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Ciccilla, una brigantessa tra storia e letteratura

Ciccilla

Ciccilla, una brigantessa tra storia e letteratura

Questa settimana proponiamo il “Ritratto” di una donna, Maria Oliverio detta Ciccilla, che è stata la più famosa donna brigante della Calabria e a ragion veduta anche del fu Regno delle Due Sicilie.

Maria Oliverio nacque il 30 agosto 1841 a Casole Bruzio, in provincia di Cosenza e come molte ragazze del Bruzio ottocentesco svolgeva l’attività di filatrice. A 17 anni, nel 1858 andò in sposa a Pietro Monaco, futuro brigante. All’epoca Monaco di Spezzano Piccolo era un rispettabile soldato del Reale Esercito delle Due Sicilie. Divenuto poi garibaldino, distintosi nelle battaglie di Capua e del Volturno, diventò disertore e si diede alla macchia nel 1862, quando venne chiamato alla leva obbligatoria senza avere le terre che Garibaldi aveva promesso ai soldati che lo avessero seguito. Ciccilla (soprannome datole da brigantessa in onore o in disprezzo di Franceschiello di Borbone) aveva una sorella più grande, Teresa che molto probabilmente ebbe una relazione clandestina con Pietro Monaco. Gli eventi fumosi di quel tempo impediscono una ricostruzione chiara dei fatti. Monaco, forse per un primo periodo agiva in combutta con il tenente colonnello Pietro Fumel, per sabotare altre bande filo-borboniche e probabilmente per obbligare Monaco ad agire, Fumel fece incarcerare per 2 mesi Maria, tanto è che questa fu liberata una volta che vennero tolti di mezzo Leonardo Bonaro e il capobanda Pietro Santo Piluso, detto il Tabacchera, entrambi filo borbonici.

Le voci del tradimento della sorella, unitamente alla diceria calunniosa che Teresa aveva fatto girare secondo la quale Maria si sarebbe concessa ai Carabinieri durante la carcerazione, fecero sì che la giovane Ciccilla uccidesse con 48 colpi d’accetta, durante il sonno, la sorella Teresa davanti ai nipoti (è la ricostruzione più probabile), che poi vennero affidati alla madre di Monaco. Ciccilla si unì alla banda dei briganti del marito nella Sila. Come Monaco reagì alla confessione della moglie non è dato sapere, ma Maria scalò presto le gerarchie di comando della banda: venne descritta come abile nel tiro e audace nell’azione. Ebbe un ruolo da protagonista, forse ancor più del marito, in due imprese clamorose: la prima fu il sequestro di 9 persone ad Acri il 31 agosto 1863, prendendo in ostaggio Michele e Angelo Falcone (rispettivamente il fratello e il padre del patriota ed eroe della spedizione di Sapri, Giovan Battista Falcone), i nobili Ferdinando Spezzano (che venne subito ucciso), Angelo Feraudo, Domenico Zanfini e  Carlo Baffi, due preti, i fratelli Francesco e Saverio Benvenuto e il Vescovo di Tropea, acrese di origine, Mons. Filippo Maria De Simone. La seconda, per importanza, fu il rapimento dei cugini Achille Mazzei e Antonio Parisio a Santo Stefano che fruttò alla banda la cifra record per i tempi di 20000 ducati (coi quali poterono compiere il rapimento di Acri).

Molte furono poi le azioni minori di furti, violenze, grassazioni, incendi, omicidi commessi dalla banda (che arrivò a contare 40 uomini) cui lei prese parte attiva. Il 1º settembre del 1863, assunse il comando delle operazioni contro il brigantaggio nella Calabria Citra e Ultra il Generale Giuseppe Sirtori, già Capo di Stato Maggiore dei Mille, Presidente della Commissione parlamentare anti Brigantaggio, persona vicinissima a Giuseppe Garibaldi che si occupò di sgominare la banda di Monaco che imperversava tra Catanzaro e Cosenza e che lasciò l’incarico dopo il processo alla Oliverio.

La vigilia di Natale del 1863 (notte tra il 23 e il 24), Monaco, dopo il cenone venne ucciso a Pedace, in una baracca nella valle di Jumiciello, a tradimento dal suo braccio destro Salvatore De Marco, “Marchetta”, con la complicità di Salvatore Celestino, alias Jurillu e Vincenzo Marrazzo, alias Diavolo, comprati dai nobili della zona, stanchi delle scorrerie. L’omicidio avvenne dentro un essiccatoio per castagne dove Maria e Pietro si erano addormentati. La pallottola che uccise Monaco, colpendolo al cuore, ferì Ciccilla al polso, Ciccilla che decapitò il cadavere del marito bruciandone la testa (onde evitare che venisse presa a guisa di trofeo dai piemontesi) e che fuggì nel crotonese con Antonio Monaco, Pasquale Gagliardi, Giuseppe Iaquinta e Ludovico Russo detto Portella, riparando nelle grotte verso Cotronei, a ridosse del fiume Neto. Qui il gruppo si diede alla macchia per 47 giorni, fino a quando il clan, che vedeva in lei il capo e a cui si era unita la banda Palma, venne sgominato e lei catturata a seguito del tradimento di Iaquinta dopo un severo scontro a fuoco. Il processo, che la vide imputata per 32 capi d’accusa, si tenne a Catanzaro davanti al Tribunale di Guerra: dei vari reati di cui era accusata negò tutto salvo il germanicidio, sostenendo che agli altri omicidi ed atti delittuosi era stata costretta.

La condanna fu esemplare: la morte, che venne poi commutata in carcere a vita da Vittorio Emanuele II, ergastolo da scontarsi a Fenestrelle. In realtà fino alla commutazione della pena capitale all’ergastolo arrivano le fonti ufficiali, poi probabilmente ha scontato la sua pena a Fenestrelle dove morì, si dice 15 anni più tardi, ma manca l’atto di morte e non si sa nemmeno se rimase a Fenestrelle per tutto il tempo (un’altra ipotesi è che poi sia stata scarcerata, essendo a conoscenza dei legami tra Monaco e i piemontesi).

La vicenda della Oliverio fu personalmente seguita da Alexandre Dumas (che su sollecitazione di Garibaldi aveva aperto un giornale a Napoli) sul proprio giornale “L’Indipendente”. Nel 1864 Dumas pubblicò il racconto in sei capitoli dal titolo “Pietro Monaco sua moglie Maria Oliverio e i loro complici”. La Ciccilla tratteggiata fa una figura meno meschina del marito -da cui Dumas era rimasto molto deluso– più feroce ma anche più politica: una donna spietata, votata all’illegalità ma in qualche misura pittoresca e non del tutto insensibile. Rimane suggestiva l’idea che furono le vicende dei briganti calabresi ad ispirare Dumas per il romanzo “Robin Hood il proscritto”.

La Oliverio letteraria trova posto anche nella novella di Luigi Stocchi, “Ciccilla o i briganti calabresi” del 1865: spietata ai limiti del sadismo, donna di potere e ambiziosa ma vero leader della banda, relegando presto Monaco ad un ruolo di contorno.

Nella letteratura ottocentesca Ciccilla trova infine posto nell’opera del verista Nicola Misasi dal titolo “In Magna Sila” : donna coraggiosa ma anche feroce che uccide brutalmente la sorella e che ha il coraggio di affrontare il marito furioso per l’assassinio dell’amante, avendo la meglio in un confronto fisico con lui.

Bisogna attendere gli anni ‘90 del XX secolo e la prima decade del XXI, con le opere storiche di Domenico Scafoglio e Simona De Luna, Maurizio Restivo, Valentino Romano, Peppino Curcio (rispettivamente Le donne col fucile: le brigantesse dell’Italia postunitaria, Ritrai  di  brigantesse. Il dramma  della  disperazione,Brigantesse: donne guerrigliere contro la conquista del Sud (1860-1870), Ciccilla. Storia della brigantessa Maria Oliverio del brigante Pietro Monaco e della sua comitiva) per avere una visione meno stereotipata e meno manichea della Oliverio. Globalmente il personaggio è strategicamente capace, avvezzo ad una vita di fatica e sa fare buon uso delle armi bianche e da tiro, terribile coi traditori, sicuramente assassina, combattiva con i soldati piemontesi ma fu mite verso gli ostaggi e gli innocenti. Perfettamente integrata nella banda, era persona di assoluta fiducia di Monaco e sovente ne faceva le veci.

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Laureato magistrale in Scienze Filosofiche all'Università degli Studi di Milano, è attualmente consigliere comunale nel paese di Cesano Boscone.

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