Mondocane è un punto di svolta per il cinema italiano
Capolavoro Mondocane: ecologia… o analogia
(con un appello finale per il cinema)
Da amante del cinema, credo fermamente che il termine “capolavoro” vada centellinato. Va riservato a quelle opere non solo complete sotto ogni aspetto qualitativo – dalle interpretazioni alla sceneggiatura, dal ritmo alla fotografia, dalla storia alla capacità di far passare un proprio messaggio – ma anche in grado di alzare il livello, di innovare, di portare più oltre il discorso artistico offrendoci una complessità di piani di lettura e temi letterari.
Con Mondocane siamo davanti ad un’opera d’arte cinematografica di questo tipo. Elabora per il cinema italiano un mix di generi – tra fantascienza post-apocalittica e dramma sociale – quasi mai toccato dalle nostre cineprese (rarissimi gli altri esempi: “La terra dei figli” è sempre del 2021, “Il seme dell’uomo” è del ’69) e lo fa proponendoci un racconto potentissimo, a tratti epico.
Definire Mondocane una pellicola ecologista, come pure è stato fatto, è estremamente riduttivo. Vero: siamo nella Taranto di un prossimo futuro uccisa più che devastata dalla catastrofe ambientale, ma la riflessione del film non è solo sul tema ecologico e sul rapporto dell’uomo con la natura. Anzi, verrebbe quasi da dire che la riflessione ecologica è un pretesto perché l’uomo rifletta su stesso, sul rapporto con la società e i propri simili. Già in questo la regia di Alessandro Celli – al suo primo lungometraggio – risulta estremamente coraggiosa, distaccandosi dal facile ecologismo assai di moda, dal “culto della Madre Terra” che arriva quasi a considerare l’uomo un incidente, una malattia del pianeta. Al contrario: è proprio l’uomo quello che a Celli interessa, e nel film il regista dimostra di volere – e sapere – esplorarne tutti gli anfratti: l’amore tra uomo e donna, il romanzo di formazione di due preadolescenti, l’amicizia, l’importanza del gruppo, della famiglia, della comunità (presentati per modus tollens: famiglia laddove nessun personaggio ne ha una vera, comunità del tutto devastate), il coraggio della scelta, coraggio da portare con sé ogni giorno, ogni momento. Questa è la dimensione epica del film: la sua grandezza narrativa, il suo rifarsi a valori primordiali, essenziali all’umano.
Il tema della scelta è molto più importante di quello ecologico, la devastazione della natura deriva proprio da scelte folli dell’uomo. I protagonisti dovranno scegliere: il gruppo, o l’amico? Il proprio contesto sociale, o l’amore? Come dice al protagonista il personaggio Testacalda, interpretato da un magnifico Alessandro Borghi: “Tu sei come me, non ti piace il destino: perché il destino è il contrario della libertà” e ai bambini di strada cui sta insegnando a colorare: “Scegliete un colore preferito, uno!” “Ma sono tutti bellissimi, non possiamo sceglierne due?” “No, uno: dovete imparare a scegliere”. Le scelte operate dai personaggi li porteranno tutti verso esiti drammatici, ora di morte ora di redenzione e libertà, esiti sempre forti, sempre potenti e incisivi. Analogia quindi ben più che ecologia: Mondocane è un film che porta nel cinema italiano scenari, ambientazioni, tematiche non nuove di per sé ma assai probabilmente mai esposte con tale nitore e completezza in un’unica opera.
Le scelte tecniche supportano magnificamente il messaggio: i serrati e naturalissimi dialoghi dialettali, i sapienti contrasti giorno-notte e luce-tenebra, la violenza rappresentata con assoluta crudezza ma con essenzialità, senza alcuna deriva estetizzante, deriva che non si intravede nemmeno nella stupenda e terribile fotografia delle architetture, imponenti e opprimenti nella rappresentazione delle rovine della città vecchia o dell’enorme acciaieria, dove la mostruosità del disastro ha schiacciato l’uomo, più contenute e rassicuranti nella città nuova, con le sue ville e villette borghesi dal verde surrealmente curato. Anche in questo caso è la realtà che schiaccia l’uomo, che quindi si autocostringe in un villaggio Potemkin per illudersi che il destino non verrà a prenderselo (quel che invece accade alla proprietaria della villa rapinata dalla banda di Testacalda), ma sempre se non avrà il coraggio di operare delle scelte.
Una nota ineludibile sulla distribuzione del film: è intollerabile che una pellicola di questo pregio, presentata a Venezia 2021, abbia avuto una distribuzione così scarna nelle sale. Non possiamo trattare così la nostra cultura, lasciando ai supereroi americani i pochi multisala che sopravviveranno alla crisi dei cinema mentre le piattaforme proporranno prodotti seriali che abbiamo superato il “visto censura” del rassicurante, del modaiolo e del politicamente corretto. È in gioco la cultura italiana, che produce ancora opere di questo calibro ma che rischia di venire letteralmente sommersa da prodotti stranieri di livello non sempre comparabile. È in gioco anche la libertà creativa che solo il circuito del cinema e dei cinema può garantire, al di fuori dai parametri delle major internazionali della produzione e della distribuzione: sulle piattaforme di distribuzione TV e Internet ormai divenute produttrici un’opera simile non sarebbe stata ammissibile e chi ha seguito il dibattito sui canoni che vengono letteralmente imposti a sceneggiatori, produttori e registi sa di cosa parlo: vi sono cose che non si possono dire o mostrare e altre che si devono dire e mostrare per forza se si vuole avere una minima speranza di diffusione della propria opera.
Non sono più disposto a bermi la storiella del “pubblico che chiede altro”: non reggerà come scusa finché l’offerta sarà orientata a priori da distribuzione e pubblicità. Il resto sono chiacchiere e luoghi comuni.