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La Globalizzazione cinese: la diplomazia (parte II)

La Globalizzazione cinese: la diplomazia (parte II)

In questa puntata riprenderemo l’analisi delle relazioni diplomatiche cinesi da dove l’abbiamo lasciata nell’ultimo appuntamento analizzando il rapporto di tipo multilaterale molto esemplificativo intrattenuto tra la Cina ed i paesi dell’ASEAN.

Rapporti multilaterali: Cina e ASEAN

Abbiamo visto come culturalmente e strategicamente la Cina sia portata all’istituzione di dialoghi bilaterali con i propri partner. Ma non si può dire lo stesso rovesciando i rapporti: gli stati interessati ad avere un rapporto con la Cina sono spesso infinitesimamente più piccoli e deboli del colosso asiatico e sono quindi portati ad unirsi per costringere la Cina a trattare con organizzazioni regionali con peso molto maggiore rispetto ai singoli stati. La Repubblica Popolare dal canto suo accetta di intraprendere questi rapporti multilaterali riconoscendoli come necessari in un contesto globale di interdipendenza economica e di cooperazione strategica promossa da queste organizzazioni multipolari. Inoltre, la Cina vede in queste organizzazioni un’occasione di contatto con paesi altrimenti troppo spaventati per trattare con i cinesi. Rinunciando ad un po’ di peso relativo i cinesi agganciano più possibili partner.

Il confronto tra la Cina e l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) si è fatto gradualmente sempre più stretto a partire dal 1996, anno in cui la Repubblica Popolare Cinese è diventata paese partner per il dialogo completo dell’ASEAN. L’attuale ASEAN deriva direttamente dall’Alleanza dell’Asia sud-orientale nata nel 1961 e dalla dichiarazione di Bangkok del 1967 in cui Indonesia, Thailandia, Filippine, Malaysia e Singapore annunciavano la nascita dell’ASEAN. Lo scopo di questa alleanza, espresso nella dichiarazione di Bangkok, è quello di promuovere la crescita economica e lo sviluppo culturale e sociale della regione con sforzi coordinati e comuni, promuovere la cooperazione ed il mutuo aiuto, garantire pace e stabilità della regione ed interfacciarsi con le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali per cooperare nel raggiungimento degli obiettivi simili.

Sebbene all’inizio la Cina preferiva interfacciarsi con i singoli stati in relazioni bilaterali di fatto senza avere contatti con l’ASEAN come organizzazione unitaria, negli ultimi anni questa tendenza si è invertita. Tra il 2005 ed il 2014 gli scambi commerciali tra la Cina e le nazioni appartenenti all’ASEAN sono triplicati facendo in modo che la Cina pesi il 12% degli scambi totali. Allo stesso tempo le esportazioni dei paesi ASEAN verso la Cina sono cresciute mediamente del 12% all’anno arrivando a toccare quota 160 miliardi di dollari nel 2014, pari al 12,5% dell’export totale dell’ASEAN a fronte del 4,4% nel 2005.

Questo aumento ha fatto sì che la Cina diventasse il primo mercato di sbocco per tutto il Sud-Est asiatico. Le esportazioni verso UE, USA e Giappone, sebbene siano cresciute, sono comunque relativamente in calo rispetto al mercato cinese passando da un peso del 38% nel 2005 al 29% del 2004.

Export ASEAN verso la Cina

Sul lato delle importazioni dell’ASEAN rispetto alle merci cinesi invece il tasso di crescita medio è del 13,5% annuo che ha portato ad un aumento del loro volume di quasi 4 volte facendo della Cina il primo paese di origine dell’import degli stati dell’ASEAN raggiungendo da sola quota 17,5% nel 2014. Nello stesso anno i principali competitori cinesi, USA, UE e Giappone complessivamente raggiungono quota 25,3%, con una forte riduzione rispetto al 2005 in cui totalizzavano il 35%.[1]

Import ASEAN dalla Cina

Questi dati evidenziano come la relazione tra i paesi dell’ASEAN e la Cina si siano fatte molto più strette negli ultimi 15 anni. In particolare, i paesi meno sviluppati quali Cambogia, Laos, Myanmar e Vietnam hanno giocato un grande ruolo in questo aumento degli scambi commerciali diventando strettamente dipendenti dal mercato cinese sia in termini di export che in termini di import. È interessante notare infine che la bilancia commerciale pende decisamente a favore della Cina.

Bilancia commerciale degli scambi ASEAN-Cina

Le cause di questo aumento nelle relazioni Cina-ASEAN sono molteplici: la prima fra tutte è sicuramente la creazione nel 2002 dell’area di libero scambio Cina-ASEAN (China-ASEAN Free Trade Agreement, CAFTA). Il CAFTA è la maggiore area di libero scambio al mondo in termini di consumatori, e la terza per quantità di merci totale. Il trattato che ha creato il CAFTA prevedeva la cancellazione del 90% dei dazi doganali entro il 2010, pratica che avrebbe dovuto accelerare fortemente il processo di integrazione in tutta la regione. Come tutti i trattati di libero scambio però questo ha provocato un forte sbilanciamento della bilancia commerciale in favore del paese con l’economia più forte, in questo caso proprio la Cina.

Hanno avuto un grande ruolo nell’aumento delle relazioni Cina-ASEAN anche le affinità culturali tra i paesi coinvolti e la forte crescita del PIL di tutta la regione con un tasso medio del 5% per i paesi ASEAN e dell’8% per la Cina tra il 2005 e il 2014 e gli investimenti cinesi nelle economie dei paesi del Sud-Est asiatico che in molti casi si sono rivelati fondamentali per il sostegno dello sviluppo e della crescita economica di quegli stati.

A livello diplomatico invece, a fronte di questo evidente aumento della dipendenza economica dei paesi ASEAN dal mercato cinese, l’ASEAN viene usato dal governo della Repubblica Popolare per rasserenare gli altri paesi e le grandi potenze globali. Riconoscendo la necessità di immergersi in un dialogo di natura multipolare la Cina vuole cancellare la percezione di sé stessa che hanno molti paesi come una minaccia propagandando al contrario la volontà di un’ascesa pacifica senza pretese egemoniche. Il dialogo della Cina con l’ASEAN avrebbe quindi come obiettivo quello di instaurare una relazione di buon vicinato cooperando con i paesi vicini ed aumentando la fiducia reciproca e quindi la stabilità nell’area.

In particolare, la Cina considera come veicolo principale per la sua diplomazia l’ASEAN plus Three, ovvero ASEAN più Cina, Giappone e Corea del Sud che vorrebbe essere una sorta di «Comunità Orientale»[2] su modello di quella europea. E proprio ricalcando la Comunità Europea uno degli obiettivi principali dell’ASEAN +3 è quello di istituire il Fondo Monetario Asiatico per prevenire crisi finanziarie globali e per agevolare il commercio dell’intera regione.

Benché nel 1997, anno in cui, causa la crisi delle tigri asiatiche, per la prima volta il ministero delle Finanze giapponese propose questo progetto ci si affrettò ad assicurare che non sarebbe stato un’alternativa al Fondo Monetario Internazionale, risultò subito innegabile come l’eventuale creazione del Fondo Monetario Asiatico avrebbe cambiato profondamente l’architettura finanziaria mondiale.

Il motivo nemmeno troppo celato per cui la Cina aderì con molto entusiasmo al progetto del Fondo Monetario Asiatico creando inizialmente un sistema di coordinamento a livello bilaterale con le banche centrali di Giappone e Corea del Sud chiamato Chiang Mai Initiative Multilateralization e subito ampliato a Vietnam, Thailandia, Pakistan e Mongolia e confermato dalle politiche monetarie della Banca Centrale cinese è uno solo: rendere lo yuan la valuta di riferimento della regione asiatica offrendo una valida alternativa al dollaro e rendendo la Cina il più grande centro finanziario al mondo.

L’internazionalizzazione della propria valuta è quindi il cavallo trainante delle relazioni multipolari intraprese dalla Cina nella sua regione: l’ASEAN allargato al Giappone ed alla Corea del Sud sarebbe la piattaforma perfetta per il lancio di questa iniziativa e l’aumento delle relazioni multipolari cinesi sarebbe proprio da leggere in quest’ottica.

Dall’altra parte gli USA si dimostrano preoccupati da queste mosse cinesi. La creazione di un mercato unico asiatico con al centro la Cina e la sostituzione del dollaro con lo yuan in questo mercato significherebbe la fine dell’egemonia economica statunitense a livello mondiale e l’alba della tanto agognata dai cinesi nuova Globalizzazione multipolare.

Il sempre più forte interesse degli Stati Uniti nel ripristinare le vecchie alleanze nel Sud-Est asiatico e nell’arginare l’espansione dell’economia cinese è dettato proprio da questo timore. Le dichiarazioni dell’ex Segretario di Stato Hillary Clinton circa la stabilità nel Mar Cinese Meridionale quale interesse nazionale statunitense e i rapporti sempre più stretti con potenze della regione non proprio amiche della Cina come l’India e l’Australia confermano le nostre ipotesi.


[1] Tutti i dati ed i grafici presenti in questo paragrafo sono tratti da: F. Abate e S. Rosina, La crescita degli scambi commerciali ASEAN-Cina: dati, cause e prospettive

[2] D. Cabras, Il ritorno dell’Impero di mezzo, Rende (CS) 2013, p. 103

1. “La globalizzazione cinese

2. “La diplomazia della globalizzazione cinese – Parte I”

3. “La diplomazia della globalizzazione cinese – Parte II”

4. “Il riequilibrio marittimo dell’Esercito popolare di liberazione”

5. “Gli interessi marittimi cinesi”

6. “Le conseguenze del riequilibrio marittimo”

Nato in Valtellina nel 1996, conclusi gli studi liceali a Tirano si iscrive alla Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell'Università degli Studi di Milano conseguendo la laurea triennale in Scienze Sociali per la Globalizzazione nel 2019 con una tesi sulla strategia cinese nella globalizzazione. Appassionato di musica e diplomato come Fonico Sound Designer, lavora come tecnico audio in grandi eventi. Il poco tempo che non dedica a lavoro e studio lo riserva alla lettura ed alla montagna.

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