Partiti ed Opere Pubbliche negli anni ’80: VIII Puntata
“… sors non est aliquid mali, sed res, in humana dubitatione, divinam indicans voluntatem” Sant’Agostino, ps 30, 16, enarr. 2, serm. 2.
2.1.2. La Società Civile
Abbiamo già messo in rilievo la debolezza intrinseca delle amministrazioni comunali. Apparse più come arene che come protagonisti. Può essere interessante soffermarsi sul diverso ruolo della cosiddetta società civile e riflettere su quanta parte delle utilità soggettive (anche degli attori economici di mercato) sia stata influenzata dagli equilibri che sono venuti consolidandosi.
Ci sono state iniziative di imprese locali che miravano a garantirsi commesse pubbliche ogniqualvolta si andavano prospettando investimenti pubblici, in presenza o in assenza delle aziende del gruppo Iri o dell’Anas. Il rapporto tra imprenditoria e livello politico ed istituzionale è una delle chiavi interpretative più importanti. Laddove, come a Firenze, i soggetti privati erano particolarmente forti e di caratura nazionale l’intero sistema politico locale è stato attraversato dalla issue per più anni fino a quando il veto imposto da un segretario di partito non ha bloccato tutto. Qui l’imprenditoria locale è sembrata avere un ruolo defilato, quasi in attesa che si definissero le scelte.
A Torino, all’opposto, è stato un privato particolarmente forte (la Fiat) a sottrarsi in una fase preliminare ed ancora poco definita. Significativamente, però, la sua uscita di scena ha impedito al soggetto politico locale (PCI) di massimizzare una politica di programmazione sulla quale aveva puntato parecchio. Negli altri casi (Genova, Roma, Italia ’90) le imprese locali hanno fatto sentire la loro voce per non essere escluse dalla ripartizione delle risorse.
Il caso di Palermo è a parte perché siamo in presenza di un soggetto privato (la Sailem) che riassume, a gradazione maggiore dei partiti, ruolo economico e ruolo politico; non solo controlla il processo decisionale per oltre 20 anni ma riesce a condizionare il comportamento di tutti gli altri attori: amministrazioni locali, consigli di quartiere, aziende di costruzione nazionali, decine di professionisti e tecnici palermitani. Se, come pare, la Sailem apparteneva alla galassia di Cosa Nostra il ricercatore deve leggerla come Attore che agisce contemporaneamente su tre dimensioni analitiche: 1) istituzionale (uso della forza); 2) politico-discrezionale (modifica l’iniziale formulazione del problema); 3) economica (la Sailem è anche un’impresa).
Per quanto riguarda le nomine dei progettisti, come abbiamo già rilevato, venivano seguiti criteri di lottizzazione partitica; e solo in 2 casi, Renzo Piano a Genova, Campos Venuti ed Astengo a Firenze, possiamo parlare di reale autonomia progettuale. Piano, che è stato uno degli iniziatori del processo decisionale, è un caso del tutto eccezionale. La sua fama internazionale lo posizionava al di sopra di qualsiasi possibilità di condizionamento anche se la sua indipendenza non ha migliorato le capacità realizzative. Nel caso dei tecnici di Firenze si tratta di attori autoreferenti sul piano politico (di più nel caso di Campos Venuti) e quindi dotati di ampia autonomia[1]. Sempre a Firenze, i contrasti interni al folto gruppo di progettazione dei privati hanno portato all’uscita di scena di qualche protagonista. Pensiamo di doverlo considerare come un fisiologico dibattito tra diverse impostazioni e valutazioni progettuali. Non a caso si è trattato sempre di tecnici di rilievo internazionale in grado di rifiutare le scelte che andavano profilandosi.
Il problema della scelta dei progettisti rileva per questioni strettamente tecniche ed urbanistiche. Tuttavia, una notazione va fatta. Se prendiamo il caso di Torino incontreremo un’impresa del gruppo IRI (Edil-Pro) presente sul mercato dell’edilizia giudiziaria negli anni ’80 in tutta Italia (vi era un apposito capitolo di spesa nel bilancio dello Stato). È la stessa impresa che avrebbe potuto realizzare un’opera a Firenze nel caso fosse andato in porto l’accordo con la Fiat; ed è la stessa ditta che ha realizzato palazzi di giustizia in altre città italiane. L’azienda utilizza quasi sempre lo stesso gruppo di progettisti[ii] e, per quello che sappiamo, ripropone gli stessi stili architettonici. In questo senso, quale che sia il giudizio sulle opere, si deve rilevare che attraverso equilibri politici e di partito vi è un impatto diretto ed immediato sull’estetica delle città italiane. È questo il motivo che ci induce a dire che la cogenza di logiche discrezionali intra-organizzative (di partito, di imprese garantite) rischia di produrre diseconomie esterne: qui intese come mancata ricerca architettonica e di stile, da adattare ai differenti contesti urbani.
Per quanto riguarda i cosiddetti “interessi diffusi” (comitati ad hoc, di quartiere, ambientalisti, ecc.) non pare che abbiano costituito un valido contrappeso alle scelte effettuate. Talvolta però (a Torino e soprattutto a Firenze) hanno frenato il processo decisionale. Nel caso di Italia ’90 hanno influito sulla formulazione di alcune regole procedurali, poi vanificate dai soggetti chiamati a decidere: si fa riferimento alle Conferenze dei servizi dove il potere di veto dei funzionari preposti ai beni ambientali e culturali, presenti su pressione degli ambientalisti, non è stato esercitato con la dovuta solerzia.
2.1.3. I Partiti
Sono dei soggetti che riescono a modificare sensibilmente le curve di utilità degli attori inducendoli ad accettare le regole del gioco da loro imposte come conditio sine qua non per rimanere in quell’arena. La questione merita di essere approfondita. Il sistema politico in riferimento al mercato delle opere pubbliche deve essere diviso in due sub-sistemi: da un lato il PCI e le imprese cooperative dall’altro i partiti di governo e le aziende del settore pubblico (PPSS, Anas, ecc.). La distinzione non deve essere vista in maniera rigida; tendenzialmente, però, essa rimane valida perché dai risultati della nostra ricerca emerge chiaramente una certa differenza e, soprattutto, una dinamica dei conflitti che può essere spiegata solo con una differente distribuzione degli spazi di interesse: controllo delle imprese pubbliche da un lato, garanzia di benefici per imprese collaterali dall’altro. Rimane differente anche la storia della dinamica interna ai due sub-sistemi.
Il rapporto tra Pci e Lega delle cooperative (o sistema delle imprese cooperative) si è venuto modificando soprattutto durante gli anni ’70. Mentre in una fase iniziale il potere di influenza del partito era senz’altro maggiore e indiscusso, successivamente il potere economico crescente e la relativa conseguente autonomia resero il sistema delle imprese cooperative sempre più autonomo e non più disponibile a rimanere un luogo di riposo per dirigenti politici in disarmo. Vi è stata, quindi, una dinamica interna che a poco a poco ha reso sempre meno vincolato il soggetto che operava dal lato del mercato (le imprese cooperative) e sempre meno influente il soggetto che operava dal lato delle istituzioni (il PCI). Questo modello regge tuttora ma non v’è dubbio che il potere d’influenza del soggetto dal lato delle istituzioni rimane centrale quando si è nel campo delle opere pubbliche.
La dinamica relativa all’altro sub-sistema è per certi aspetti opposta. L’ENI di Mattei che finanziava tutti partiti e che manteneva un potere di influenza sulle decisioni politiche nazionali fu progressivamente sostituita da una realtà più complessa: il doroteismo prima e le politiche del PSI dopo, hanno strutturato un potere di partito particolarmente influente e capace di determinare scelte strategiche anche molto complesse.
Due sub-sistemi dove il soggetto politico ha un ruolo differente: da un lato i partiti che decidono a livello governativo e riescono a mediare i conflitti a livello locale tramite la spesa delle aziende pubbliche; dall’altro un potere politico, escluso dall’esecutivo nazionale, utile nella misura in cui riesce ad ottenere che le scelte governative riservino una parte delle risorse alle imprese collaterali, quasi impossibile da definire completamente private. I due sub-sistemi, pur differenti, a livello macro tendono ad avere un ruolo simile e come sistema unico tendono ad interfacciare con le realtà locali modificandone il potere di scelta, ridefinendone in parte le strategie, allocando risorse a propria discrezione in modo da condizionare il comportamento di molte aziende private.
La confluenza di strategie di partito su scelte urbanistiche tende a moltiplicare la possibilità di dare risposte errate a problemi emergenti. Ci troviamo di fronte a dei soggetti (i partiti) che in un modo o nell’altro riescono a intervenire in ambiti di grande delicatezza: le scelte urbanistiche intervengono sul territorio che è una risorsa limitata e portano con sé conseguenze difficili da modificare se non, e solo talvolta, in tempi lunghi. L’aspetto più preoccupante è che tende ad essere annullato lo spazio per l’amministrazione più o meno ordinaria ed esaltato invece l’ambito delle discrezionalità. Una famosa definizione su cosa sia la politica è quella di Easton: allocazione autoritativa dei valori per una società (authoritative allocation of values for a society). La definizione, pur se molto generale, permette di essere operazionalizzata. In primo luogo si può osservare che potrebbe valere per molti ambiti di decisione. Per esempio, un’impresa particolarmente forte su un territorio può essere classificata come un soggetto (un attore) influente in grado di modificare le curve di utilità degli altri attori che con essa interagiscono. È questo il caso della Fiat a Torino e non solo a Torino, come è emerso in alcune scelte italiane di questo dopoguerra. Tuttavia, la definizione di Easton contiene una discriminante semantica particolarmente significativa: autoritativamente. Siamo in presenza cioè non tanto, o non solo, della capacità di modificare le tassonomie valoriali degli altri ma di modificarle utilizzando quello strumento così potente che è l’uso legittimo (o legittimato di fatto) della forza. Negli stati di diritto ciò avviene tramite le istituzioni, per definizione pubbliche, cioè di tutti gli attori in gioco e quindi terze. A Palermo, invece, questo ruolo è stato giocato da un attore privato.
2.2. Politica, Economia, Identità sociale
La logica del controllo diretto delle risorse pubbliche, e cioè non mediato da una pubblica amministrazione terza, ci permette di definire la strategia ricorrente dei Partiti nelle arene che abbiamo esaminato; inoltre, per l’importanza che questa ha rispetto alle loro altre strategie può definire parte importante della loro identità. Pensiamo che per questa via possiamo procedere a qualificare il collante che ha tenuto insieme i dirigenti dei partiti italiani, quanto meno sui temi di cui ci siamo occupati. Se, come è emerso, tende ad essere annullato lo spazio per l’amministrazione “terza” mentre, all’opposto, viene esaltato il ruolo della discrezionalità politica (sub specie di discrezionalità di partito che controlla le istituzioni) diventa conseguente affermare che queste organizzazioni erano legittimate, tramite i loro dirigenti e gli amministratori pubblici, ad esprimere opzioni, valori di riferimento, discrezionalità decisionale su risorse e scelte pubbliche.
Diventa cioè abbastanza ragionevole aspettarsi un uso del tutto discrezionale delle risorse (pubbliche solo formalmente) anche ai fini interni dell’organizzazione di partito: proprio perché viene annullato lo spazio per qualsiasi controllo terzo (lo Stato) le risorse pubbliche diventavano cosa loro disponibile. Né potevano agire risorse cognitive e limiti oggettivi legati al mercato ed alle sue leggi di efficienza (rappresentate da aziende operanti su un mercato concorrenziale): come abbiamo visto il comportamento delle imprese private che abbiamo incontrato nella nostra ricerca veniva fortemente condizionato dalla presenza delle aziende pubbliche e delle PPSS. È un’osservazione che potremmo definire in chiave sistemica perché fa riferimento ad uno dei collanti che teneva insieme i vari attori su quelle arene. Però, qualche distinzione deve essere fatta.
Per tutti gli attori presenti abbiamo fatto riferimento ad una commistione, pratica e di realtà, di potere politico e di potere economico: che si traduce in un limite cognitivo per la incapacità di distinguere le attività economiche da quelle politiche. Per il PCI la questione si rivela nelle caratteristiche interne al suo sub-sistema (partito + imprese cooperative); per i partiti di governo il controllo delle imprese pubbliche è stata la ragione della loro stessa esistenza, quasi una affermazione di identità.
È stato osservato che mentre per molte delle scelte fatte negli ultimi anni si debba parlare di tangenti ai partiti di governo, per il PCI il problema doveva essere affrontato in maniera diversa: le cooperative non pagavano la tangente ma erano esse stesse la tangente. Il ragionamento è sostenibile: può anche esserci stato passaggio di denaro dalle imprese cooperative al PCI ma la logica di azione dei due attori (PCI\Lega delle cooperative) era una logica tendenzialmente unica riconducibile anche ad una strategia politica.Vengono in mente le considerazioni fatte sul ruolo storico del PCI e della DC, meritevoli di aver saputo portare all’interno dell’alveo democratico masse popolari e di aver dato loro la possibilità di identificarsi nella democrazia [Pasquino 1988]: le organizzazioni di partito assumevano valore totalizzante e davano identità sociale in assenza di un’identità nazionale. In questa progressiva integrazione democratica le due grandi sub-culture (cattolica e comunista) hanno strutturato ed implementato concetti e valori di riferimento che tendevano ad espungere il mercato, considerandolo estraneo. Ogni sub-sistema era un corpo unico ed esprimeva contemporaneamente valori politici e valori economici.
Il significato autoreferente e tendenzialmente totalizzante di queste organizzazioni non è solo la costruzione analitica del ricercatore che studia le politiche pubbliche e le scelte urbanistiche. Tra gli sguardi più penetranti dentro le organizzazioni di partito uno in particolare può fornirci materiale utile alla comprensione. Si fa riferimento ad un libro [Rocchini 1992] scritto dallo psichiatra che per anni ha svolto la sua opera di consulenza presso la Camera dei Deputati. Il quadro che viene fuori è ritenuto dall’autore sufficientemente generalizzabile e ci permette di fare riferimento ai responsabili politici del nostro paese come a degli individui partito-dipendenti. L’adesione ad una ideologia (talvolta solo ad un partito) avrebbe svolto funzioni sostitutive della ricerca d’identità con la conseguenza che all’interno delle organizzazioni politiche italiane, così come si sono strutturate in questi ultimi decenni, ha avuto successo un individuo tendenzialmente appiattito sugli interessi dell’organizzazione a cui doveva fedeltà assoluta; incapace anche solo di immaginare qualsiasi altra attività lavorativa. C’è grande differenza con quello che emerge da uno studio analogo condotto negli Stati Uniti: lì è frequente che uomini e donne di successo in campo economico, scientifico, quasi a suggello del loro cursus honorum, decidono di mettere a disposizione delle arene politiche la loro fama e le loro qualità di vincenti, qualificandosi come valore aggiunto dell’organizzazione a cui aderiscono.
Viene in mente la distinzione semantica anglosassone, assente in italiano, tra politics e policy: in Italiano politica e politiche pubbliche.3 Uno degli insegnamenti della linguistica strutturalista è che la quantità di vocaboli (maggiore/minore) relativi alle attività di una cultura materiale indica la maggiore/minore specializzazione: quanto maggiore è la capacità di distinzione tanto maggiore sarà, presumibilmente, la capacità di intervento a suggello di una tradizione più ricca e più esperta. L’assenza in italiano di quella distinzione fonetica e semantica evidenzierebbe un deficit di differenziazione. Assume un significato particolare, allora, la circostanza che in Italia la lotta politica sembra appiattirsi su diatribe senza fine sul controllo delle risorse mentre sembra assente la fase successiva (l’ottima ed efficiente realizzazione) se non in via residuale. Non è certo questa la sede per dibattere su una vera o presunta maggiore capacità realizzativa pubblica delle nazioni di lingua inglese. Certo però che è forte l’evidenza di una assenza realizzativa tipicamente italiana al cui posto abbiamo una forte presenza: discrezionalità politica e di partito, la politica intesa come accumulazione (di potere, di risorse finanziarie), scarsa efficienza realizzatrice, scarsa legittimazione della efficienza quale valore vincente e di successo.
Bibliografia
Pasquino G., 1988- La politica al posto di comando: le fonti del mutamento in Italia, Polis n.3
Rocchini P. 1992, Le nevrosi del potere, Pontremoli: Editoriale Città del Libro
Note
[1]Ambedue godevano di indiscusso prestigio all’interno del PCI.
[2] Per es. Pierluigi Spadolini, fratello di Giovanni Spadolini.
[3] Politics: “the actions or activities which people use to achieve power in a country, society, or organization”; Policy: “a general set of ideas or plans that has been officially agreed on by people in authority and which is used as a basis for making decisions, especially in politics, economics, or business.”
[4]Traduz. frase apertura:”Il caso non è un male: è la manifestazione della volontà divina quando l’uomo è indeciso.” Sant’Agostino, ps 30, 16, enarr. 2, serm. 2.
Indice
I Puntata (Premessa; Introduzione: a) Alcuni temi della letteratura; b) I case-study esaminati; Bibliografia; Note).
II Puntata (Capitolo 1. I processi decisionali; 1.1. Genova: le Colombiadi; 1.2. Roma Capitale; Bibliografia; Note).
III Puntata (Capitolo 1. I processi decisionali; 1.3. Palermo: una costa lunga decenni; Bibliografia; Note).
IV Puntata (Capitolo 1. I processi decisionali; 1.4. Torino: Il Palazzo di Giustizia; 1.4.1. Alcune comparazioni tra il caso torinese e quello palermitano; Bibliografia; Note).
V Puntata (Capitolo 1. I processi decisionali; 1.5. Lo stadio di Cagliari; 1.6. Firenze: il caso Fiat- La Fondiaria; Bibliografia; Note).
VI Puntata (Capitolo 1. I processi decisionali; 1.7. Alcune Considerazioni; 1.8. Italia ’90;Bibliografia; Note).
VII Puntata (Capitolo 2. Uno sguardo di sintesi; 2.1. Le caratteristiche dell’Area di Policy; 2.1.1. Aziende Pubbliche e PPSS;Bibliografia; Note)
VIII Puntata (Capitolo 2. Uno sguardo di sintesi; 2.1.2. La Società Civile; 2.1.3. I Partiti; 2.2.Politica, Economia, Identità Sociale; Bibliografia; Note)
IX Puntata (Capitolo 2. Uno sguardo di sintesi; 2.3. Politica, Mercato, Pubblica Amministrazione; Bibliografia; Note)
X Puntata (Capitolo 3. A futura memoria; 3.1. Gli indicatori di policy: a) il mercato, b) la pubblica amministrazione, c) la discrezionalità politica; 3.2. Alcune questioni di metodo: a) il sistema oppositivo, b) universo convenzionale; Bibliografia; Note)
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