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Geopolitica, economia, tecnologia: le grandi sfide della Germania di Angela Merkel

Germania

Geopolitica, economia, tecnologia: le grandi sfide della Germania di Angela Merkel

La pandemia ha rilanciato la centralità della Germania e della cancelliera Angela Merkel in Europa. Dalla sfida per la sovranità tecnologica alla mediazione tra Nord e Sud, Berlino è al centro di ogni tavolo negoziale e di ogni programmazione strategica in Europa. Ma come si posiziona la Germania tra la Francia, l’Italia e i Paesi “frugali” guidati dall’Olanda? Quali sono gli obiettivi di Angela Merkel? Ne abbiamo parlato con l’analista geopolitico e consigliere regionale dell’Emilia Romagna Gianni Bessi, sempre gradito ospite delle nostre colonne, nella seguente intervista.

Gli ultimi mesi sembrano aver riaperto delle faglie politiche, culturali e, in fin dei conti, storiche all’interno dell’Europa. Da un lato il blocco mediterraneo e sud-europeo, dall’altro i Paesi più legati alla cultura liberale di stampo protestante; in mezzo la Germania, ago della bilancia tra i due mondi e decisore di ultima istanza, e la Francia valorizzata dagli equilibri di potenze dell’Unione. In che modo, a suo parere, la crisi del coronavirus contribuirà a evolvere la geopolitica comunitaria su queste direttrici?

È la grande partita dell’Europa che si sta giocando il proprio futuro, che non è solo politica e non può essere giocata sul campo del consenso a breve termine, ma necessita un dialogo che ha bisogno di condivisione tra tutti i partecipanti. La Merkel ha le idee chiare del resto ha aperto la presidenza tedesca di questo importante semestre europeo con un discorso al Bundestag che ha tracciato con forza qual è l’obiettivo: «L’Europa non è qualcosa che semplicemente possediamo, ma è qualcosa che possiamo e dobbiamo formare e gestire. Europa è un ordine aperto e dinamico di pace e libertà, che dobbiamo e possiamo costantemente migliorare». L’Europa o qualsiasi istituzione o ente sono degli ‘organismi’ sempre in continua evoluzione. Questo lo insegna la storia, la geopolitica, la filosofia…e bisogna cercare sempre di conoscere, studiare e capire…

Faccia un esempio…

Chi è Angela Merkel? Oltre al suo curriculum ‘avventuroso’, figlia di un pastore protestante tedesco che decide di ‘emigrare’ dall’ovest democratico all’est comunista, oltre alla sua solida preparazione scientifica c’è da chiedersi: come ha formato la sua leadership? Sì, è la leader della potente Cdu, l’Unione Cristiano-Democratica e dei suoi fratelli e sorelle bavaresi, le cui radici affondano salde e profonde nella ricostruzione post-bellica; è una che – almeno a quanto appare al momento – sa evolversi, avendo conciliato il retaggio cattolico, con le altre confessioni tedesche, e queste con le istanze socialiste e ordoliberaliste. Forse è ottimista definire questa unione come un sincretismo, ma è uno slancio di cui c’è sia occasione che bisogno. Questi tre lustri dei suoi governi si collocano nel solco delle tradizioni e dei suoi predecessori, dal padre della CDU Konrad Adenauer a Willy Brandt con la sua Ostpolitick, da Helmut Kohl fino a Gerald Schroeder. E’ senza dubbio una faccia dello Zeitgeist e ha dato prova di aver promosso, oltre che appreso, il valore delle istituzioni centrali dell’Unione Europea come da tradizione tedesca, con una predilezione per quelle di tipo monetario. Del resto, non è un caso che la BCE abbia sede a Francoforte.

Si è parlato molto dell’Olanda. L’estremismo rigorista, che porta agli eccessi la dottrina dell’austerità di stampo tedesco, si unisce all’incentivazione delle dinamiche competitive nell’Unione, già visto in ambito commerciale e fiscale. L’Aja è una piccola Londra: liberale, individualista, desiderosa di spendere il meno possibile nell’Unione Europea. Quale ritiene siano state le conseguenze dell’azione dell’Olanda e dei suoi alleati sul progetto europeo?

Qui riprendo una parte della risposta della prima domanda che ho omesso: il ruolo della Francia. Il paese che più di ogni altro è stato – ed è ancora – coprotagonista nel determinare la direzione di marcia nelle istituzioni europee; ancora oggi ne rappresenta il polo “politico” più sensibile alle questioni di consenso intergovernativo. Le linee guida sostenute dall’Eliseo in materia di politica agricola ne sono una dimostrazione, avendo scelto di premiare certe categorie sociali sopra a qualunque considerazione “economicistica”. L’eclettica Germania non ha disdegnato questo versante, sostenendo ad esempio la produzione di latte bavarese, per la centralità della regione nello scacchiere politico interno ben più che in virtù di considerazioni economiche. Poi c’era il ruolo del Regno Unito che tendeva a controllare la ‘politica estera’ tenendo per sé il portafoglio di Mister Pesc per molti lustri e i favorevoli accordi sul budget ottenuti da Margaret Thatcher. Mi sarebbe piaciuto per inciso conoscere il parere di Iron Lady sulla Brexit; Lei protagonista negoziale durissima verso la Comunità Europea, ma che si battè con tanto di primo piano in t-shirt a favore dell’ingresso in Europa. Eccoci al ruolo dell’Olanda. L’unica potenza marittima e mercantile globale rimasta nell’Unione Europea ha preso il posto degno di Sua Maestà. I Paesi Bassi sono proiettati nell’anglosfera sia per storia, ricordiamoci sempre del ruolo di Guglielmo III d’Orange, che per affinità dei sistemi finanziario, societario e giudiziario. Mi suggerisce l’amico Onoranti, con cui sto condividendo su Startmag.it una serie di analisi geopolitiche sull’Europa, che il pensiero anglosassone ha trovato un punto di unione con quello continentale a trazione germanica sul tema del riduzionismo neopositivista proprio alle soglie del Novecento; da questo è nata la visione distorta che è homo oeconomicus, tutto calcolo e ragione… un’antropologia burocratica che nel vecchio mondo ancora stenta ad essere superata. Non mi stupisce quindi la ‘politica’ di Rutte.

Molto spesso l’Olanda è associata alla Germania nella dicotomia tra “poliziotti buoni” e “poliziotti cattivi”. In realtà le priorità di Berlino per l’Unione sono molto diverse: aprendo a programmi comuni per l’Unione e impostando la terna Mes-Bei-Sure la Germania rilancia la sua leadership politica anche o forse soprattutto proprio per lanciare un messaggio ai “falchi”?

Non so se la metafora del poliziotto buono e quello cattivo sia nella realtà una strategia pianificata. Tendo a occuparmi delle cose che conosco. Certo è che a Berlino, falchi o colombe, comunque sanno che in una fase dove gli Usa sono in crisi e della Cina meglio non fidarsi troppo, senza di noi anche la loro economia traballa. E’ risaputo che l’economia tedesca si basa su un apparato produttivo potente, risultato di un’armonia e di un equilibrato mix tra grande, media e piccola impresa. Questa ricchezza di modelli imprenditoriali si poggia e nel contempo nutre un tessuto sociale e una struttura territoriale, nei quali l’imprenditoria è intimamente infusa\amalgamata. Un modello di indubbio valore, e che meritoriamente potrebbe ambire a diventare un paradigma di sviluppo europeo. Ma con alcune cautele… Ad esempio tenendo conto di una lezione imparata durante la crisi greca e che possiamo riassumere con la frase “non si può fare i liberali solo col welfare degli altri!” Oppure, con un riferimento storico di poco anteriore, che alla Germania dovrebbe suonare ancora più familiare: il welfarismo in un solo paese non ha mai funzionato. L’unità europea e la globalizzazione, sono due partite che non si possono giocare se non rendendo elastici e permeabili i confini, sia sul piano politico che su quello economico. La mancanza di unità su uno dei due piani è inevitabilmente una frattura sull’altro. L’economia tedesca, italiana, francese o olandese sono solo esteriormente nazionali mentre nel loro fondamento partecipano, ormai da mezzo secolo, a una catena del valore marcatamente europea e anche internazionale. Gli stati nazionali sono una struttura geopolitica incompatibile con la nostra epoca come dimostrano l’estensione e le dimensioni dei players internazionali USA, Russia, Cina, India... L’Europa può essere protagonista solo armonizzando le sue anime e superando gli individualismi interni. Ma Roma non è stata fatta in un giorno…

Nelle ultime settimane lei ha profondamente studiato le linee guida politiche dell’ultima fase del quarto mandato da Cancelliere di Angela Merkel. La leader tedesca esce rafforzata dalla crisi del Covid-19? Quali ritiene siano le linee-guida principali della sua azione nel periodo successivo alla pandemia?

La partita in palio non è tanto la successione alla guida della CDU tedesca in vista delle elezioni del 2021 o l’opzione di un nuovo mandato di potere della cancelliera ma credo che la sfida sia ancora più alta. Per analizzare, studiare, capire questa sfida sto immaginando un viaggio con una serie di tappe pubblicate da Startmag.it (1) nello Zeitgeist dell’Europa, durante il semestre europeo a Presidenza tedesca. In questo viaggio mi accompagna un giovane professionista, il Ph.D Filippo Onoranti, che concentra il suo lavoro di ricerca sul tema della sostenibilità ambientale, cioè uno dei tre pilastri del discorso che Angela Merkel ha pronunciato il 19 giugno al Bundestag, insistendo su una prospettiva che intreccia le basi tecniche e scientifiche alle implicazioni economiche, sociali e culturali. Quindi partiti da Berlino, con le sue eccellenze, le sue contraddizioni, le sue pulsioni, e da lì siamo passati a Bruxelles per analizzare e con arroganza anticipare alcuni punti dell’accordo sul Recovery fund e cercare proprio di capire il destino e il ruolo della Germania nello scacchiere europeo ed internazionale. E questa analisi è in progress proprio mentre la Cancelleria si avvia alla prova più difficile: consegnare la sua eredità politica al giudizio della storia.

La pandemia ha portato a una forte enfasi sul concetto di sovranità. Berlino ha agito con grande flessibilità sul tema, promuovendo la difesa degli asset strategici e una visione di medio-lungo periodo per affrontare la crisi. Ritiene che la Germania potrà in futuro alzare l’asticella della sua programmazione strategica e tornare a pensare definitivamente da attore “geopolitico” compiuto?

Completamente nuova è la riflessione strategica che pone al centro il ruolo della Germania nello scacchiere europeo e internazionale. Abbiamo già riconosciuto il ruolo dell’apparato produttivo tedesco che già dall’epoca Bismark con il primato sull’acciaio, alla chimica nella prima metà del ‘900, fino all’automotive. Un patrimonio di innovazioni che fregiano i prodotti tedeschi di un marchio di qualità e affidabilità. Questa diffusa propensione alla ricerca di qualità su scala industriale ha consentito all’economia tedesca la conquista di importanti quote di mercato in tantissimi settori produttivi e il suo mostruoso avanzo commerciale. Ma proprio la Merkel evidenziato una preoccupazione sulla debolezza del sistema europeo e conseguentemente di quello tedesco che «la pandemia ha messo in luce con grande chiarezza […] in campo digitale, sia per quello che riguarda la tecnologia, sia per quello che riguarda i servizi». Con una scelta comunicativa forse discutibile la Cancelliera cerca di spostare la pulsione aggressiva del suo popolo su un altro fronte, e spende il termine “sovranità” per designare il progetto tecnologico tedesco ed Europeo. Si vede che conosce pure Freud. Solo uno sviluppo nel campo dell’innovazione tecnologica può consentire di fondare una solida e necessaria autonomia. Realizzare questa indipendenza digitale non significa che in Europa dobbiamo essere capaci di fare qualunque cosa, ma che dobbiamo essere in grado di decidere da soli dove e come impostare la realizzazione di una infrastruttura di dati europea sicura e affidabile e di costruirne in prima persona solo gli elementi portanti. La cybersecurity è fatta di persone e competenze molto più che di cavi e circuiti. In un’epoca dove difendere la proprietà intellettuale è sempre più difficile essere un passo avanti significa disporre di competenze progettuali così da diventare una risorsa necessaria a chi è vincente sul fronte materiale e della produzione di massa. Questo riposizionamento nella catena del valore globale sarà tanto più rapida – e sostenibile – quanto più sapremo servirci delle informazioni a nostra disposizione, coordinando strategie e prassi orientate alla riduzione degli sprechi e all’utilizzo di risorse a basso impatto. Tecnologie che per alimentare il volano del sistema migliorino programmaticamente il monitoraggio sui metodi della produzione e della distribuzione dell’energia e delle altre risorse ambientali. La sfida del progresso non potrà che passare dalla capacità dell’Europa, intesa come Ue, di mantenere quella posizione di primo piano nella cultura e nelle maestranze di estrema specializzazione. Nell’era digitale essere il modello da imitare vale ancor più che nel passato. L’efficienza può essere uno dei driver dell’attuale rivoluzione industriale, della trasformazione economica e quindi ecologica, ma tocca anche la forma democratica, la sicurezza e l’indipendenza della nostra società.

Per quanto riguarda l’Italia, quali ritiene siano le più importanti lezioni che il Paese e la sua classe dirigente devono trarre dalla gestione della crisi pandemica sul fronte della risposta economica e politica delle sue conseguenze?

A dimostrazione che l’Europa o è unita o non è, mi rifaccio alla testimonianza del settore dell’energia – che, vale la pena ricordarlo sempre, è il vero pane del mondo contemporaneo: il potente Ministro dell’Economia tedesca Altmaier a un workshop con gli amministratori delegati di 100 imprese italiane alla vigilia del vertice di Bruxelles sul Recovery Fund ha dispensato frasi molto ‘incoraggianti’ verso l’Italia.

Come anticipato su Startmag.it i soldi ci saranno, e in grande quantità, ma dovranno andare verso investimenti e impieghi a lungo termine, soprattutto sui tre assi del green deal: innovazione, ambiente e industria. Purtroppo qui, nonostante la solidarietà di Altmaier, una certezza: a oggi l’Italia non ha uno straccio di piano, un abbozzo di road map su come impiegare i fondi. E questa mancanza preoccupa i tedeschi perché se noi non stiamo al passo con le sfide del tempo, sanno bene che tale mancanza avrà un impatto sul loro sistema del valore e sulla domanda economica in generale.

Chi non accetta questa evidenza, chi sceglie di stare su altri segmenti della sfida per la sostenibilità economica, ambientale, sociale e culturale, preferendo la sterile prudenza degli slogan e dei facili veti, oltre a non produrre quel valore aggiunto legato all’innovazione tecnologica, si condanna a marginalità basse, a una prospettiva politica insostenibile a tutti i livelli, e all’unica opzione di mietere risorse tramite lo strumento della tassazione. Inoltre, una ridistribuzione attraverso gli incentivi favorisce solo chi può già accedere a prodotti di alta tecnologia, ma non consente di sviluppare competenze adeguate alla sfida. E così si consolidano le disuguaglianze in essere, restando ben lontani dal prevenire quelle che si profilano. Insomma basta helicopter spread of money!

(1) https://www.startmag.it/author/gianni_bessi/

(2) Gianni Bessi, consigliere regionale Emilia-Romagna del Partito Democratico (X e XI legislatura) e autore di “House of zar – Geopolitica al tempo di Putin, Erdogan e Trump” (Edizioni goWare 2020). Laureato in Scienze politiche. Dal 2011 al 2014 è stato vicepresidente della Provincia di Ravenna e dal 2001 al 2011 capo di gabinetto del presidente della stessa Provincia. Dal 2006 al 2011 è stato consigliere nel Comune di Ravenna. Mentre dal 1999 al 2001 è stato componente della segreteria tecnica dei ministri Enrico Letta e Paolo De Castro.

Clicca qui per leggere tutte le interviste realizzate dall’Osservatorio Globalizzazione.

Bresciano classe 1994, si è formato studiando alla Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali della Statale di Milano. Dopo la laurea triennale in Economia e Management nel 2017 ha conseguito la laurea magistrale in Economics and Political Science nel 2019. Attualmente è analista geopolitico ed economico per "Inside Over" e "Kritica Economica" e svolge attività di ricerca presso il CISINT - Centro Italia di Strategia e Intelligence.

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