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Sultan Galiev: il protagonista dimenticato della Rivoluzione Russa

Galiev

Sultan Galiev: il protagonista dimenticato della Rivoluzione Russa

Torna la rubrica “Ritratti” con una nuova descrizione ad opera di Andreas Massacra, oggi dedicata a Mirsaid Sultan Galiev (1892-1940). Questi fu uno dei protagonisti meno conosciuti della Rivoluzione Russa, di cui interpretò la genesi in chiave di riscatto anti-coloniale e di rilancio delle prospettive dei musulmani dell’Impero russo nella costituzione dell’Unione Sovietica socialista.

Per questa settimana abbiamo scelto come personaggio da descrivere brevemente un protagonista, dimenticato, della Rivoluzione Russa, Mirsaid Sultan Ali Oglu, meglio noto come Mirsaid Sultan Galiev. Non è un caso perché lo studio di questo personaggio invita a guardare la Rivoluzione anche come emancipazione anti-coloniale e fornisce l’esempio di come già durante la rivoluzione fosse sentito il problema politico del colonialismo (e del semi-colonialismo) e delle società ad esso soggette ma non per rivedere e scusarsi moralemente del passato, o per chiedersi assurdamente se gli studi bizantini siano o meno soggiogati da un’ottica colonialista (il Byzantine studies for North America ha pubblicato recentemente questo annuncio: “Annunciamo un’iniziativa per decolonizzare gli studi bizantini. Vi invitiamo a riflettere sulla seguente domanda: gli studi bizantini sono una disciplina colonialista? Forniremo forum per la discussione e lo scambio di strategie pedagogiche per gli incontri virtuali autunno.”) ma per consentire lo sviluppo di modelli socio-politici differenti rispetto a quelli del passato.

Alì Oglu nasce il 13 luglio 1892, nel villaggio di Elembetievo in Bashkiria, figlio di un insegnate, risulta il più dotato dei suoi 11 fratelli nello studio. Nel 1907, entra nella scuola di formazione per insegnanti di Kazan, che è anche un luogo di incontro di idee rivoluzionarie, nazionaliste e socialiste. Negli anni successivi, si dedica al giornalismo scrivendo sia in russo che in tataro, lavora come insegnante e bibliotecario avendo come riferimenti gli jadidisti e i movimenti di emancipazione dei musulmani all’interno dell’Impero Russo. Pochi mesi dopo la Rivoluzione di febbraio, partecipa alla Conferenza di tutti i musulmani a Mosca ed è eletto segretario del Consiglio musulmano di tutta la Russia, fondando il Comitato Socialista musulmano di Kazan. Unitosi al partito bolscevico nel giugno 1917, in ottobre, prende parte al comitato militare rivoluzionario di Kazan e ne dirige la Scuola Militare.

A livello pratico la sua azione politica è volta a: la creazione di un esercito rivoluzionario proletario che fosse una vera “classe sociale” organizzata, gerarchica e altamente politicizzata, in grado di sostituire il proletariato indigeno, di fatto assente come forza motrice rivoluzionaria; allo sviluppo di un Partito comunista musulmano russo in grado di preservare l’autonomia del movimento rivoluzionario musulmano così da evitare lo sciovinismo russo che fu evidente durante lo zarismo; alla creazione di una Repubblica Socialista del Gran Turan entro i confini della Russia sovietica (considerazioni che esprime nel 1919 al Secondo Congresso delle organizzazioni Comuniste del popoli d’oriente, in un discorso dal titolo: Zizn nacionalnostej, le Strade delle nazionalità).

Sviluppa, contemporaneamente ai suoi incarichi e alla prassi rivoluzionaria, anche le sue riflessioni teoriche (nello scritto appena menzionato che si può ben dire funga da manifesto politico del sultan-galievismo) sul progresso della Rivoluzione nelle zone musulmane del fu Impero, dunque una teoria rivoluzionaria che si attagli al tessuto culturale turco, profondamente diverso da quello russo. Il punto di partenza della sua riflessione è che in mancanza di uno specifico proletariato tataro, tutti i popoli del centro-asia sono da considerarsi come oppressi, cioè i proletari colonizzati. La peculiarità dell’Islam, è la sua giovinezza che conferisce ancora alla religione una spinta propulsiva, tenendo conto che nell’Islam tataro vi sono forti basi da cui far partire una rivoluzione anche culturale socialista, e cita ad esempio: l’obbligo dell’istruzione, del lavoro, il divieto di proprietà privata su terre, acque e foreste e il forte sentimento di solidarietà all’interno delle comunità. Pertanto è opportuno che l’Islam sia marxistizzato (de-spiritualizzato se così si può dire) e solo successivamente superato. Il punto più importante della riflessione sultan-galievista e che fa effettivamente scuola è che la direzione prioritaria della Rivoluzione non deve essere nè un solo paese, nè l’Occidente, bensì l’Oriente, perché la rivoluzione sociale e politica nell’oriente colonizzato e oppresso può beneficiare della spinta propulsiva delle rivolte anti-coloniali. Per cui le rivolte anti-coloniali sono il presupposto per le Rivoluzione Socialista che porterà anche la Rivoluzione in Occidente dato che il sistema economico e sociale occidentale si regge sull’imperialismo del capitale sulle colonie; sicché, caduto bruscamente il sistema coloniale, alla società capitalista dell’occidente mancherà il suo perno e con la crisi del capitalismo si innescherà la rivoluzione. Per Sultan Galiev il nazionalismo alla periferia degli imperi non è altro che la condizione della possibilità di un necessario rinnovamento dell’internazionalismo su scala globale.

Quando però il Partito Comunista musulmano perde la sua autonomia per divenire una sezione del partito bolscevico Sultan Galiev cade in disgrazia. La politica delle nazionalità che verrà attuata progressivamente a partire dal 1922 è diametralmente opposta a quelle di Sultan Galiev, in quanto porta alla formazione di unità politiche multiple, diverse per dimensioni e struttura, fondate su territori spesso delimitati artificialmente. L’idea di un Garnde Turan socialista viene spezzata realmente in territori separati da frontiere interne e da una differenziazione sempre più grande di idiomi e culture fino ad allora, tutto sommato abbastanza vicini.

La caduta di Sultan-Galiev avviene nel 1921. Viene arrestato a Mosca ed escluso dal Partito. È accusato di “cospirazione” per aver tentato di organizzare una rivoluzione in Oriente attraverso il lavoro clandestino con comunisti e non comunisti. Ancora nel 1923 in una lettera autobiografica dal titolo “ Chi sono io?” inviata a Stalin e Trozkij, che lui conosce personalmente, per perorare la sua causa scrive:  “Il successo della rivoluzione russa è giustamente spiegato dall’armoniosa alleanza tra gli interessi del proletariato russo, da un lato, e i movimenti per la liberazione nazionale e di classe sui suoi margini coloniali, dall’altro. In questo senso, la Russia mostra tutti i tratti di un grande campo di sperimentazione per la rivoluzione mondiale”.

Non riesce più ad essere reintegrato nel partito per cui, dopo qualche anno di carcere, il suo comunismo diventa anti sovietico: il nemico è la società industriale stessa che opprime le periferie del potere, anche in Unione Sovietica. Elabora la teoria del “materialismo energetico”, per contrapporre il suo comunismo a quello dialettico. In un saggio in tataro, andato perduto, le “Considerazioni sulle basi socio-politiche, economiche e culturali dello sviluppo del  popolo turco” sostiene la necessità di una creazione una Internazionale Coloniale Comunista alla guida della quale avrebbe dovuto porsi il popolo turco che già aveva esperito la Rivoluzione.  

Per citare lo storico Jean Paul Roux (Storia dei Turchi) “Ci crede veramente. Si culla nelle illusioni. I bolscevichi, suoi amici, parlano anche essi di fine del colonialismo, ma intendono tutt’altro; tra i turchi e i russi nasce un malinteso, non senza una buona dose di malafede da una parte, e di consapevole cecità dall’altra.”
Arrestato nuovamente nel 1928, viene condannato a morte del 1930, venendo poi fucilato nel 1940.

Ciò segna la fine di una esperienza di co-genesi: la co-genesi di una rivoluzione socialista nella “metropoli” e una rivoluzione anti-coloniale ai margini dell’impero. Ma Sultan Galiev ha anche lasciato dietro di sé un’eredità ampia e il cui eco si sentirà a pieno nella decolonizzazione degli anni ’50 e ’60, che a ben vedere trova l’immediato successore nella rielaborazione del marxismo fatta da Mao Tse-Tung.

1 – Edgar Morin: il filosofo della complessità.

2 – Sultan Galiev: il protagonista dimenticato della Rivoluzione Russa.

3 – Giacomo Brodolini, il padre dello Statuto dei Lavoratori.

4 -Pankraz Vorster, l’ultimo Principe-Abate.

5 – Jakob Moleschott: medico, filosofo e politico

6 – Derek Freeman: un antropologo tra natura e cultura.

7 -Leslie Groves: da West Point al Progetto Manhattan.

8 -Walter Bonatti, l’ultimo gigante dell’avventura

9 -Ciccilla, una brigantessa tra storia e letteratura

10 – La strada del coraggio di Gino Bartali

Tutti i “Ritratti” pubblicati dall’Osservatorio Globalizzazione.

Laureato magistrale in Scienze Filosofiche all'Università degli Studi di Milano, è attualmente consigliere comunale nel paese di Cesano Boscone.

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