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La strumentalità del concetto di Occidente

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La strumentalità del concetto di Occidente

Con il primo contributo dell’analista Marco Ghisetti proseguiamo il nostro dibattito sul tema dell’Occidente. Ghisetti oggi espande le tematiche presentate nelle analisi precedenti e segnala il profondo legame tra qualsiasi tentativo di definire concettualmente gli “Occidenti” e l’inevitabile richiamo alla leadership statunitense.

L’Europa è occidente e/o parte del mondo/civiltà occidentale? Questa domanda è solitamente declinata in senso “essenziale”. Ovvero, si definisce che cos’è essenzialmente “occidente” o il mondo occidentale; una volta definito, si controlla se l’Europa calza all’interno di tale definizione; in caso affermativo, si conclude che l’Europa lo è o che fa parte del mondo occidentale. Ora, dal 1945 in poi sono stati proposti diversi tentativi di definire l’essenza di “occidente”, concetto usato per indicare principalmente l’entità della collaborazione geopolitica USA-Europa. Tuttavia, nessuno di essi si è rivelato, almeno fino ad ora, pienamente soddisfacente o, per lo meno, esente da contraddizioni. In ogni caso, quello che si vuole sostenere con questo articolo è che ogni tentativo di definire “occidente” in senso essenziale è destinato a fallire poiché la nebulosità e contraddittorietà con cui questo concetto è stato storicamente adoperato è intrinseca ai e voluta dai rapporti di forza interstatali che si sono instaurati dalla fine del secondo conflitto mondiale. Per questa ragione, ciò che accomuna le principali definizioni di “occidente” fino ad ora offerte non è che la struttura intellettualmente organica di tale concetto.  

Occidente: un concetto di difficile determinazione

A prima vista, “occidente” potrebbe sembrare un concetto declinato secondo un’accezione prettamente geografica, designando per esempio gli Stati che si trovano all’interno di un certo gruppo di meridiani. Tuttavia, tale definizione non riesce a spiegare per quale ragione Stati africani o del Sudamerica che si trovano geograficamente “in occidente” non sono considerati parte del mondo occidentale. Difatti, durante la Guerra Fredda, è stato definito come occidente il raggruppamento degli Stati nordamericani ed europei che per cultura politica ed istituzionale erano le democrazie che si trovavano in opposizione al mondo comunista, che appunto era orientale. La conquista dell’Europa e la sua divisione da parte di due potenze extraeuropee in due blocchi contrapposti anche ideologicamente aveva portato alla designazione degli Stati facenti parte dell’Alleanza Nordatlantica come occidentali, mentre quelli che facevano parte del Patto di Varsavia come orientali.

Il crollo inglorioso del comunismo storico europeo ha comportato l’estensione dell’Alleanza Nordatlantica e della liberal-democrazia a paesi precedentemente socialisti e orientali, cosa che ha elevato tali paesi al rango di occidente. Attraverso questa interpretazione, Stati europei che non si affacciano né sull’Oceano Atlantico né tantomeno sul mare sono stati definiti “nordatlantici”, e per estensione occidentali. Già Stati mediterranei quali l’Italia, la Grecia, la Turchia erano considerati nordatlantici e occidentali; a seguito dell’estensione verso est della NATO anche Stati quali l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia e Stati quali l’Ungheria, la Cecoslovacchia, ecc. lo sono stati, nonostante fossero precedentemente ritenuti, rispettivamente, baltici e continentali e perciò orientali. Altri paesi dell’ex blocco comunista e orientale, come la Russia e la Bielorussia, sono tuttavia rimasti orientali, poiché non si sono pienamente evoluti in senso liberal-democratico e fanno parte di un’altra alleanza militare. Nelle prospettive geopolitiche post Guerra Fredda, Huntington vedeva infatti nella NATO uno degli scheletri portanti della Civiltà Occidentale (con un’eccezione per la Turchia). Insomma secondo questa definizione l’appartenenza all’Alleanza Nordatlantica sembra essere pressoché equivalente all’essere occidentali (Huntington).

I nuovi Occidenti

Una più recente caratterizzazione del concetto di “occidente” è stata proposta da Steve Bannon come “civiltà giudaico-cristiana”, chiamata a combattere la civiltà islamico-confuciana, che starebbe minacciando le radici giudaico-cristiane dell’Occidente. Un’altra recentissima caratterizzazione di “occidente” è quella offerta da Russel Berman, che definisce occidente non tanto nel senso nordatlantico, ma principalmente giuridico-istituzionale, di cui perciò fanno parte le democrazie liberali del Vicino ed Estremo Oriente (secondo Berman: Israele, Corea del Sud, India, Taiwan, Giappone), che secondo l’autore sono attualmente chiamate a stringersi a coorte contro il revisionismo e la minaccia poste dagli Stati autoritaro-dispotici asiatici (Russia, Cina, Iran, Corea del Nord).

In ogni caso, a prescindere dai vari dettagli di queste diatribe di tipo essenzialista, non si può non notare che il concetto di “occidente” si sia rivelato essere un concetto non solo nebuloso, ma anche elastico e contradditorio. Per esempio, se la caratteristica essenziale di “occidente” è essere nordatlantici (Huntington), non si spiega perché vi vengano inclusi Stati prettamente continentali o mediterranei; se la caratteristica essenziale di “occidente” sono le radici giudaico-cristiane (Bannon), non si spiega per quale ragione Stati cristiano-ortodossi dell’Europa slava o islamici dell’Andalusia non sono considerati occidentali. Se l’essenza di “occidente” non è la geografia ma la liberal-democrazia (Berman), non si spiega per quale ragione vi vengano inclusi Stati in regime di apartheid o che finanziano colpi di Stato contro governi democraticamente eletti.

Un concetto funzionale alla leadership Usa

E tuttavia, è proprio all’interno di queste diatribe essenzialiste che è possibile trovare il filo conduttore che accomuna ed unisce tutti questi tentativi di definizione proposti. Non si può infatti non notare che gli Stati Uniti sono sempre stati centrali alla definizione di occidente (essi costituiscono cioè il perno), e di come il concetto di occidente (e per estensione, di mondo/civiltà occidentale) storicamente sia evoluto e sia stato declinato, dal 1945 in poi, in maniera funzionale al dominio statunitense nei confronti degli Stati subalterni, oltre che ad offrire la giustificazione ideologica per l’aggressione ai danni degli Stati non occidentali. Ciò che accomuna il concetto di “occidente”, in tutte queste definizioni, è che esso è stato, gramscianamente parlando, declinato secondo le necessità del caso e sempre in funzione giustificatoria ai rapporti di forza esistenti tra Stato dominante, Stati dominati e Stati non subalterni.

Detto altrimenti, l’elasticità e la contraddittorietà della superficie retorica con cui è stato caratterizzato il concetto di “occidente” dal 1945 in poi si rivela essere non altro che l’abito di Arlecchino con cui viene organicamente caratterizzata la subalternità di alcuni Stati agli Stati Uniti, abito di Arlecchino che viene indossato sopra il giubbotto antiproiettile con cui vengono giustificate le creazioni degli archi di crisi e delle linee di faglia tra membri e non membri e le aggressioni contro gli Stati non subalterni (occidente nordatlantico VS oriente comunista; civiltà occidentale VS civiltà islamica ed ortodossa; occidente giudaico-cristiano VS oriente islamico-confuciano; occidente liberal-democratico VS asiatico autoritario-dispotico).  

Torniamo quindi alla domanda iniziale: l’Europa è “occidente” e/o fa parte della “civiltà/mondo occidentale”? Siccome “occidente” è un concetto declinato organicamente, la risposta non è di tipo essenziale, ma è, appunto, organica, cioè interna ai rapporti di forza interstatali. Attualmente l’Europa è occidente perché subalterna agli Stati Uniti, che sono il suo Stato padrone. Questo significa che un’Europa-occidente è un’Europa-subalterna, e che perciò ogni processo di riconquista della sovranità europea non può che passare attraverso una fase di rottura intellettuale e culturale con il concetto di “occidente”, che è strumentale ai rapporti di forza esistenti. Tale rottura è necessaria, per dirla sempre con Gramsci, per concretizzare quello “spirito di scissione” che è il presupposto di ogni azione futura destinata a far incamminare l’Europa attraverso un percorso di emancipazione. Certamente, questa rottura da sola non sarà né sufficiente né sarà l’unica rottura concettuale doverosa, ma costituisce il necessario inizio.

Il dibattito dell’Osservatorio Globalizzazione

Marco Ghisetti è dottore in Politica Mondiale e Relazioni Internazionali e in Filosofia. Ha lavorato e studiato in Europa, Russia ed Australia. Si occupa principalmente di geopolitica, sia pratica che teorica, teoria politica e filosofia politica, con particolare attenzione per le correnti Neo-Eurasiariste e il pensiero comunitarista. Collabora con la rivista di geopolitica "Eurasia" e l'Osservatorio Globalizzazione.

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