Il mito dell’ideologia del merito
“Il merito è di sinistra. Lo vogliamo dire a quelli che dicono che tutti possono avere tutto. Il merito è il nostro unico parametro di misura e su questo li sfidiamo” Così si è espressa Teresa Bellanova, ministra delle politiche agricole, dal palco della Leopolda.
Quest’uscita della ministra renziana, celebre come sindacalista gialla e per i suoi titoli di studio non brillantissimi, è interessante soprattutto perché, dato il pulpito da cui parla, dà per scontata una prevalente visione dell’idea di ‘merito’, associabile a istanze di ‘economia libera’, ‘mercato’, ‘privato’.
Questo messaggio, che non è certo una novità nelle fila della sinistra liberal, mira a coltivare un’opposizione di questo genere: da un lato ci sarebbe una ‘vecchia sinistra’, statalista, inefficiente e assistenzialista, e dall’altro ‘noi’, la ‘nuova sinistra’, meritocratica e liberale.
Una volta fatta passare questa opposizione di comodo, la preferenza per la seconda finisce per essere un’opzione naturale.
Per chiarire la natura fuorviante di questo messaggio si possono fare, almeno in prima battuta, due osservazioni.
1) L’idea liberale di ‘merito’ assume che
esso sia, per così dire, una qualità
intrinseca del soggetto, una virtù interiore, che non deve nulla a nessuno e
che dovrebbe essere semplicemente moralmente riconosciuta.
Questa visione ha tuttavia un carattere prettamente mitologico, privo di ogni
fondamento.
In primo luogo, com’è del tutto ovvio, le nostre capacità, la nostra ‘buona volonta’, le nostre inclinazioni, la nostra capacità di autocorreggerci, la nostra forza di volontà, ecc. sono, come si usava dire un tempo, ‘doni’. Che siano doni di cui rendere grazie a Dio, o alla Natura, o alla Fortuna qui non importa. Quel che è certo è che in un senso primario, noi non siamo ‘meritevoli’ per nostro merito. E’ proprio logicamente impossibile.
Dovremmo allora forse azzerare e rigettare i riconoscimenti di merito?
Ma niente
affatto, non dobbiamo farlo perché premiare
il merito è socialmente utile. Questo punto comincia a diradare la nebbia circa
il senso degli appelli al ‘merito’. ll merito, quale che sia, no inerisce al
soggetto meritevole, ma dipende dalla
relazione tra tale soggetto e altri soggetti verso cui è esso meritevole.
L’idea mitologica del ‘merito’ come
qualità intrinseca deve essere sostituito dall’idea del merito come qualità
relazionale.
Non è l’intrinseca straordinarietà di
una facoltà a rappresentare di per sé un ‘merito’: se io sono l’unico al
mondo capace di camminare sulle orecchie, questo può forse essere un simpatico oggetto
di curiosità circense, ma non rappresenta un merito finché non ha una funzione
utile per altri.
Questo punto, per quanto banale, consente di mettere un po’ d’ordine in quel tipo di pensierini marcescenti del tipo ‘siccome questo me lo sono meritato non devo niente a nessuno’. In verità tutto ciò che abbiamo ‘per merito’ lo abbiamo sulla scorta di dipendenze molteplici, da quelle a monte della nostra esistenza (per cui siamo ciò che siamo) a quella a valle delle nostre azioni (per cui altri riconoscono i nostri meriti).
Perciò, mentre è socialmente saggio riconoscere il merito, dev’essere chiaro che il meritevole è sempre una ‘funzione sociale’ moralmente indebitata con altri.
In che misura questo indebitamento morale sia opportuno che ritorni alla società (per dire in forme redistributive) va discusso in contesto, ma che un ritorno vi debba essere è certo.
2) Che il merito sia socialmente funzionale non significa affatto che esso sia valutabile in termini di mercato.
In
effetti, i meccanismi di mercato sono
funzionali al riconoscimento del merito solo in maniera limitata e selettiva.
I meriti di un buon commerciante al dettaglio di beni d’uso comune possono
spesso essere ben valutati dal mercato. Ma la valutazione monetaria del mercato è notoriamente assai scadente nel
valutare tutte le funzioni sociali che non siano facilmente riconoscibili e
che non riguardino beni di cui è limitabile l’accesso.
Il merito di chi trovasse una cura per il cancro e poi la diffondesse
universalmente avrebbe un riconoscimento di mercato pari esattamente a zero,
mentre il ‘merito’ di un produttore di videogiochi pruriginosi o di uno
spacciatore di crack possono ottenere un estesissimo riconoscimento di mercato,
pur con meriti socialmente dubbi.
Fatte queste due brevi considerazioni, si potrebbe forse trarne
una sola breve morale, concernente quei
politici che, dall’alto della pochezza della loro formazione, parlano a cuor
leggero di merito, assumendone un significato fuorviante, e facendone
addirittura “l’unico parametro di misura”.
Ecco, ad occhio e croce si tratta di rappresentanti politici che dovrebbero
senz’altro lasciare il posto a gente più meritevole.
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