Maradona, l’ultimo rivoluzionario
“Gli uomini si dividono in due gruppi: il primo, infinitamente numeroso, cui appartengono coloro che si affannano per le cose volgari e comuni, che percorrono solo strade note già esplorate da altri; il secondo, molto piccolo, cui appartengono gli uomini che attribuiscono un valore straordinario a ciò che sanno di dover fare. Costoro non si accontentano se non della gloria, respirano l’aria del secolo successivo che dovrà cantare le loro imprese e vivono quasi nell’eternità! Sono uomini sui quali una strada nuova esercita un fascino irresistibile. Per Alessandro, è stata la strada di Persia; per Colombo, la rotta delle Indie; per Napoleone, il cammino che portava al dominio del mondo; per San Martin, la libertà dell’America”.
Si potrebbe partire da questa frase di Evita Peròn per descrivere l’ascesa e la caduta di Diego Armando Maradona, un uomo animato da un insaziabile fame di riscatto, che non era fatto per perdersi in stupidi calcoli, compromessi o accomodamenti ma per osare. Se il calcio è “metafora della vita” come disse Sartre e se la vita è l’Io come progetto, un io che si fa, che continuamente inventa sé stesso, che non ha un mondo di valori a cui aggrapparsi ma che dà vita a dei valori con le proprie azioni, col proprio farsi ebbene Maradona ha incarnato perfettamente la “filosofia del nostro tempo”.
Le immagini che lo consegnano alla storia sono quelle di uno spirito indomito, che non “ha mai tirato indietro la gamba”, ma è sempre andato oltre il limite dell’umano, fino a varcare il divino.
Maradona, eroe degli ultimi
Ma Maradona non è stato solo uno spirito libero ma un vero e proprio Comandante, che ha saputo come Juan Domingo Peron e sua moglie Evita (che alla madre di Maradona regalò le scarpe e donò speranza) per la masse dei descamisados argentini, rappresentare una Speranza, una fonte di ispirazione, un modello, un esempio, una via di Riscatto per due popoli oppressi, dimenticati e vilipesi: quello argentino e quello napoletano. Mai si è dimenticato delle proprie radici, delle proprie origini: dalla miseria e dalla precarietà di Villa Fiorito un quartiero “privato”, sì “ma di acqua e luce”, all’autenticità e alla genuinità de ‘el Paternal’, quartiere residenziale ben lontano dalla Buenos Aires “bene” in cui ha mosso i primi passi da calciatore. Qui ha respirato il calore, l’amore della gente, la freschezza delle piccole cose (una partita a “truco” con la famiglia, un asado coi tifosi), la condivisione e l’amicizia, lo spirito di appartenenza: i valori del Barrio, i valori della Vita.
Qui nelle giovanili e nella prima squadra dell’Argentinos ha mostrato per la prima volta al mondo tutto il suo talento e maturato la convinzione di essere un predestinato, un uomo baciato da Dio.
Qui si è esibito un Maradona ancora puro, candido con il corpo ancora incontaminato dagli eccessi dell’alcol o della droga, gli occhi ancora non appesantiti dalle “notti napoletane”, l’anima ancora non macchiata dal peccato, un fanciullo già capace di diventare un simbolo, una fiamma nel buio pesto del regime di Videla, trionfando coll’Under 21 argentina e col Boca (cui tornerà a fine carriera).
Il riscatto di Napoli
È a Napoli che nel bene e nel male si fa il Maradona uomo. Corteggiato per anni anche dalla Juventus, scelse il Napoli perché per lui Ferlaino si sarebbe anche gettato vivo nel Vesuvio. Gli sforzi fatti per prenderlo furono enormi, coinvolgendo la DC, il Banco di Napoli, di Roma, il Monte dei Paschi di Siena.
Appena arrivato a Napoli ebbe a dire di fronte all’immenso e all’epoca già cadente San Paolo che evocava in lui il ricordo de ‘la Bombonera’, che lì si sarebbe sentito a casa. La gioia, l’amore, l’affetto che si riversò sin dal primo istante su di lui fu enorme, lo stadio stracolmo. La voglia di riscatto, di rivalsa di una comunità orgogliosa della propria identità e che vedeva in lui un’occasione di riscatto, una speranza per il futuro rendevano l’atmosfera molto simile a quella del suo paese.
Incarnò alla perfezione i sentori non solo di Napoli ma di tutto il Sud Italia, dimenticato, trascurato, illuso e deluso, il cui grido di dolore sin dall’epoca di Masaniello è sempre stato soffocato nel sangue o lasciato cadere nell’indifferenza come semplice follia. Maradona ha restituito ai napoletani uno spazio per far sentire la propria voce, per essere orgogliosi di quello che sono, una valvola di sfogo in cui esprimere la propria frustrazione, poter “pazziare”, “vivere un giorno da leone” ma anche una motivazione a non arrendersi e un orgoglio smarrito.
Un campione contro ogni èlite
È stato il simbolo della rivalsa degli ultimi, dei dimenticati, del Sud del Mondo contro le èlite economiche del Nord del Mondo facendosi veicolo dei valori, dei desideri e delle frustrazioni dei popoli oppressi. Vide nella Juventus l’avversario più detestabile perché visto come la quintessenza del capitalismo: ricca, potente e sradicata (non legata ad un popolo in particolare) ma dall’altra ne ammirò lo stile, la classe e i valori incarnati da Gianni Agnelli, con lui la stima era reciproca. Con Platini condivideva il tono a volte irridente con cui affrontava la stampa ma per il resto era l’opposto: l’uno Michel dall’atteggiamento aristocratico, elitario e snob, l’altro Diego populista, umorale, impopolare, spesso ‘solo contro tutti’, lui non era un uomo che si accontentava di comode sicurezze ma sempre pronto a mettersi in discussione e ad immergersi nella lotta, nell’agone, nel caos.
La calda Napoli fu la città che più faceva per lui, per il suo carattere, per le sue abitudini, in cui diventò non uno fra tanti ma un Dio ma in cui scoprì anche il suo lato peggiore. Nell’amore di un popolo scoprì la solitudine, nell’esaltazione dei trionfi italiani ed europei (la coppa Uefa del 1989) toccò il fondo, non resse il peso del successo e cominciarono i problemi.
Amicizie e frequentazioni sbagliate, quelle con i boss Luigi Giuliano e Salvatore Lo Russo, fiumi di cocaina, l’evasione fiscale (oltre 40 miliardi contestati fino ad oggi), moltissime ragazze ai suoi piedi e l’incapacità di fare il padre di famiglia che tanto ha condizionato il rapporto con le sue due figlie e ha fatto soffrire i figli nati dalle sue infinite relazioni (tra cui l’omonimo Diego Armando): errori che tenterà poi di riparare, riconoscendo di aver sbagliato. A Napoli D10S si è scontrato con limiti, che non credeva di avere, gli ostacoli della vita non sono avversari che puoi dribblare. Negli anni di Napoli ha anche avuto di incontrare un altro gigante come Giovanni Paolo II con cui ha avuto un incontro, che iniziato non nel migliore dei modi ha poi sempre ricordato come “indimenticabile”.
Ad irritarlo erano stati i tetti d’oro del Vaticano che lui, con l’ingenuità del ragazzo, aveva interpretato qualcosa di incoerente col messaggio dello stesso Papa. Non ha mai di pregare El Barba (così si rivolgeva a Dio), che è stata la sua ancora di salvezza nei momenti difficili, quando cercò di uscire dal tunnel della cocaina nei primi anni 2000 a Cuba. Ritroverà la Chiesa con Bergoglio, un papa argentino, che come lui aveva vissuto sulla propria pelle le condizioni di umiliazione in cui versavano i paesi dell’America Latina.
Maradona beffa l’Inghilterra
L’altro grande avversario calcistico e non solo della sua carriera fu l’Inghilterra, anche questo carico di significati politici. Il teatro della partita è lo Stadio Azteca a Città del Messico ed è questo il momento che consegna per sempre Maradona al mito.
La sua partita è una dichiarazione politica, lui è il “Che” del calcio come lo ha definito argutamente Fidel Castro, il rivoluzionario che con gesta eroiche e clamorose, con fiammate contesta il potere: è un fuoco, è un lampo, è la rivoluzione che non diventa brace e che a differenza di Castro (morto lo stesso giorno) ci ha lasciati a 60 anni, prima di diventare brace. In questa partita sono condensati tutti gli elementi dell’antimperialismo sudamericano, c’è un oppressore che schiaccia e opprime un popolo e c’è una figura carismatica attorno alla quale tutto il popolo (in questo caso i giocatori e i tifosi) si compatta e decide di credere nel lìder affidandosi ad esso, andando oltre ogni aspettativa. Così una squadra non dotata di grandi individualità eccetto il Diez è riuscita non solo a vincere il Mondiale ma anche e soprattutto a prendersi una rivincita davanti a tutto il mondo umiliando l’Inghilterra di Madame Tatcher che 4 anni prima aveva represso il grido disperato de las Malvinas.
C’è la mano de Dios a sbloccare la partita ma è forse il secondo gol quello più iconico: un’incursione di Maradona(“barrilete cosmico) rompe gli argini difensivi degli inglesi, “una corrida memorable” che, per usare le parole di Victor Hugo Morales, che ha reso il Paese un “un puno apretado gritando por Argentina”.
Ed ecco che lì la figura di Maradona che diventa un’icona della lotta contro l’oppressione, per la difesa delle identità dei popoli, della loro libertà dalla dittatura economica statunitense e del potere finanziario che lo ha portato a sostenere leader come i Kirchner, Castro, Chavez, Morales e Maduro, di cui si è più volte definito “soldato” contro“il Regno del Male” che con false illusioni di libertà e di benessere lusinga i popoli latino-americani, distogliendoli dall’essenziale.
Quelle immagini restano indelebili nella storia del mito perché ce ne ricordano la grandezza, le ultime immagini hanno raccontato il declino della stella, il lato umano, vulnerabile che non ne sminuisce la grandezza ma che lo riconsegna all’umiltà e alla miseria da cui tutto è iniziato.
E tornano alla mente le parole di Jorge Valdano, suo compagno nell’Argentina:
«Povero, vecchio Diego. Abbiamo continuato a dirgli per tanti anni “Sei un dio”, “Sei una stella”, e ci siamo scordati di dirgli la cosa più importante: “Sei un uomo”»
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