’oltranzismo ha trionfato. Da parte russa, soprattutto, dato che non c’è dubbio sulla netta distinzione tra aggrediti e aggressori in questa guerra. Ma anche da parte ucraina, con il via libera alla scommessa secondo cui la trasformazione del Paese in un campo di battaglia avrebbe permesso di creare sul campo le prospettive per un’adesione alla Nato.
Come del resto sottolineava nel 2019 in un’intervista recentemente ripresa da Piccole Note Oleksiy Arestovych, il principale consigliere di Zelensky, una parte degli apparati potere ucraini ragionava esattamente su queste traiettorie: “Il nostro prezzo per entrare a far parte della Nato è una grande guerra contro la Russia, che ha una probabilità del 99,9%. E se non aderiamo alla Nato, ci sarà l’assorbimento da parte della Russia entro 10-12 anni. Ecco la forchetta che stiamo affrontando ora e dobbiamo fare una scelta”. Complice l’inaffidabilità di Putin sul fronte diplomatico, Zelensky ha ritenuto inevitabile il dover difendere la patria con le armi. E la mediazione di Scholz e Macron è tramontata. Avvicinando il Donbass del 2022 alla Sarajevo del 1914: lo scenario a partire dal quale la macchina bellica si è messa in moto inarrestabile. Travolgendo gli sforzi diplomatici del “partito della pace” di ogni fazione in lotta. Ma come ricordato anche dall’ambasciatore Sergio Romano dialogando in un talk di Inside Over pochi giorni dopo l’inizio della guerra, dall’opzione della neutralità ucraina come via per la risoluzione del conflitto è difficile scappare: e mentre dopo Bucha i margini di dialogo vanno restingendosi, è proprio da questo punto che i pontieri oggi in campo (Israele, Turchia, Vaticano) possono e devono muoversi per risolvere la più grave crisi europea dal 1945 ad oggi. L’alternativa è trasformare l’Ucraina in un Vietnam o in un Afghanistan europeo: un’opzione che non conviene a nessuno. Men che meno al popolo oggi vittima di invasione e guerra aperta.