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Il suicidio strategico degli Usa in Afghanistan

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Il suicidio strategico degli Usa in Afghanistan

Recentemente il National Securiy Archive è entrato in possesso di una serie di documenti top-secret declassificati grazie ad una causa legale presentata nel 2017 dal Freedom of Information Act, nella quale si evidenzia l’assoluta mancanza di una strategia politica e militare in Afghanistan e Iraq degli Stati Uniti, guidati allora da George W. Bush. Dagli archivi rinvenuti alla NSA risulta che il 9 settembre 2003, l’allora segretario alla Difesa Donald Rumsfeld scriveva al Sottosegretario alla Difesa per l’Intelligence Steve Cambone a proposito della sua inquietudine riguardo alle notizie prevenutegli dal Medio Oriente. Le sue preoccupazioni si riferivano alla scarsa mole di informazioni dall’Iraq e dall’Afghanistan relativa alla condotta adottata dai servizi segreti americani su alcuni inquisiti, in particolare dei 35-45-50 iracheni catturati dall’intelligence: “I have no visibility into what kind of intelligence we are getting from the interrogations of the 35 or 40 of the top 55 Iraqis we have captured. Please get me some information”.

Le prime 20.795 pagine sono state recentemente pubblicate dalla DNSA in collaborazione con l’editore accademico ProQuest con il titoloSnowflakes di Donald Rumsfeld, Parte 1: The Pentagon and U.S. Foreign Policy, 2001-2003”. La raccolta mette in mostra l’attivismo politico e l’impegno del Pentagono e del Segretario alla Difesa nei primi anni Duemila in terra asiatica. All’interno del dossier l’NSA svela uno scambio di informazioni fra Rumsfeld e l’Assistente Militare Senior LTG Bantz J. Craddock e il Consigliere Generale del Dipartimento della Difesa William Haynes, in cui il segretario alla Difesa chiedeva quali fossero allo stato attuale le novità sulla cattura del famigerato terrorista pakistano Khalid Shaykh Muhammad considerato la mente dell’attacco storico dell’11 settembre. Interessante notare dalle dichiarazioni prevenuteci che da parte di Rumsfeld ci siano tutte le intenzioni per occultare le affermazioni avanzate dall’ex direttore della CIA George Tenet sull’utilizzo della tortura su Abu Zubaydah per scovare uno dei terroristi fino a quel momento più ricercati al mondo. Un successivo rapporto del “Senate Select Committee on Intelligence torture” avrebbe poi rivelato la completa mancanza di prove che potevano mostrare qualsiasi atto coercitivo su Zubaydah, da parte dell’FBI inizialmente incaricato per l’interrogatorio sul terrorista palestinese. Tuttavia, le indagini portate avanti dal Senato precedevano l’attività della CIA in merito alla questione di Zubaydah.

La notizia che l’Agenzia di Langley aveva assoldato due psicologi ingaggiati “a contratto” James Mitchell e Bruce Jessen era sconosciuta al Comitato incaricato di redigere uno studio scrupoloso sull’utilizzo della tortura da parte dei servizi segreti. Dalle carte si evince che Mitchell e Jessen subentrarono all’interrogatorio presso il “Detention Site Green” della CIA in Thailandia, creato appositamente per ospitare Zubaydah nel 2002. Le tecniche (adottate dagli “psicologi” nel crudo tentativo di far parlare la mente degli attacchi) vennero messe in atto attraverso l’utilizzo criminale del water-board per ben 83 volte. Jose Rodriguez, capo Cia con delega ai servizi clandestini (e forse Gina Haspel in seguito divenuta direttrice dell’Agenzia di Langley) ordinò la distruzione delle videocassette con i filmati delle sevizie ai danni di Zubaydah, poiché la possibile divulgazione dei video avrebbero potuto scuotere l’opinione pubblica statunitense da sempre sensibile a mezzi coercitivi: “ordered the destruction of the torture videotapes, commenting that “the heat from destoying [sic] is nothing compared to what it would be if the tapes ever got into public domain”.

Nonostante i rumors che circolavano nel Pentagono e presso il Dipartimento della Difesa (DOD), Washington attraverso le parole di Rumsfeld provava a smentire seccamente le notizie, considerandole mere fake news atte a destabilizzare la missione USA in Afghanistan. Ciononostante, i documenti resi pubblici hanno dimostrato in diverse occasioni le contraddizioni, rese ufficiali dal Pentagono. Solo per citarne un esempio, il potente “Washington Post” di proprietà del Presidente Esecutivo, nonché fondatore di Amazon Jeff Bezos attraverso una selezione accurata di documenti rinominati “The Afghanistan Papers” nel settembre 2019 rivelava che l’allora amministrazione di George W. Bush aveva provato, ad ogni costo, a rendere l’opinione pubblica ignara delle violazioni dei diritti umani delle forze statunitensi. Washington continuava, con chiaro opportunismo politico, a dichiarare che gli Stati Uniti d’America stavano conducendo una missione di pace in Afghanistan al solo scopo di distruggere la minaccia terroristica di stampo wahhabita di al Qaeda. L’intero corpus mette alla luce numerose tematiche care a Rumsfeld. In primis, la modernizzazione delle forze armate statunitensi, la sburocratizzazione per rendere più rapidi e trasparenti i processi decisionali del DOD e il taglio del 20% delle spese militari che nel frattempo erano cresciute del 37,4% tra il 2001 e il 2006 a testimonianza del fatto che gli Stati Uniti stavano spendendo miliardi di dollari dei contribuenti americani per una campagna militare percepita con una certa preoccupazione e insofferenza da parte della popolazione yankee.

A distanza di anni, non c’è studioso o ricercatore che non si ponga il quesito se sia valsa la pena questa caccia alle streghe in un territorio afghano sconfinato, difficilmente percorribile attraverso le vie terrestri e per di più già teatro della disfatta dell’ex potenza sovietica.

Per maggiori informazioni segnaliamo: United States., & Feinstein, D. (2014). The Senate Intelligence Committee report on torture: Committee study of the Central Intelligence Agency’s Detention and Interrogation Program

Docente di lettere e storia, ha conseguito una laurea magistrale in Scienze Storiche presso l'Università degli studi di Padova, dopo essersi laureato in Storia e Scienze Sociali all'Università degli studi di Bari "Aldo Moro". Esperto in Storia Contemporanea, ha elaborato una tesi di laurea magistrale in Storia delle Relazioni Internazionali sull'Islam radicale nel contesto balcanico, durante i conflitti multietnici che devastarono la Jugoslavia nell'ultima decade del XX secolo.

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