“Le guerre degli altri”: l’ultimo saggio di Marco Giaconi
In memoria del professor Marco Giaconi, scomparso il 5 ottobre all’età di 66 anni, su gentile concessione dell’autore, riproponiamo la recensione del professor Giuseppe Gagliano al suo ultimo libro “Le guerre degli altri”. Una panoramica delle forze armate e di intelligence del mondo in cui Giaconi non aveva mancato di mostrare tutta la capacità di analisi e la sua competenza sulle questioni strategiche.
Cominciamo la nostra rassegna, che non potrà certo essere esaustiva, dal nostro paese e cioè dall’Italia. Fra le diverse criticità, sotto il profilo strategico, rilevate da Giaconi, vi sono soprattutto quelle relative al ministero del sviluppo economico, che dimostra di avere una sostanziale incapacità nel pensare una geopolitica autonoma, poi quelle relative ad una carenza di una prospettiva dottrinale e alla mancanza di una riflessione sulla necessità di tutelare il proprio interesse nazionale, nonostante che le forze speciali italiane rappresentino una eccellenza nel panorama militare italiano. Infatti queste sono in grado di operare secondo i criteri della guerra a rete e in rete, guerra nella quale si intrecciano la guerriglia tradizionale e la propaganda.
Questi rilievi critici sono anche rivolti alla strategia della marina militare, poiché l’autore sottolinea opportunamente la assenza di un vero e proprio pensiero strategico che risulti veramente e autenticamente indipendente. Inoltre, l’autore rileva come nei documenti ufficiali si parli certamente di sicurezza del Mediterraneo senza però specificare se si tratti di sicurezza nazionale o invece di sicurezza relativa agli alleati, gli stessi, rileva l’autore non senza ironia, che hanno determinato la destabilizzazione della Libia.
Queste criticità emergono proprio in relazione alla questione libica sulla quale l’autore formula una riflessione profondamente realistica. Infatti, dopo la cattura del generale Al Haftar avvenuta nel 1986, durante la guerra civile nel Ciad pianificata da Gheddafi, gli Stati Uniti libereranno il generale grazie ad un’operazione della CIA. Nel 90’i servizi USA lo trasferiranno nel loro territorio, ,guarda caso a pochi chilometri dal quartier generale della CIA.
Ora, al di là degli evidenti legami che si sono creati tra il generale e Washington, non c’è dubbio che tra i suoi sostenitori ci siano l’Egitto, la Russia-che intende realizzare una base navale in Cirenaica- e naturalmente la Francia, che intende tutelare anche i suoi interessi petroliferi. Risulta allora evidente che il nostro paese, per aver una possibilità di essere credibile, debba trattare soprattutto con il generale Haftar.
Per quanto riguarda l’intelligence americana Giaconi rileva come la tendenza dell’intelligence vada verso l’intelligenza artificiale e la robotica, che tuttavia rischiano di irrigidire le categorie interpretative della politica e che rischiano, inoltre, di non essere in grado di mettere in relazione le trasformazioni tattiche con quelle strategiche. A tale proposito l’autore rileva, da un lato, come i servizi di sicurezza americani siano frazionati e, dall’ altro lato, come siano esclusivamente tecnologici.
Infine, il rapporto troppo fiduciario tra i funzionari dei servizi e la classe politica certo non giova alla efficienza della Intelligence americana. Un’altra criticità che l’autore rileva è la incapacità, da parte dei servizi segreti americani, di porre in sequenza tutti i dati raccolti dalle varie agenzie, allo scopo di verificarli e di interpretarli nel modo corretto. Questa incapacità è la conseguenza della mancanza di una profonda visione politica e strategica rispetto alla massa dei dati raccolti.
Per quanto riguarda i servizi segreti russi ,Giaconi, dopo aver sottolineato la grande professionalità del servizio segreto militare russo e cioè il Gru ( in relazione per esempio alla penetrazione dello Stato maggiore americano tramite il colonnello Whalen, alle operazioni sotto copertura in Afghanistan e in Cecenia, alla abile gestione del passaggio della Crimea alla federazione russa, all’intervento in Siria che ha permesso alla Russia di rafforzare la sua presenza militare e infine ai successi ottenuti in Ucraina e in Siria), l’Autore pone l’enfasi sulla grande professionalità del servizio di intelligence estero o Svr . Complessivamente, grazie all’esperienza maturata tramite il KGB, i servizi segreti russi attuali dimostrano di avere una grande professionalità nelle tecniche di guerra politica; e cioè nel fare in modo che l’avversario venga indotto a commettere errori, e nella capacità di creare agenti di influenza che hanno come loro compito sia quello di creare correnti di opinione sia quello di manipolare le classi dirigenti.
Proprio in relazione al ruolo rilevante rivestito dai servizi segreti russi,
particolare attenzione viene riservata dall’autore alla Siria. Mosca, infatti,
a causa della guerra in corso in Medio Oriente, ha istituito sia un centro di
addestramento in Iraq che un centro di coordinamento tra i vari servizi
segreti; e cioè tra quello iracheno, siriano e iraniano volto a uno scambio
informativo sul terrorismo islamico. Proprio il servizio segreto militare
russo, infatti, coordina in Siria-rileva l’autore-tutti gli attacchi aerei e
terrestri contro il califfato e contro i gruppi ribelli anti-Assad.
Particolare attenzione viene riservata da Giaconi alla quarta branca del
servizio segreto siriano; e cioè a quella politica, che dimostra di
essere in grado di controllare in modo capillare i movimenti tellurici della
società civile attraverso informatori stabili e/o occasionali. Aver
sottovalutato questo aspetto, in relazione ad esempio alle rivolte arabe, ha
costituito da parte occidentale un grossolano errore di ingenuità strategica. Nonostante
la loro efficienza, non bisogna poi dimenticare che i servizi siriani sono
egemonizzato dai clan familiari e religiosi, legati strettamente al regime,
e che quindi hanno una struttura sottoposta a un precario equilibrio di potere,
che dipende dalla capacità della leadership politica di assicurare ad ogni clan
un ruolo di rilievo all’interno dell’organigramma dei servizi segreti.
Rimanendo sempre nell’ambito comunista, l’autore non poteva non riservare uno
spazio specifico ai servizi segreti cinesi, la cui professionalità si è
dispiegata soprattutto nell’ambito della guerra psicologica. In primo luogo,
l’autore sottolinea come il servizio segreto cinese abbia svolto il ruolo di
cerniera tra il partito, le forze armate e il sistema economico; in secondo
luogo Giaconi rileva come la numerosissima comunità di cinesi emigrati
costituisca una rete informativa di fondamentale importanza. In terzo
luogo, la suddivisione tra servizi interni ed esterni è del tutto sconosciuta
all’intelligence cinese. Con particolare chiarezza, l’autore spiega poi come la
riforma del 1983 del Ministero della sicurezza dello Stato consenta una precisa
verticalizzazione delle informazioni, che passano dalle mani del segretario del
partito comunista cinese, poi in quelle degli esponenti principali del
consiglio di Stato, per arrivare alla commissione politica centrale fino a
quella di alcuni selezionati dirigenti del partito comunista cinese.
Per
quanto riguarda l’Iran, la tendenza principale dell’approccio
strategico è relativo alla guerra asimmetrica; e cioè relativo al contrasto
degli interessi americani nel Golfo in tutto il Medio Oriente, oltre che in
Asia centrale.
In relazione alla strategia Saudita l’autore sottolinea la necessità, da parte
di Riad, di controllare la costa verso l’Africa e l’Egitto, di attuare una
costante deterrenza ai danni dell’Iran sciita e, infine, di esercitare
un’adeguata pressione su Giordania e Iraq. In definitiva, questa strategia è
volta a gestire l’equilibrio petrolifero, estrattivo e politico dei concorrenti
del regno all’interno dell’Opec.
Per
quanto concerne la Turchia, l’autore sfata alcuni luoghi comuni
sottolineando come le forze armate turche siano altamente specializzate e molto
qualificate sotto il profilo dell‘addestramento. D’altra parte, i servizi
turchi sono un caso unico in ambito Nato, poiché hanno una struttura unificata;
e quindi dimostrano di essere altamente efficienti. Sotto il profilo della
strategia, la Turchia si è rivelata fondamentale per la Nato sia in
relazione all’Urss sia in relazione ai suoi alleati regionali. Quanto agli
attuali contrasti con gli Stati Uniti, questi, probabilmente, favoriranno un
accordo di natura prevalentemente strategica con la federazione russa per la
spartizione turco- slava del grande Medio Oriente.
Veniamo adesso all’Egitto. Non c’è dubbio che le forze armate controllino
almeno il 40% della economia nazionale: basti pensare che sei tra le
quattordici società che hanno realizzato il raddoppio del Canale di Suez non
sono altro che joint-venture tra militari egiziani e imprese estere. Quanto
ai servizi di intelligence, questi hanno un doppio funzionamento, perché non
solo operano in modo tradizionale nello spionaggio e nel controspionaggio,
ma si occupano soprattutto del controllo della società civile. Non a caso,
l’ascesa del presidente Nasser fu possibile grazie al ruolo fondamentale svolto
dal servizio segreto egiziano. In questo contesto la figura centrale fu
certamente rappresentata da Omar Suleiman, capo dei servizi segreti
egiziani dal 1993 fino al 2011. Il suo ruolo, a livello politico, fu di fondamentale
importanza, poiché fu consigliere molto ascoltato dal presidente Mubarak, oltre
ad essere uomo di fiducia dei servizi segreti americani. Non dimentichiamoci
che le più importanti operazioni coperte nei confronti dei terroristi islamici
furono proprio affidate dalla CIA al servizio segreto egiziano. In relazione al
drammatico caso di Giulio Regeni, Giaconi acutamente osserva come il suo
omicidio sia stato certamente anche la conseguenza di un conflitto di potere
tra il presidente al Sisi e il suo braccio destro El Tohami. Infine,
grazie alla profonda influenza che il KGB esercitò su servizi segreti egiziani
durante la guerra fredda, l’Intelligence egiziana attribuisce giustamente più
importanza al fine politico dell’intelligence che alla dimensione strettamente
tecnologica, nonostante il fatto-rileva criticamente l’autore-che la rete dei
servizi segreti egiziani sia troppo divisa al suo interno e con numerose
sovrapposizioni.
Per quanto concerne l’Algeria, le forze armate algerine sono considerate
quelle meglio addestrate in Africa, grazie anche ad una distribuzione
razionale delle risorse che ha sempre dimostrato una specifica attenzione nei
confronti delle minacce che provengono da sud e da est. Nel complesso, la
strategia militare algerina pone l’enfasi sulla dimensione territoriale e in
particolare alle zone del sud e dell’est del paese, che rappresentano un
pericolo a causa della presenza diffusa del terrorismo islamico.
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