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Emergenza sanitaria e agende politiche

Emergenza sanitaria e agende politiche

Il corona virus è veramente una minaccia per l’umanità oppure l’utile pretesto per imporre cambiamenti epocali in ambito sociale, politico ed economico? Con lo sviluppo della crisi sanitaria, etichettata come pandemia, sembra sempre più chiaro che il rischio per la stragrande maggioranza della popolazione sia estremamente limitato, e relativo ad un segmento esiguo e spesso in condizioni di salute già parzialmente compromesse. Nonostante ciò le misure draconiane basate sul distanziamento sociale, il divieto di mobilità, e sulla chiusura delle attività economiche sono state implementate con vigore, in diverse zone del globo, anche là dove la diffusione del virus fosse limitata. L’Italia, tra i primi e più colpiti paesi occidentali, ha portato queste misure a degli estremi tali che, se osservate criticamente con lucidità e obiettività, non possono essere giudicate ragionevoli e condivisibili.

Inoltre le politiche adottate destano grossi dubbi sulla propria efficacia, dato che la mortalità e la diffusione del virus sembrano non avere incontrato ostacoli in tutto il periodo del cosiddetto “Lock down”. Sembra lecito domandarsi se non sarebbe stato meglio cercare un modo di convivere con il virus, proteggendo si le categorie a rischio, ma lasciando che la maggior parte della popolazione sviluppasse una qualche immunità. D’altronde il virus non è mica la pioggia, da cui ti rifugi in casa e esci quando spunta il sole. Non possiamo sapere con certezza se questo virus scomparirà. Anzi le autorità sanitarie prevedono (profeticamente) nuove ondate, implicitamente avvertendo la popolazione in merito future soppressioni della socialità, fino a che un vaccino non sia disponibile. A chi dubita della ragionevolezza di queste scelte si risponde con il vecchio mantra di thatcheriana memoria “non c’è alternativa”.

Ma al di la delle valutazioni sull’efficacia è doveroso domandarsi se la cura sia stata peggio del male. Le conseguenze sociali, economiche, democratiche e psicologiche sulle popolazioni saranno enormi e di lungo termine. Le politiche adottate nell’emergenza sanitaria sono state dal punto di vista economico un vero e proprio suicidio, ampiamente prevedibile. La recessione si è abbattuta sul paese e porterà ad un aumento della disoccupazione, della povertà, dei fallimenti aziendali, con un drastico calo del reddito e distruzione dello stock di capitale. Dal punto di vista psicologico la popolazione ha vissuto uno shock enorme, una vera e propria “Vietnam collettiva”, le cui conseguenze psichiche di lungo termine devono ancora manifestarsi nella loro totalità. È estremamente preoccupante poi, lo svolgersi dell’azione politica, con la marginalizzazione del parlamento (spesso con l’appoggio dell’opposizione) e l’accentramento dei poteri nel presidente del consiglio, il quale a forza di DPCM, ha di fatto smantellato le principali libertà della persona garantite dalla costituzione e istaurato un terrore psico-sanitario. È proprio vero che non c’era alternativa?

Franklin Delano Roosevelt diceva che in “politica niente accade per caso”. Se il rischio sanitario è insufficiente a giustificare le misure draconiane, qual è il motivo per cui sono state implementate? Il motivo sembra celarsi dietro la volontà di spingere una agenda politica che imponga un nuovo stile di vita ed un nuovo sistema economico e sociale, fondato sul distanziamento sociale e sul primato della scienza come disciplina della vita. Il ritornello “Nulla sarà più come prima”, appare più un obiettivo che una previsione.

La pandemia è l’occasione per imporre un nuovo spirito del tempo incentrato su scienza e tecnica. La prima diventa, in effetti, la nuova religione, con i suoi riti, i suoi dogmi e i suoi sacerdoti che non accettano contraddittorio e smentita. Il paradigma tecnico dell’efficienza e della produttività senza scopo egemonizza lo spazio pubblico innalzando la tecnologia come generatore simbolico delle cose della vita, ovvero il mezzo di ogni fine, la soluzione di ogni problema.

Tutto questo è potuto accadere grazie a una campagna estremamente dura dei media, i quali hanno costruito una narrativa unica, in uno sforzo coordinato, che ha contribuito a diffondere il panico nella popolazione e l’angoscia negli individui. Facendo leva sull’atavica paura di morire della gente, il giornale unico del virus ha fomentato una narrazione tesa da un lato alla costruzione di un nemico comune, il quale funge da pretesto alla “retorica della guerra”; dall’altro a innalzare la scienza come autorità detentrice della verità, delimitando il campo del vero e del falso (fake news) nel discorso pubblico; e in ultimo a legittimare l’opera del governo. Opera che si fonda sulla necessità di debellare il nemico comune (il virus), giustificata da un bene supremo (la salute pubblica), e legittimata da un’autorità superiore (la scienza).

La distruzione sistemica causata dalle politiche sanitarie determinerà un nuovo paradigma economico e sociale. La crisi determinerà cambiamenti strutturali al sistema economico, che probabilmente sarà dominato dagli apparati industriali, già in forte ascesa prima della pandemia, i quali traggono ulteriore profitto e dominio da una società basata su distanziamento sociale e sul dominio della scienza (con le sue declinazioni specifiche). Si pensi a quei settori industriali che forniscono prodotti e servizi tecnologici, l’e-commerce, la robotica, le aziende farmaceutiche, e tutta quella economia che sorgerà a causa del distanziamento sociale (carte di credito, servizi di comunicazione digitale ecc.). Per questo tipo d’industria il lockdown è l’eldorado.
Il Corona sarà inoltre il primo virus nella storia che determinerà sostanziali cambiamenti del modo di vivere le relazioni, le aggregazioni e la socialità in generale. La norma sarà il “distanziamento sociale”, un’espressione già in sé ossimorica. Se la (presunta) sicurezza biologica degli individui non può essere garantita dalla tecnica scientifica (attraverso le vaccinazioni ad esempio) tutti gli altri aspetti vitali di tipo sociale, personale e psicologico, che generalmente sfuggono al calcolo quantitativo della scienza e pertanto degradati ad aspetti secondari della vitadevono necessariamente essere limitati e annullati al fine di garantire la probabilità massima (rischio zero) della sopravvivenza dell’unità biologica.

Sebbene sia arduo delineare con precisione i tratti del “nuovo mondo”, è evidente a tutti la loro formazione, rapida e poderosa, e le fondamenta culturali, filosofiche e politiche su cui essa si basa.

Classe 1990. Originario di Salerno (SA), è laureato in Economia all'università degli studi di Siena, e ha conseguito un Master in Economics & Business all'università Erasmus di Rotterdam. Ha lavorato come stagista presso il Netherlands Bureau for Economic Analysis e come Trainee presso la Banca Centrale Europea.

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