Partiti ed Opere Pubbliche negli anni ’80: V Puntata
“… sors non est aliquid mali, sed res, in humana dubitatione, divinam indicans voluntatem” Sant’Agostino, ps 30, 16, enarr. 2, serm. 2.
1.5 Lo stadio di Cagliari
Le dinamiche che hanno portato alla ristrutturazione dello stadio di Cagliari per i Mondiali di Calcio del 1990 è uno dei processi locali che sono stati esaminati in vista del campionato. Ne ha tutte le caratteristiche, tra cui, in primo luogo, un’interazione tra gli attori locali che cercano di conquistarsi la visibilità esterna a fini di consenso sociale in occasione di un avvenimento sportivo d’eccezione. Anche nel caso di Cagliari (come in altri casi di Italia ’90) abbiamo la presenza importante di un progettista di infrastrutture sportive e tecnico di fiducia del Coni per la valutazione dei progetti: a conferma di una burocrazia tecnica relativamente indipendente e legittimata nel suo ruolo.
È significativo il contrasto tra il giovane assessore socialista allo sport che cerca di costruire e controllare un nuovo network istituzionale e commerciale ed una rete di relazioni già presente, consolidatasi nei decenni precedenti. Quest’ultima era costituita da un gruppo di notabilato rappresentato nel COL[1] locale, espressione di interessi petroliferi e tradizionalmente legato allo sport ed alla democrazia cristiana. Nel contrasto tra il vecchio milieu economico-politico-sportivo ed il giovane assessore non si inserisce (parteggiando per l’uno o per l’altro) il COL nazionale, a conferma, come emergeva dalle altre ricerche sul tema, di una relativa separatezza tra le community politico-sportivo locali ed il gruppo organizzatore nazionale che aveva referenti e controllori internazionali. La questione rileva anche per altri aspetti. Il network locale, che ha come referente principale la DC, non sembra avere relazioni politicamente significative con il livello nazionale ed anche l’assessore socialista allo sport è isolato. Sembra essere una conferma (Cfr il processo decisionale nazionale di Italia ’90, par. 1.8) che nel caso della ristrutturazione degli stadi non si è messo in moto l’usuale circuito della spesa pubblica per infrastrutture che, come abbiamo visto, vede scendere in campo aziende di Stato o società del gruppo IRI in qualità di mediatori degli interessi e del consenso tra le parti politiche. Anche in questo processo decisionale ruolo secondario sembra aver giocato il consiglio comunale: anche se i partiti di maggioranza e di opposizione sono riusciti a far rientrare nei lavori appaltati una serie di aziende locali che in prima istanza ne erano rimaste escluse. Infine, una notazione particolare va fatta per le questioni più direttamente legate alla società che gestisce la squadra di calcio. Non pare essere attore importante e significativo (analogamente agli altri processi decisionali locali di Italia ’90: sul punto [Morisi 1991]) eppure riesce a portare la squadra al successo (promozione alla serie superiore) ed ottiene dall’amministrazione comunale un trattamento di favore per quanto riguarda alcune pendenze finanziarie rimaste dalla gestione passata.
In questo caso si verifica la circostanza abbastanza inusuale di un interesse specifico (la questione calcistica) che ha scarsa rappresentanza all’interno del processo decisionale ma viene sollecitamente soddisfatto da un attore istituzionale. Avranno forse agito tacitamente i tradizionali canali di rappresentanza del già citato network del notabilato locale ma quello che qui si vuole rilevare è proprio questo: il Calcio si è ripresentato come valore diffuso e condiviso, da nessuno messo in discussione.
1.6. Firenze: Il caso FIAT- La Fondiaria
Fin dagli anni ’50 a Firenze era stata individuata una direttrice quasi obbligata di sviluppo urbanistico (nord-ovest) in una delle ultime zone rimaste interamente libere. Tale era l’indicazione, non realizzata, anche del PRG del 1962 con la previsione di insediamenti produttivi e di terziario. La questione venne ripresa negli anni ’70 prima dalla giunta di centro-sinistra e successivamente dalla giunta di sinistra dopo le elezioni del 1975. Quest’ultima amministrazione si distingue per una certa vivacità progettuale sui temi urbanistici, risollevando una serie di questioni fino ad allora irrisolte: riequilibro tra centro storico e periferia, realizzazione di un centro direzionale, riproposizione del problema dell’aeroporto, parco metropolitano, stazione ferroviaria, ecc. Viene anche approvata una variante al PRG per la destinazione a funzioni direzionali dell’area di Novoli: ipotesi temporaneamente non perseguita anche per intervento degli organi regionali, sovraordinati per legge alle procedure di revisione urbanistica.
Si arriva alla metà degli anni ’80 senza che si sia realizzato alcunché di concreto anche se nel frattempo altri attori erano entrati in campo: il Comune attiva un ufficio speciale per la revisione del PRG; la compagnia assicuratrice La Fondiaria, con solide tradizioni cittadine, provvede a fare massicci acquisti di terreni lungo la direzione Nord-Ovest in località Castello; la Fiat annuncia progetti di espansione su terreni di sua proprietà nella stessa direzione in località Novoli. Si prospetta la possibilità di un intervento urbanistico molto complesso con insediamenti di terziario pubblico e privato e l’intervento diretto dei due importanti soggetti economici privati. La compagnia assicuratrice era proprietaria di 130 ettari su 186; pensava di investire 500 mld (25% delle sue riserve tecniche) per un tempo di realizzazione di 15 anni. Si calcolava un investimento totale di 1.100 mld.
Per quanto riguarda la Fiat (che però non aveva un piano ben articolato ed ufficialmente presentato) l’area dismessa sarebbe stata in parte (4,5 ettari) ceduta al Comune per il nuovo palazzo di giustizia di cui il comune avrebbe curato il progetto (per 200 mila Mc); in parte sarebbe diventata parco pubblico, parcheggi e viabilità (13 ettari); in parte sarebbe diventata area edificabile da dare alla stessa Fiat (15 ettari; 900 mila Mc: pari alla volumetria già esistente). Nei nuovi edifici la società torinese avrebbe voluto insediare l’INPS, l’Ufficio Tecnico Erariale, la Guardia di Finanza, le poste, l’Istituto Autonomo Case Popolari, la Camera di Commercio, alcune banche, terziario privato, gli uffici commerciali della stessa Fiat. Questi ultimi erano situati in un’altra area che, a progetto approvato, la Fiat avrebbe edificato per costruire un albergo di lusso ed un istituto bancario (si ipotizzava una superficie di 78 mila Mc: 60 per l’hotel e 18 per l’istituto e lo show room). In metri quadri: 5.300 su un totale di 15 mila. Si prevedeva anche un collegamento attraverso un passaggio aereo.
Le due compagnie private avrebbero avuto un indubbio guadagno se l’operazione fosse andata in porto. C’era però una certa differenza, anche quantitativa, tra i due progetti: quello della Fiat era pari al 17% di quello della Fondiaria. La decisione di puntare su un’unica variante e di dare così corpo unico a due interventi nati da due soggetti diversi e con motivazioni diverse fu presa dalla parte politica (in particolare il presidente comunista della regione) anche se a sostenerla inizialmente fu Bruno Zevi, tecnico di fiducia della Fiat prima, del Comune poi. A posteriori si può dire che forse la decisione costituì più un ostacolo che un vantaggio: c’è chi sostiene che si sarebbe potuto procedere gradualmente dando il via al più modesto intervento Fiat e verificare in corso d’opera i problemi che sarebbero emersi.
In realtà, quello che si evidenzia nel caso fiorentino è una sorta di curiosa improvvisazione dei responsabili amministrativi, specialmente comunisti, che iniziano un processo di decisione su tematiche di grande complessità senza che si possa cogliere una equilibrata preoccupazione per i problemi che, a cascata, ne sarebbero derivati. Basti pensare al capitolo delle infrastrutture: ad un certo punto si calcolò che per realizzare il piano sarebbero stati necessari almeno 2 mila mld, senza che ci fosse chiarezza su come averli e come spenderli. La questione emerge con maggiore chiarezza da uno dei punti di conflitto più evidenti: mentre si dà incarico e si continua a far lavorare un gruppo di progettazione per la revisione del PRG (necessaria anche per l’intervento specifico) si preferisce trascurare l’evidente differenza d’impostazione tra le due questioni: da un lato espansione e “duplicazione” della città di Firenze con l’ipotesi della variante unica; dall’altro micro interventi di conservazione e riequilibro nelle ipotesi di due tecnici come Astengo e Campos Venuti[2] ampiamente noti per i loro orientamenti urbanistici.
Come in altri casi e come è già stato notato [Morisi 1990] l’amministrazione comunale è un’arena più che un attore. Incapace di darsi una personalità ed uno stile di decisione, sembra subire decisioni prese in altre sedi. Anche se in questo caso non pare che i “luoghi partito” abbiano contato più di altri: la stessa fine del processo decisionale, emblematicamente, viene decisa con un intervento autoritativo di legittimazione partitica[3]. Piuttosto, la ricostruzione dell’intero processo suggerisce un angolo di lettura parzialmente diverso.
Si è già detto dell’inusuale imponenza dell’intervento urbanistico prospettato. Pur se di proposta privata, l’impressione è che anche in questo caso, come a Torino, il gruppo dirigente comunista avesse intravisto la possibilità di caratterizzare la città ed il “loro” governo municipale con un intervento eccezionale di cui avrebbe vantato la primogenitura ricavandone vantaggi anche in termini di legittimazione. Il voler legare il proprio destino politico ad un intervento urbanistico di grande respiro sembra essere così un tema ricorrente delle amministrazioni di sinistra che, in assenza di altri importanti strumenti comunali, puntano sui valori più rilevanti di cui possono disporre: senza, tuttavia, una disamina attenta dei problemi che ne derivano.
La debolezza intrinseca dell’intero processo risiede forse anche in un’altra caratteristica del contesto, apparentemente scontata. Attorno all’ipotesi della variante Fiat-Fondiaria hanno lavorato tutte le parti politiche nelle varie amministrazioni succedutesi. Pur con qualche distinguo interno: i dissensi erano soprattutto all’interno del PCI. Talvolta parte del PSI, probabilmente in termini strumentali, aveva posto il problema dell’adeguamento dell’aeroporto di Peretola, in modo da renderlo parzialmente incompatibile con l’ipotesi della variante e creare problemi al partner più importante (PCI). Tutti i partiti, comunque, si sono ritrovati abbastanza d’accordo sull’ipotesi di non far fallire un’occasione da loro ritenuta fondamentale per l’intera città.
Vi è stato un impatto diretto, senza alcuna mediazione significativa, tra l’intero sistema politico e i due partner privati e tra essi e la massa dei problemi emergenti. Si è già detto dell’assenza dell’attore “amministrazione”; si può aggiungere che, come in altri casi, la progettualità tecnica era gestita al di fuori degli uffici comunali (con una parziale differenza per l’ufficio speciale per la revisione del PRG) e che lo stesso gruppo di progettisti incaricati di elaborare la variante era stato scelto in base ad una accurata alchimia partitica. Ci si può chiedere quale può essere la razionalità urbanistica di tale scelte. Ma la domanda è posta male perché una razionalità esiste ed è la razionalità di un sistema politico che ha potere decisionale in qualità di ceto dirigente al di fuori di qualsiasi distinzione tra governo ed opposizione e che agisce in maniera autoreferenziale: ogni partito e gruppo politico a modo suo. Il Pci, per es., sembra avere un rapporto molto stretto con la sua base; mentre il PSI si caratterizza per la rappresentanza di interessi specifici, probabilmente anche a fini tattici: da qui la polemica per l’allargamento della pista dell’aeroporto di Peretola che interessava buona parte degli operatori economici fiorentini. Il PRI si differenzia soprattutto per l’insistere su accordi pubblico\privati: sua la proposta di una società mista (pubblico\privata, appunto) per la gestione di tutta l’operazione variante.
Il tutto in un equilibrio molto delicato dove il potere di veto è tanto paralizzante quanto massima è la discrezionalità degli attori in gioco, ab-soluti da vincoli di qualsiasi genere. In un certo senso, il ricercatore ha registrato il massimo della discrezionalità politica (chi decide dell’importanza della variante?) con il minimo di amministrazione (cioè di progettualità pubblica, “terza” rispetto agli interessi in gioco). È stato scritto [Morisi 1990] che il caso fiorentino mostra come sia possibile il piegarsi di un’amministrazione comunale ad interessi privati molto forti (analogamente [Bobbio 1990] sul caso Lingotto a Torino).
Bibliografia
Bobbio L. 1990, Archeologia industriale e terziario avanzato a Torino: il riutilizzo del Lingotto, in Metropoli per progetti (AAVV), Bologna: Il Mulino.
Morisi M. 1990, Chi decide il futuro di Firenze: pianificazione urbanistica e conflittualità urbanistica e conflittualità politica nel progetto Fiat- Fondiaria, in Metropoli per progetti (AAVV), Bologna: Il Mulino.
Morisi M., 1991, Gli stadi di Italia ’90: gli attori di un’esperienza di amministrazione locale, AMMINISTRARE n.1
Pirré G. 1990- Italia ’90 e la Policy Sportiva Italiana, Rapporto di Ricerca
Pirré G., 1993- Le misure di restrizione e di regolazione del traffico nella città di Bologna (1970\93) – Rapporto di ricerca per il Corep-London School of Economics, su commessa della Comunità Europea in tema di “La città sostenibile”
Note
[1] In vista dei Mondiali di Calcio del 1990 “…nel Dicembre 1984 venne costituito a Zurigo – dove ha sede legale – il Comitato Organizzatore Locale (COL), con una sede succursale a Roma (Comitato Italia ’90). Il documento di costituzione del COL porta la firma del Presidente e del segretario della FIFA, del Presidente e del segretario Generale della FIGC. Erano presenti alla firma Franco Carraro, Presidente del CONI, nonché i vice-presidenti della FIGC. L’avv. Luca Cordero di Montezemolo venne nominato Direttore Generale del COL, di cui Carraro divenne presidente.” [Pirré 1990]
[2] Ho avuto modo di incontrare Campos Venuti in occasione di un’altra ricerca [Pirré 1993]. Conoscevo già il suo valore professionale e scientifico: la mia intervista doveva durare circa un’ora ma la sua disponibilità permise di registrare per quasi quattro ore.
[3] Era stato il segretario del PCI Achille Occhetto ad imporre lo stop.
Indice
I Puntata (Premessa; Introduzione: a) Alcuni temi della letteratura; b) I case-study esaminati; Bibliografia; Note).
II Puntata (Capitolo 1. I processi decisionali; 1.1. Genova: le Colombiadi; 1.2. Roma Capitale; Bibliografia; Note).
III Puntata (Capitolo 1. I processi decisionali; 1.3. Palermo: una costa lunga decenni; Bibliografia; Note).
IV Puntata (Capitolo 1. I processi decisionali; 1.4. Torino: Il Palazzo di Giustizia; 1.4.1. Alcune comparazioni tra il caso torinese e quello palermitano; Bibliografia; Note).
V Puntata (Capitolo 1. I processi decisionali; 1.5. Lo stadio di Cagliari; 1.6. Firenze: il caso Fiat- La Fondiaria; Bibliografia; Note).
VI Puntata (Capitolo 1. I processi decisionali; 1.7. Alcune Considerazioni; 1.8. Italia ’90; Bibliografia; Note).
VII Puntata (Capitolo 2. Uno sguardo di sintesi; 2.1. Le caratteristiche dell’Area di Policy; 2.1.1. Aziende Pubbliche e PPSS; Bibliografia; Note)
VIII Puntata (Capitolo 2. Uno sguardo di sintesi; 2.1.2. La Società Civile; 2.1.3. I Partiti; 2.2.Politica, Economia, Identità Sociale; Bibliografia; Note)
IX Puntata (Capitolo 2. Uno sguardo di sintesi; 2.3. Politica, Mercato, Pubblica Amministrazione; Bibliografia; Note)
X Puntata (Capitolo 3. A futura memoria; 3.1. Gli indicatori di policy: a) il mercato, b) la pubblica amministrazione, c) la discrezionalità politica; 3.2. Alcune questioni di metodo: a) il sistema oppositivo, b) universo convenzionale; Bibliografia; Note)
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