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La globalizzazione cinese: la diplomazia

La globalizzazione cinese: la diplomazia

Abbiamo concluso la prima puntata introduttiva dell’appuntamento con la Globalizzazione cinese parlando proprio della natura delle relazioni diplomatiche cinesi. La mentalità sinocentrica che influenza il pensiero della Cina porta i suoi diplomatici a preferire delle relazioni di tipo bilaterale per trattare direttamente con lo stato imponendo una situazione favorevole per entrambe le parti. Ma la natura stessa della Globalizzazione ha messo la diplomazia cinese di fronte alla sfida delle relazioni multilaterali in cui gli stati considerati tributari cercano di unirsi per contrastare quella che loro ritengono una minaccia aumentando il proprio peso nelle trattative. Nelle prossime due puntate si traccerà una mappa dei diversi rapporti intrattenuti dalla Cina con i vari stati ripercorrendo brevemente la storia di ciascuno di essi.

La maggior parte delle relazioni diplomatiche intrattenute dalla Cina con gli stati vicini o lontani è di tipo bilaterale. In questo modo infatti si soddisfa la mentalità cinese che vede lo «Stato di Mezzo» al centro del mondo circondato da diversi attori tributari che prosperano grazie ai benefici delle loro relazioni con il centro. In questa mentalità non è concepita la possibilità per questi attori di unirsi per trattare con lo stato centrale. Il pragmatismo del pensiero sinocentrico infatti non concepisce il rifiuto di una relazione economicamente win-win da parte di uno stato. E non comprende dunque il perché molti stati cerchino di unirsi per ottenere maggior peso negoziale nelle relazioni con la Cina.

Analizzando i rapporti con i vari paesi riusciamo ad intravedere l’approccio cinese alla diplomazia così come le paure degli altri paesi di fronte al colosso asiatico.

Cina-Thailandia

L’amicizia tra Cina e Thailandia ha profonde radici storiche e risale alle visite compiute da Sun Yat-Sen tra il 1903 ed il 1908 atte a creare sul territorio thailandese un braccio dell’Associazione della Lega Giurata, un’associazione segreta che traeva la sua forza dai molti cinesi emigrati presenti in Siam e che aveva come obbiettivo quello di ottenere l’autonomia culturale e storica della Cina in contrapposizione alle influenze straniere. Con il passare degli anni la comunità cinese del Siam ha rafforzato il proprio ruolo nella società thailandese ed oggi rappresenta la più forte lobby economica del paese con grande influenza sui processi decisionali del governo. Benché i rapporti sino-thailandesi non si siano mai del tutto spenti, dopo la presa di potere dei comunisti hanno subito una battuta di arresto a causa dell’ingerenza americana nella zona.

La Thailandia infatti è un’importate alleato degli USA che sono stati fortemente presenti sul suo territorio fino al 1975, anno in cui ci fu una riduzione dell’impegno statunitense nella regione. Proprio nel 1975 i rapporti diplomatici tra Cina e Thailandia sono stati ristabiliti in via formale. Il rapporto tra i due paesi oggi è sempre più florido e nessun contenzioso territoriale è stato mai frapposto tra i due paesi. L’interesse di questo partenariato per entrambe le parti è strategico e finalizzato soprattutto alla cooperazione militare ed allo scambio commerciale nei settori tecnologici e bellici. A far convergere gli interessi di entrambi paesi sono la questione del Canale di Kra, come abbiamo visto fondamentale per la sicurezza delle rotte cinesi e su cui i Thailandesi fanno molto affidamento per attrarre investimenti e il contrasto al terrorismo islamico ed alle milizie separatiste nella zona del Pattani thailandese e dello Xinjiang cinese. Mentre quindi la Thailandia cerca di legarsi alla Cina per conquistare un posto di rilievo nel Sud-Est asiatico, la Cina vuole intrattenere rapporti bilaterali con la Thailandia per rafforzare la sua presenza nello spazio marittimo della regione.

Cina-Cambogia

Il legame bilaterale tra i due paesi ha origini nel 1958 quando la Cambogia del principe Norodom Sihanouk riconobbe diplomaticamente la Repubblica Popolare Cinese in rottura con il governo di Taiwan. Quando Sihanouk venne messo in fuga dal colpo di stato del 1970 trovò rifugio a Pechino da dove organizzò la guerriglia degli Khmer Rossi guidati da Pol Pot che univano il maoismo al nazionalismo cambogiano anticolonialista. Grazie al sostegno cinese nel 1975 i Khmer Rossi rovesciarono il governo golpista filoamericano di Lon Nol ottenendo il potere ma nel 1979 l’invasione vietnamita della Kampuchea e l’istituzione della Repubblica Popolare di Kampuchea rinforzò l’influenza sovietica nel paese a svantaggio di quella cinese segnando una forte battuta d’arresto nelle relazioni diplomatiche tra i due paesi. Relazioni che ripresero solamente dopo gli accordi di Parigi del 1991 e si intensificarono ulteriormente nel 1997 quando dopo il golpe di Hun Sen la Cambogia si trovò isolata dopo la sospensione degli aiuti umanitari dei finanziatori occidentali.

I cinesi approfittarono di questo isolamento per aumentare i legami bilaterali dando aiuti per 6 milioni di dollari allo sviluppo del paese. Nel 2004 la visita dell’allora vicepremier cinese Wu Yiin segnò un ulteriore approfondimento delle relazioni con l’istituzione di un piano programmatico di cooperazione economico-commerciale che prevedeva un aumento degli scambi commerciali bilaterali per un valore di circa 320 milioni di dollari. La Cina divenne quindi un sostegno insostituibile per lo sviluppo della Cambogia. A loro volta i cinesi hanno un forte interesse nel mantenere le relazioni bilaterali con la Cambogia in funzione antivietnamita, uno dei più grandi rivali cinesi nella regione. L’interesse cinese era quindi quello di sottrarre all’influenza vietnamita la regione cambogiana per isolare il pericoloso rivale.

Cina-Myanmar

È in Myanmar che si combatte la battaglia geostrategica tra India e Cina. È per il Myanmar che passa la strada che collega la Cina al golfo del Bengala. Ed è il Myanmar in questo senso l’alleato più strategico della Cina nella regione. Entrambi i paesi hanno reciprocamente bisogno l’uno dell’altro: mentre il regime birmano ha bisogno degli investimenti e della non ingerenza della Cina sulle questioni di politica interna, la Cina ha fortissimi interessi nel potenziare le strutture militari lungo il golfo del Bengala per guadagnare un vantaggio geostrategico nei confronti dell’India. Mentre quindi i cinesi prendono il controllo del Mar delle Andamane grazie alla presenza di basi a Hainggyim, Man-Aung, Monkey Pont e Kyaikkami che le permettono di monitorare lo spazio navale della regione, gli indiani cercano di contrattaccare proponendo a Rangoon accordi commerciali o partenariati militari per sottrarli alla Cina. Ma per i birmani un partenariato con l’India ha meno valore rispetto ad uno con la Cina che sta quindi vincendo la battaglia per il Myanmar.

Anche l’elezione di Aung San Suu Kyi nel 2015 si è dimostrata favorevole alla Cina viste le dichiarazioni di amicizia tra Xi Jinping e la Consigliera di Stato della Birmania durante il Forum «One Belt, One Road» del 2017 a Pechino sulla Via della Seta. Non per nulla il Myanmar viene talvolta soprannominato «la ventiquattresima provincia della Cina».

Cina-Laos

È nella periferia di Vientiane, capitale del Laos, che si ha la percezione di quanto sia influenzato il paese dal soft power cinese. In appena un decennio le vecchie architetture coloniali francesi sono state sostituite da più moderni palazzi di fattura cinese. La migrazione cinese verso il Laos infatti è in costante crescita, tanto da aver fatto guadagnare alla capitale laotiana il titolo indigesto agli abitanti del posto di «Chinatown del Sud-Est asiatico». Oltre che nella capitale anche nel resto del paese stanno crescendo molto rapidamente infrastrutture finanziate dalla Cina e costruite dai suoi migranti, ma dal momento che tutto questo garantisce l’amicizia cinese, il governo laotiano non ha alcuna intenzione di intervenire.

Infatti per il Laos la vicinanza alla Cina è occasione di conquistare un posto al sole nello scacchiere asiatico stimolando la crescita economica. Come la Cambogia anche il Laos subì l’influenza vietnamita e quindi sovietica negli anni 1975-88 che videro le relazioni con la Cina molto difficoltose, ma negli ultimi anni queste sono riprese spinte dagli interessi di entrambe le parti. Infatti anche i cinesi coltivano i propri interessi nelle relazioni bilaterali con il Laos: la posizione geostrategica di confine tra Vietnam, Cambogia, Thailandia, Myanmar e appunto Cina, la presenza di grandi giacimenti di risorse naturali, e la presenza del grande fiume navigabile Mekong fanno gola alla Repubblica Popolare che dalla ripresa delle relazioni bilaterali con il paese ha iniziato ad estromettere tutti i contendenti quali Vietnam ed Unione Sovietica. Nel 1997 poi, quando le tigri asiatiche si trovarono nel loro momento di maggiore difficoltà, la Cina intervenne con aiuti ed investimenti infrastrutturali e per lo sviluppo economico diventando il maggior investitore nel Laos e garantendosi l’amicizia del paese. Grazie alla partnership con i cinesi infatti il Laos ha incrementato il tasso di crescita del suo PIL di quasi 2,3 punti percentuali tra il 2003 ed il 2005 passando dal 5,5% al 7,8%.

Mentre quindi la Cina sfrutta la debolezza del Laos per garantirsi un amico strategico nella regione, al Laos questo sodalizio porta sviluppo economico e benessere. Un tipico esempio di relazione win-win della strategia diplomatica cinese.

Cina-Vietnam

Fino a circa mezzo secolo fa il Vietnam sembrava completamente soggiogato all’egemonia esercitata in 1000 anni dal suo enorme vicino cinese tanto da utilizzare gli stessi caratteri e condividere lo stesso ordinamento sociale su base confuciana. Nel 1885 con il Trattato di Tianjin i cinesi furono costretti a cedere la sovranità sui vietnamiti all’imperialismo europeo ma continuarono ad esercitare una forte influenza culturale e politica sul paese. La definitiva rottura dei rapporti avvenne nel 1978 con la stipulazione del Trattato di Amicizia e Cooperazione sovietico-vietnamita e l’annessione del Vietnam al COMECON, il Consiglio per la mutua assistenza economica dei paesi del blocco sovietico. Questa rottura si concretizzò nel 1979 con lo scontro militare frontale tra cinesi e vietnamiti nella guerra lampo di 29 giorni sul confine.

Nel 1999 vennero ristabilite le relazioni bilaterali tra i due paesi in un momento di difficoltà per il Vietnam dopo la crisi del ’97 che inizia a far vedere i vicini cinesi come meno pericolosi grazie ai loro generosi aiuti. Come la Cina, anche il Vietnam negli anni ottanta ha approvato una serie di riforme di apertura, il Doi Moi, che hanno portato a quello che loro considerano un «socialismo di mercato» che ha tutto sommato risolto i molti problemi dell’economia vietnamita in crisi sistemica. Questo rende appetibile per i cinesi delocalizzare le loro attività sul territorio vietnamita dove il costo è decisamente minore ed il mercato è più stabile. Anche se il volume del commercio è in continuo aumento dalla firma dell’accordo di buon vicinato del 1999, esso rimane comunque relativamente basso per gli interessi economici cinesi ma immensamente alto per gli interessi politici. È infatti nelle esportazioni verso l’occidente che Cina e Vietnam ripongono i propri interessi, ed è proprio in queste esportazioni che più che rivali i due paesi sembrano essere perfettamente complementari: la Cina esporta grandi quantità di prodotti tecnologici, il Vietnam di prodotti tessili.

Tra i due paesi comunque non è tutto rose e fiori. La questione delle isole Spratly e Paracelso che li vede contrapposti ha causato un riavvicinamento del Vietnam al vecchio alleato russo con l’acquisto di 6 sottomarini e qualche aereo. La competizione nel Mar Cinese Meridionale crea alleanze e partnership strategiche atte ad evitare un vero e proprio scontro diretto militare tra i due paesi ma che porta ad una militarizzazione sempre più in crescita nella zona. Il coinvolgimento dei russi e degli statunitensi da parte di Hanoi porta il serio rischio che il conflitto possa degenerare da regionale a internazionale. Rischio che Pechino vuole evitare a tutti i costi. Il piccolo Vietnam è quindi una vera spina nel fianco del gigante cinese.

Cina-Indonesia

Nonostante il raffreddamento dei rapporti sino-indonesiani dovuto allo sterminio di comunisti attuato dal Movimento del 30 settembre nel 1965 ed alle successive campagne anticinesi, i rapporti bilaterali tra i due paesi ripresero già dai primissimi anni ottanta fino ad arrivare alla firma nel 1990 del Memorandum di intesa per la ripresa ufficiale delle relazioni diplomatiche basato sui cinque principi della coesistenza pacifica e sui Dieci principi della Conferenza di Bandung. Da allora il volume degli scambi commerciali tra i due paesi e gli investimenti cinesi nella regione sono in costante crescita a tal punto da far diventare la Cina il quinto partner indonesiano.

Ma l’Indonesia è anche un importante alleato degli USA ed usa questa vicinanza a Washington come punto di forza nelle relazioni sia con i cinesi che con gli statunitensi. Il governo indonesiano ha sottolineato più volte infatti l’intenzione di «navigare tra le rivalità» e rimanere a metà strada tra i due giganti geopolitici senza avvicinarsi o allontanarsi troppo a nessuno dei due per goderne la partnership e mantenere uno spazio strategico. Dal canto suo la Cina ritiene importante coltivare le relazioni bilaterali con l’Indonesia proprio per cercare di strappare agli Stati Uniti uno dei più importanti alleati nell’area.

Cina-Giappone

I rapporti tra Cina e Giappone sono da sempre storicamente conflittuali. Oggi la partita si gioca per la conquista delle risorse energetiche dei fondali del Mar Cinese Orientale e Meridionale con la creazione di ZEE e rivendicazione più o meno fondata di arcipelaghi o scogli che permetterebbero l’estensione dell’area di influenza dell’una o dell’altra parte. La disputa sulle isole Ryukyu o Senkaku o Diaoyu ne è l’esempio. Nel 2010 scoppiò il caso diplomatico del peschereccio cinese trovato da delle motovedette giapponesi nei pressi delle isole Senkaku che provocò la sospensione dei rapporti bilaterali tra i due paesi. Nel 2012 la crisi si infiammò nuovamente con l’acquisto da parte del governo giapponese delle isole contese dalle mani di un privato.

Il progressivo aggravarsi di questa crisi ha provocato la corsa agli armamenti tra i due paesi. Così il Giappone, spaventato dai progressi in campo missilistico della Cina e dell’alleato nordcoreano e soprattutto dall’avanzata della Marina Militare Cinese, considera la Cina una enorme minaccia a livello regionale per i suoi interessi nazionali. Anche a livello economico Tokyo si è dimostrata preoccupata dall’avanzata dello yuan cinese che ha sostituito lo yen quale potenziale valuta di riferimento nel Sud-Est asiatico. La Cina dal canto suo vede il Giappone come un’ingombrante vicino, economicamente forte e potenzialmente alleato di pericolosi avversari come USA, India e la vicina Australia nel tentativo di marginare la Repubblica Popolare a potenza regionale. I rapporti bilaterali tra i due paesi sono quindi enormemente complessi.

Cina-Russia

Dopo la caduta del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica, molti dei rapporti tra la Russia ed i paesi del Sud-Est asiatico come Vietnam, Laos e Cambogia sono stati troncati e gli interessi geopolitici russi nella regione si sono estinti, sostituiti da maggiori preoccupazioni di natura interna. Ma con la crisi finanziaria del 2008 ed il forte scossone all’economia mondiale e soprattutto degli USA, la Russia ha riconquistato il suo posto nello scacchiere geopolitico mondiale rispolverando le vecchie relazioni e le antiche strategie in Asia. Grazie alla vendita di gas e materie prime l’economia del paese torna a crescere insieme alla sua credibilità a livello internazionale. Sebbene Russia e Cina siano state in conflitto per quasi mezzo secolo, oggi si ritrovano ad essere importanti partner: alla Cina servono le risorse energetiche russe, alla Russia servono gli investimenti cinesi. Una cooperazione economica di mutuo vantaggio.

Inoltre alla Cina fa gola un rapporto pacifico con il gigante eurasiatico proprio per la sua natura di ponte tra Asia ed Europa. Tuttavia, con il ravvivarsi delle mire geopolitiche russe nel Sud-Est asiatico e per il suo proporsi come ulteriore polo nel mondo della futura Globalizzazione multipolare sottraendo alla Cina importanti mercati e partner neutralizzando l’eventualità di una completa egemonizzazione della regione, la Russia potrebbe anche diventare un freno per le mire strategiche dei cinesi. Il futuro delle relazioni bilaterali tra questi due colossi potrebbe dirci molto circa il futuro della Globalizzazione.

Nella prossima puntata analizzeremo un esempio di rapporto multilaterale: Cina e ASEAN.

2 – continua

1. “La globalizzazione cinese

2. “La diplomazia della globalizzazione cinese – Parte I”

3. “La diplomazia della globalizzazione cinese – Parte II”

4. “Il riequilibrio marittimo dell’Esercito popolare di liberazione”

5. “Gli interessi marittimi cinesi”

6. “Le conseguenze del riequilibrio marittimo”

Nato in Valtellina nel 1996, conclusi gli studi liceali a Tirano si iscrive alla Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali dell'Università degli Studi di Milano conseguendo la laurea triennale in Scienze Sociali per la Globalizzazione nel 2019 con una tesi sulla strategia cinese nella globalizzazione. Appassionato di musica e diplomato come Fonico Sound Designer, lavora come tecnico audio in grandi eventi. Il poco tempo che non dedica a lavoro e studio lo riserva alla lettura ed alla montagna.

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