Carl Schmitt da Berlino a Pechino
Daniele Perra
2022, Anteo Edizioni, pagg. 198, Euro 20,00
Non propone mai libri “leggeri” o istantanei l’amico Daniele. I suoi testi sono sempre complessi, completi e compendiosi. Questo non vuole certo dire lunghi o prolissi (“rem tene, verba sequentur” come amo spesso ripetere), è anzi sempre notevole come gli riesca di aprire al lettore italiano mondi non noti alla nostra pubblicistica, e di farlo di solito in un paio di centinaia di pagine.
Ritroviamo in questo testo la completezza del Perra de “La Terra dei Puri: ideologia e geopolitica del Pakistan”. Anche in questo testo, infatti, Daniele compendia l’apparato ideologico – ed ideale – che supporta la politica internazionale di uno Stato e passa quindi ad analizzarne prassi e contesti geopolitici. Si tratta di un metodo ormai consolidato dallo studioso sardo, un metodo molto raro in un panorama informativo e divulgativo ormai assuefatto ad un giornalismo geopolitico la validità dei contenuti del quale dura lo spazio di un mattino, e ad una letteratura scientifica in cui si trovano testi di qualità ma che ancora non ha compreso a fondo il metodo della geopolitica, cioè la sua sostanziale e necessaria interdisciplinarità.
Il volume di Daniele ha dunque la complessità di un testo scientifico (con una bibliografia e un apparato di note a dir poco imponenti), oltre alla completezza ed esaustività di quello divulgativo.
Nella prima parte, lo studioso sardo ci conduce attraverso la base teorica del pensiero geopolitico cinese contemporaneo, dischiudendo al lettore italiano autori a lui assai poco noti, spiegati e commentati (la polemica su come il pensiero cinese sia colpevolmente ignorato o dolosamente mistificato in occidente richiederebbe da sola un libro a parte), analizzando l’impatto del pensiero “nomotetico” schmittiano sui medesimi (ebbene sì: la “barbara” Cina legge, conosce e studia il pensiero europeo, incredibile dictu per un paese che ha il marxismo-leninismo in Costituzione, nevvero?). Nella seconda parte l’autore analizza la geopolitica cinese, sul piano teorico e quindi su quello della prassi e delle questioni aperte di politica internazionale (fino a giungere al confronto tra Repubblica Popolare, AUKUS e QUAD).
Il lettore trova quindi un apparato di quattro appendici: un focus su “Hobbes, Schmitt e la Cina”, uno “Sulla Geografia Sacra della Cina”, uno sull’ “Approccio confuciano al Covid19” e l’ultimo sulla questione dello Xinjiang, il tema caldo tornato alle cronache nostrane proprio mentre leggiamo, dove ovviamente l’autore decostruisce le narrazioni occidentali sulla questione dell’antico Turkestan Orientale.
Questo schema metodologico, questa vera e propria mappa di indagine della geopolitica degli Stati è per chi scrive queste righe un invito a nozze. Lungi dal considerare la geopolitica una scienza esatta, una macchina del determinismo geografico, la mia piccola battaglia intellettuale mira al contrario a parlare della geopolitica come di un sistema di idee, come del modo in cui l’Uomo e le Civiltà si vedono nello spazio. In tal senso, la geopolitica non può non includere anche una dimensione profondamente sacra, spirituale, metafisica, come ripete spesso anche Claudio Mutti, Direttore della rivista Eurasia – ormai l’unica rivista di teoria geopolitica in lingua italiana. È infatti anche nella dimensione spirituale che l’uomo si immagina nello spazio, e Perra, che di Mutti è allievo prediletto, non manca di descriverlo e spiegarlo, ricollegandosi ad una tradizione che vanta studiosi del calibro dell’iranista Henry Corbin con la sua teoria del “Mondo Immaginale” nella spiritualità persiana. I miei piccoli testi non possiedono la dottrina di quelli di Daniele, ma questa impostazione ci unisce: spero sempre di essere per lui un valido alleato, al motto di “divulgare senza semplificare”, mettendo in risalto le complessità senza abolirle.
Tra le tante opere allarmistiche a carattere giornalistico, aneddotico e non scientifico (quando non chiaramente polemistico e antiscientifico) che affollano le librerie, cominciano ad apparire da una decina di anni a questa parte anche opere serie, scritte da sinologi competenti, che spiegano il pensiero cinese, con una particolare focale sul confucianesimo – “Give credit when credit is due”: non possiamo non citare l’ottimo “Ritorno a Confucio. La Cina di oggi fra tradizione e mercato” di Maurizio Scarpari. Mancano quasi del tutto studi contemporanei in lingua italiana dedicati alla ricezione del pensiero europeo in Cina, essendo ormai ogni studio sul marxismo, sul maoismo e sulle loro evoluzioni e filiazioni ritenuto ora privo di interesse, ora un vero e proprio tabù. Daniele infatti utilizza, tra gli altri, il classico di Enrica Collotti Pischel “Storia della Rivoluzione Cinese”, un testo che ha il pregio immenso di spiegare la Rivoluzione come un processo pluridecennale e non come una scintilla accaduta in una notte (“La Presa della Bastiglia” o “La presa del Palazzo di Inverno”), letture care alle vulgate contemporanee che così possono degradare ogni rivoluzione a mero “colpo di stato” (Lenin come Pinochet, insomma). Il problema è che il testo della Collotti Pischel è, se non andiamo errati, del 1972.
Anche questo, oltre alla qualità dei contenuti, rende prezioso il lavoro di Daniele: è praticamente un unicum nel panorama italiano contemporaneo.