Dall’ordine al caos: il lungo tramonto del liberalismo
La pandemia di Covid-19 ha rappresentato, per la maggior parte delle società occidentali, un’Epifania, una rivelazione definitiva circa la caducità del dogma imperante a livello sociale, politico e economico: l‘individualismo narcisista, edonistico e astorico di cui sono state nutrite le società contemporanee e la dottrina economica neoliberista assurta a ordinatore culturale di riferimento e vera e propria pietra miliare politica si sono schiantati contro il richiamo al dovere, la catastrofe economica e la natura collettiva del caos connessi allo scoppio della pandemia.
Con la pandemia è definitivamente fallita l’ultima versione della distorta versione di liberalismo che, come ha ricordato Alessio Mannino in Disciplina del Caos – Come uscire dal labirinto del pensiero unico liberale – è stato a lungo presentato come il punto di arrivo ultimo delle ideologie, anzi come l’ideologia destinata porre fine a tutte le ideologie. A David Nieri e alla sua casa editrice “La Vela”, che ha pubblicato il saggio, l’onore di essersi una volta di più distinti per una coraggiosa scelta culturale controcorrente: nell’era in cui, da un lato, i venti del conformismo mediatico e culutrale soffiano più forti e la classe intellettuale si dimostra poco attenta a leggere il presente e, dall’altro, il populismo paranoico e il Qanonismo in salsa no-vax egemonizzano una presunta “controinformazione” la casa editrice lucchese si conferma presidio di un pensiero critico, ben ponderato, con solide radici culturali ma non per questo meno incisivo.
Mannino è in tal senso uno degli ultimi, attenti polemisti del giornalismo italiano. Laddove con polemista intendiamo il complesso mestiere di chi, in forma dura, talvolta radicale e graffiante, ci ricorda che il sale dell’apprendimento e della crescita culturale è nel conflitto delle idee. E che, citando Eraclito, “Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi”. Mannino in quest’ottica segue il suo maestro, Massimo Fini, nel prendere una strada che va in direzione ostinata e contraria attaccando al cuore il mito su cui poggia il liberalismo contemporaneo, ovvero l’essersi dichiarato erede di una tradizione culturale nobile e di un pantheon ideologico da cui ha però sul campo preso apertamente le distanze.
Se un certo liberalismo tradizionale promuoveva l’autonomia dell’uomo nella società, sostenendo progresso culturale e scientifico nel quadro di un contesto armonioso (da Tocqueville a Luigi Einaudi, passando per William Gladstone, Mannino cita esempi importanti di portavoce di questo pensiero), il neoliberismo fattosi sistema, conquistate le roccaforti del pensiero, della cultura e dell’economia si fa ordinatore sociale, in nome dell’unione a freddo tra principi diversi. All’individualismo classico, esso somma il tradizionale utilitarismo e il conformismo “democratico, borghese, levigato, ragionevole” che Herbert Marcuse ricordava “prevalere nelle società industriali avanzate”, assieme a due principi apparentemente opposti ma complementari. Da un lato, la retorica emancipatoria liberal, la scissione dei diritti dai doveri e il post-sessantottismo radicale; dall’altro, il rilancio dell’ideologia dell’Homo Oeconomicus teorizzato da elitisti come Friederich von Hayek e Milton Firedman. Mannino coglie il ruolo giocato da questa maionese di idee nel destrutturare le società uscite dal trentennio impetuoso di sviluppo economico del secondo dopoguerra, nel farsi pivot umano e culturale, nel tribalizzare le società.
Ne risulta un contesto in cui il moderno liberalismo, citando Giovanni Sartori, è teso “ad alleviare, tramite le libertà, delle aristocrazie qualitative” che si autolegittimano in nome del mito del successo individuale, della meritocrazia, del primato del singolo e dei suoi diritti. Un liberalismo che destruttura le comunità e deresponsabilizza di fronte alla società. Trasformando il cittadino in consumatore, il consumatore in prodotto da spremere nella nuova frontiera dell’economia capitalista, quella delle piattaforme tecnologiche. Un liberalismo che si è schiantato di fronte al Covid-19, ma che anche nell’era pandemica è idolatrato dai suoi alfieri come ultima ridotta per la salvezza del sistema globale dominante.
Quando l’emergenza coronavirus sarà passata l’Europa e l’Occidente si accorgeranno della necessità di una svolta radicale che, in certi versi, sta già venendo messa in pratica sul campo sotto forma di risposte emergenziali. E a dover essere superate saranno numerose distorsioni nel modo di conduzione dell’economia, dell’approccio alla politica e del vivere sociale che erano già all’origine dela Grande Crisi iniziata nel 2007-2008 e che sono state poi volutamente ignorate. Per Mannino “imperativo è sottrarsi all’ossessività del tempo economico, che nel suo cieco infuriare inchioda la libertà a una stasi avvilente”: e il Covid-19 ha costretto le comunità umane a pensare al futuro in termini diversi. Lasciando in eredità dietro di sé le macerie delle illusioni infrante del moderno liberalismo.
Parliamo di modi di pensare, vivere e gestire gli affari pubblici che hanno enormemente condizionato le nostre società. La retorica della cessione di diritti sociali (sicurezza, salute, tutela del lavoro) in cambio della cosmesi dei diritti civili; la stessa ideologia della supremazia di questi diritti, a ogni costo, su ogni tipo di dovere e solidarietà (di classe, famigliare, di patria); l’individualismo consumista, che pone il benessere del singolo sopra ogni ragione di benessere collettivo e sociale: tutte queste tre fattispecie risultano notevolmente ridimensionate dalla necessità di una risposta comunitaria alla crisi sanitaria e ai suoi impatti politici, economici, socaili di lungo termine. Con cui prima o poi bisognerà fare i conti. E in nuce a dover essere invertita sarà una governance politica-economica che ha delegato ai mercati finanziari il compito di dettare i tempi della vita dei governi, delle società, dei lavoratori e ridotto la capacità di azione in caso di crisi, accettata da tempo quasi come uno status quo immanente, come Luciano Gallino ha ben sottolineato. Orizzonti infranti e crisi sistemiche: il liberalismo narcisista del mondo contemporaneo pare giunto al capolinea, ma citando Gramsci siamo nel periodo di interregno in cui il nuovo ordine è tramontato e uno nuovo deve ancora sorgere. Tra grandi monopoli tecnologici assetati di dati, crisi ambientale, politica emergenziale non è detto che questo sia necessariamente un bene. Il caso del liberalismo contemporaneo deve ancora trovare, in tempi pandemici, la sua disciplina.
Lorenzo
Mi permetto di consigliare la lettura di Bazzocchi “Il misterioso zoppicare dell’uomo. Indeterminazione umana, democrazia, autorità e libertà” sulle modifiche psicologiche e antropologiche del liberismo.
Lorenzo
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Lorenzo
Mi permetto di consigliare la lettura di Bazzocchi “Il misterioso zoppicare dell’uomo. Indeterminazione umana, democrazia, autorità e libertà” sulle modifiche psicologiche e antropologiche del liberismo.