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Volodymyr Zelenskij: dalle prove di teatro alla prova della storia

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Volodymyr Zelenskij: dalle prove di teatro alla prova della storia

Zelenskij. La storia dell’uomo che ha cambiato (per sempre) il modo di fare la guerra“, l’ultimo saggio del nostro Emanuel Pietrobon, è il primo libro italiano dedicato al presidente ucraino. Un comico nato, solito esibirsi nei cabaret nel doposcuola sin dall’adolescenza, dal 2019 è il presidente dell’Ucraina e da quest’anno, dalla notte del 24 febbraio, è stato costretto da Vladimir Putin ad affrontare la prova più ardua: quella della storia. Di seguito vi presentiamo un estratto del saggio.

L’Ucraina verrà ricordata come il primo teatro di guerra in cui la sesta dimensione della conflittualità, cioè lo stregamento dei cervelli, ha avuto un ruolo parimenti importante a quello delle altre cinque dimensioni (terra, mare, aria, spazio, rete) e conseguenze visibili e tangibili sul piano reale. Una volta entrata nella mente delle opinioni pubbliche e delle classi politiche attenzionate, la variabile impazzita Zelenskij è riuscita a ottenere molto, ma non tutto: richieste come l’imposizione di una “no-fly zone”, sebbene abbiano fatto breccia nelle masse, erano impossibili da accogliere perché avrebbero condotto a una guerra mondiale. I successi ottenuti sono stati possibili perché, sin dall’inizio, Zelenskij ha agito di concerto con altri attori deputati alla fabbricazione di consenso e al condizionamento psicologico. L’Ucraina è stata molto più di una guerra mentale in solitaria: è stata soprattutto una guerra di meme, bufale e operazioni psico-informative combattuta da un esercito influencer, di agenzie di pubbliche relazioni, di consiglieri NATO e CIA, «di strateghi politici stranieri, lobbisti di Washington D.C. e [di] una rete di mezzi di comunicazione legati all’intelligence». 

La guerra dei meme ha avuto una natura, una dimensione e una proiezione intrinsecamente internazionali sin dall’alba del conflitto. Più di 150 agenzie di pubbliche relazioni da tutto il mondo, in particolare dall’Occidente, hanno partecipato al “blitz propagandistico” nel primo mese di conflitto: un numero enorme e ingigantito dalla caratura degli attori coinvolti, come la londinese PR Network, un’agenzia privata ma legata allo Stato britannico, che avrebbe peraltro giocato un ruolo di primo piano nel coordinare gli sforzi dei partecipanti esteri.

A livello domestico, invece, l’intero settore della tecnologia mobile, che impiega 250.000 lavoratori, è stato mobilitato con un solo obiettivo: vincere la guerra delle narrazioni suscitando simpatia, sentimenti solidali, sensazioni di falso consenso (astroturfing), sdegno e rabbia volitiva. Agendo in autonomia, ma secondo un piano d’azione definito da un cervello orizzontale ribattezzato la “IT Army” (esercito delle tecnologie dell’informazione) e legato al Ministero della Trasformazione digitale, le imprese digitali hanno creato applicazioni mobili, inondato la rete di prodotti propagandistici e lavorato incessantemente per far prevalere la visione e la versione ucraine su quelle russe. Parola d’ordine: tempestività. Pubblicare una ricostruzione dell’accaduto prima dei russi, perché in guerra il tempismo è credibilità, e meglio di loro, a livello di contenuto – anche umoristico –, perché c’è il rischio che la veridicità sia barattata, fino a prova contraria, con la verità. Ne è un esempio la storia, poi rivelatasi falsa, della morte eroica dei soldati ucraini nell’Isola dei Serpenti – una costruzione dell’internazionale di PR56. Quando l’allievo supera il maestro.

L’impegno delle aziende digitali e della “IT Army” è stato tanto abnorme quanto determinante e ha messo in piedi «centinaia di iniziative soltanto nelle prime quarantotto ore di invasione»: creazione e immissione nel mercato di nuove applicazioni per fabbricare meme, come Memonet, raccolte fondi, supporto alle forze armate in vari modi, dal monitoraggio del confine con la Bielorussia a «un lavoro senza tregua di denial of service», «pubblicazione di video e informazioni sui social media per aumentare la consapevolezza tra gli europei e gli americani».

Il circuito internazionale di agenzie di relazioni pubbliche, la “IT Army” e i consulenti di NATO e CIA nell’ambito delle guerre ibride, insieme, hanno anche cercato di portare la guerra mentale in Russia, provando ad aggirare il muro dell’internet sovrano a protezione dell’opinione pubblica in diversi modi, ad esempio ricorrendo a eserciti di troll creati nottetempo o pubblicando foto e video della guerra negli spazi per le recensioni di siti web e piattaforme russi.

TikTok, in questo contesto, ha svolto un ruolo essenziale. È proprio su TikTok, dove gli utenti russi hanno assistito a un aumento del controllo e alla rimozione dei contenuti a partire da inizio marzo, che la “IT Army”, con l’aiuto di influencer stranieri – alcuni dei quali agli ordini della Casa Bianca – e ucraini, ha focalizzato una parte significativa della campagna psico-informativa. La decisione di concentrare gli sforzi su TikTok, oltre che su Facebook, Instagram e altri social network tradizionali, si può comprendere soltanto spiegando come funziona, a cosa serve e chi lo utilizza principalmente: è la piattaforma di riferimento della Generazione Z, in Ucraina come nel resto del mondo, e ha un algoritmo che permette una diffusione più veloce dei contenuti 

La guerra ucraina, quindi, rappresenta uno spartiacque anche per il modo in cui sono stati utilizzati e trasfigurati i social network: Instagram impiegato da un presidente per parlare col proprio popolo e con il mondo, TikTok trasformato da uno spazio per video comici e musicali a una fabbrica di meme e mini-reportage di guerra. Gli influencer hanno abbandonato le recensioni di vestiti e cibi per raccontare il conflitto dal punto di vista ucraino, parlando a platee composte da minimo centomila seguaci e ottenendo anche oltre venti milioni di visualizzazioni in poche ore. Gli utenti meno seguiti hanno potuto fare leva sull’algoritmo per “popolarizzare” in breve tempo i propri contenuti, diventando influencer a loro volta, contribuendo a mitizzare sia Zelenskij sia la resistenza civile. A fare da sfondo, il dinamismo di personaggi pubblici di origini ucraine ma residenti all’estero, dagli attori agli sportivi, che hanno risposto all’appello della patria sensibilizzando le opinioni pubbliche straniere e, talora, persino recandosi in Ucraina per unirsi alla resistenza.

Il fattore TikTok, per quanto sottovalutato e/o trascurato, è stato indispensabile nel catalizzare il consenso e nel plasmare le convinzioni della generazione Z occidentale. I meme, come spiega la sociologia della comunicazione64, «sono più persuasivi di quanto molta gente realizzi, [in quanto] innescano emozioni […], ancorano un significato attivando l’identità, il senso di appartenenza ed esistenti convinzioni e modelli mentali» e «riescono a tradurre concetti complicati in frasi incisive che costruiscono il quadro narrativo che dà un senso agli eventi e alle esperienze». I meme, in sintesi, possono essere tanto la mera translitterazione grafica di una barzelletta, quanto una raffinata psico-arma in grado di far riflettere e di convincere a documentarsi in un determinato modo. Quelli pubblicati nel corso della guerra, fabbricati in larghissima parte dall’“IT Army” e dai suoi alleati all’estero, hanno aiutato Kiev a vincere la battaglia delle narrazioni.

Una delle tecniche che ha permesso ai “mematori” ucraini di conquistare il giovane pubblico occidentale, e che dimostra quanto sia stato curato il disegno intelligente della strategia comunicativo-informativa, è stata forse, se non certamente, l’abile utilizzo della cultura pop euroamericana, in particolare del cinema hollywoodiano, per produrre contenuti umoristici. I mematori ucraini, infatti, hanno invaso la rete di meme ispirati ai classici di ieri e di oggi, dall’intramontabile Shining di Stanley Kubrick all’universo cinematografico della Marvel. La strategia ha premiato l’“IT Army”, perché la scelta di elementi culturali ben conosciuti dal pubblico da sensibilizzare, o da condizionare mentalmente – a seconda di come si interpreti questo paragrafo di conflitto –, ha accresciuto significativamente la sua identificazione con gli ucraini e lavorato in una direzione favorevole al consenso, all’empatia e alla solidarietà. 

Meme a parte, i TikTokers al servizio di Kiev hanno lavorato al perseguimento di altri due scopi: l’iniezione di morale alla resistenza e la fornitura di linee-guida agli aspiranti combattenti. Il morale dei civili è stato aiutato, ad esempio, popolarizzando leggende di guerra come l’esistenza del presunto “fantasma di Kiev”, un pilota di caccia ucraino che avrebbe abbattuto da solo numerosi velivoli militari russi, e altre storie che, per quanto inverosimili, in un contesto bellico possono incidere enormemente a livello cognitivo ed emotivo. Gli aspiranti combattenti, invece, hanno trovato nell’applicazione video istruttivi su come costruire bombe molotov e altre armi artigianali. Entrambi gli scopi, fatti alla mano, sono stati perseguiti con successo e, proprio per questo, saranno anch’essi destinati a fare scuola agli strateghi di ogni dove nel dopo-Ucraina

 

Estratto da “Zelenskij” di Emanuel Pietrobon, Castelvecchi editore. © 2022 Lit edizioni s.a.s. per gentile concessione

Classe 1992, è laureato in Scienze internazionali, dello sviluppo e della cooperazione all’università degli studi di Torino con una tesi sperimentale intitolata “L’arte della guerra segreta”, focalizzata sulla creazione di, e sulla difesa dal, caos controllato. Presso la stessa università si sta specializzando in Studi di area e globali per la cooperazione allo sviluppo – Focus mondo ex sovietico. I suoi principali campi di interesse sono geopolitica della religione, guerre ibride e mondo russo, che negli anni lo hanno portato a studiare, lavorare e fare ricerca in Polonia, Romania e Russia. Scrive per e collabora con diverse testate, tra cui Inside Over, Opinio Juris – Law & Political Review, Vision and Global Trends, ASRIE, Geopolitical News. Le sue analisi sono state tradotte e pubblicate all’estero, ad esempio in Bulgaria, Germania, Romania, Russia.

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