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Il falso mito della meritocrazia neoliberista

McKinsey neoliberismo neoliberista

Il falso mito della meritocrazia neoliberista

Alcuni aspetti presenti nel saggio scritto a quattro mani da Federico Chicchi e da Anna Simone dal titolo “La società della prestazione” (Ediesse , 2020) ci consentono di affermare-ammesso che ce ne fosse bisogno-la grande lucidità e validità delle analisi fatte da Luciano Gallino in merito alle caratteristiche della società capitalistica attuale.

Un recente e imponente studio empirico quantitativo del MacKinsey Global Institute sul lavoro indipendente edito nel 2016 ha sostenuto l’importanza crescente del lavoro autonomo nel contesto dell’economia neoliberale. Questa ricerca basandosi sui dati raccolti attraverso una survey fatta in sei differenti paesi, stima che gli occupati che lavorano con contratto di lavoro indipendente negli Stati Uniti e in Europa siano più di 162 milioni di individui. A sostenere la diffusione di tali lavori sarebbero anche le nuove piattaforme digitali che soprattutto grazie ai nuovi dispositivi mobili mettono in connessione tra loro un numero elevatissimo di lavoratori e lavoratrici e di potenziali clienti. A partire da questo studio inoltre è possibile identificare quattro diverse segmenti di lavoratori indipendenti: secondo i dati raccolti a questo riguardo, il 30% dei lavoratori indipendenti sono definibili come free agents ovvero attori sociali che scelgono di svolgere volontariamente e con consapevolezza il loro lavoro.

All’incirca il 40% vi sono i casual earners cioè lavoratori autonomi che usano questa attività per ottenere un reddito supplementare a quello procurato attraverso altre attività. La terza categoria è quella rappresentata dai reclutants che rappresentano circa il 14% dei lavoratori indipendenti e, pur ricavando la maggior parte del loro reddito complessivo dell’attività professionale indipendente, preferirebbero lavorare con lavori tradizionali salariati.

L’ultimo gruppo, che rappresenta il 16% dei lavoratori, è invece denominato financially strapped e individua coloro che ricavano dall’attività autonoma che svolgono solo redditi complementari, superflui o quasi, rispetto ai loro bisogni materiali complessivi. È evidente che accanto ai benefici che possono essere presenti nei lavoratori autonomi vi sono però alcuni problemi legati allungamento dell’orario di lavoro senza ottenere un adeguato incremento a livello reddituale, l’assenza di dispositivi relativi alla sicurezza su lavoro e sulla previdenza sociale. È evidente che questa tipologia non fa altro che legittimare da un lato la precarizzazione del lavoro -sulla quale più volte aveva posto l’enfasi Luciano Gallino – e dall’altro lato il lavoro autonomo si presta ad un uso enormemente più flessibile e quindi più ricattabile da parte dell’impresa svuotando di fatto la logica di potere dei sindacati – radicata nel pubblico impiego – e dissolvendo lo Stato sociale.

Una seconda caratteristica posta in essere dal saggio è il culto della performance e l’ipercompetitività che porta di fatto i soggetti verso la rottura dei loro legami e delle loro relazioni sociali determinando patologie di natura psicologica come la depressione.

Un’altra caratteristica è la diffusione del diversity Managment. Nato all’inizio degli Anni Novanta dalla Scuola di Managment McKinsey e prontamente diffusa dall’Università Bocconi di Milano e da altre università europee, viene incluso all’interno della direzione generale per la giustizia della commissione europea ed è diventato uno strumento ormai fondamentale per raggiungere gli obiettivi aziendali. In base a questo approccio investire sulle differenze può far incrementare l’interesse aziendale e nel contempo può costruire un buon capitale reputazionale.

Questo strumento insomma ha una duplice funzione sempre finalizzata naturalmente al profitto: una interna relativa alla valorizzazione dei singoli individui e alla loro differenza nell’ambito della gestione delle risorse umane contro le discriminazioni e una esterna finalizzata a rivendere sul mercato, attraverso adeguate strategie di marketing, l’inclusione contro l’esclusione che però si trasforma in un brand. Ciò significa che donne, Immigrati, omosessuali eccetera diventano così un capitale su cui investire, una sorta di corpo-merce da mettere a valore e da cui estrarre il profitto attraverso la strategia di marketing. Oggi questo approccio non solo è presente all’interno delle piccole medie e medie imprese ma addirittura nel mondo universitario. Uno strumento quantitativo nato a supporto di questo approccio è il cosiddetto gender index e il gay index. Il primo nasce con lo spirito di promuovere la cultura egualitaria in tutti gli ambiti, dalle aziende alle situazioni, e contro ogni discriminazione di genere, ma sempre seguendo il criterio secondo cui la responsabilità sociale, pubblica e d’impresa deve fare aumentare gli utili, dunque ben al di là della cultura classica dei diritti; il secondo è stato promosso dal sociologo Richard Florida per dimostrare come le aziende possono aumentare il loro fatturato assumendo omosessuali attraverso adeguate campagne di marketing.

In questo contesto diventa fondamentale la realizzazione di dispositivi di natura meritocratica fondamentalmente quantitativi, performativi e prestazionali tarati su indici aziendali. Il sistema di valutazione che ormai ha preso piede in tutte le istituzioni è un esempio chiaro di cosa può generare un dispositivo prestazionali all’interno del frame generale della meritocrazia del cosiddetto scientifico management. Quest’ultimo approccio ha come matrice originaria lo spirito del toyotismo cioè un modello di catena di montaggio applicato ai saperi umanistici e alla gestione delle risorse umane ed introduce una mentalità di natura aziendalistica indipendentemente dall’indirizzo della stessa sia cioè che sia di tipo economico sia di tipo umanistico.

In conclusione, questo approccio all’impresa così come al mondo della formazione, e non solo finalizzato come evidente ad una aziendalizzazione pervasiva ma anche ad una altrettanto pervasiva e capillare americanizzazione come dimostra un semplice elemento: l’uso del lessico di matrice anglo -americano.

Nel 2011 ha fondato il Network internazionale Cestudec (Centro studi strategici Carlo de Cristoforis) con sede a Como, centro studi iscritto all'Anagrafe della Ricerca dal 2015. La finalità del centro è quella di studiare, in una ottica realistica, le dinamiche conflittuali delle relazioni internazionali ponendo l'enfasi sulla dimensione della intelligence e della geopolitica alla luce delle riflessioni di Christian Harbulot fondatore e direttore della Scuola di guerra economica(Ege) di Parigi

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