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Reductio ad Gretam

Cop26 Greta

Reductio ad Gretam

Reductio ad unum, riduzione ad uno. Una longeva tradizione della mentalità occidentale, sin da Platone per intenderci sul “longeva”, è quella di ridurre la complessità ad una semplicità. Ci sono buoni motivi pratici per questo: la nostra memoria di lavoro ovvero il tavolo degli attrezzi del pensiero di chiunque di noi, ha uno spazio limitato.

L’artigiano, nella sua bottega, ha centinaia di attrezzi, ma sul tavolo da lavoro metterà solo quei pochi che gli servono per il lavoro del giorno, per averli a portata di mano. Così noi mettiamo al massimo tra 5 e 7/8 fattori nella memoria di lavoro per fare ragionamenti. Meno fattori mettete, più facile il ragionamento. Più facile, più comunicabile, comprensibile e con gli artifici della retorica o dell’impressione visiva, la memorabilità.

In storiografia il problema è noto come riduzione al “Grande Uomo”, tic storiografico tipicamente anglosassone ovvero ridurre la complessità dei fatti con cause di lunga durata, complesse ed intrecciate, a Cesare, Napoleone, Hitler, Stalin, Trump, Putin, (Greta). I critici di queste tesi sul potere hanno i loro Big Man, ad esempio gli Illuminati, i banchieri ebrei, il Gruppo Bilderberg. Del resto, dalle nostre parti, siamo tutti tendenzialmente monoteisti. Tutti noi veniamo all’esistenza da una necessaria relazione tre due ma siamo pervicacemente convinti che l’esistente emana dall’Uno.

In questa operazione della riduzione dei fattori a pochi meglio ad uno solo, si compiono i peggiori misfatti cognitivi. Religioni, ideologie, immagini di mondo, teorie, leggi di questo o di quello, spiegazioni monocausali, domini disciplinari e molto altro, si basano tutte sulla “reductio ad unum”, tendenziale o effettiva. I misfatti sono sempre di due tipi.

Il primo è, dovremmo dire, “gnoseologico” ovvero relativo alle forme di conoscenza. Questo è un misfatto diremo “tecnico”, poiché il tanto va portato al poco, è chiaro che: a) ci perderemo dei pezzi per strada; b) opereremo delle scelte di priorità; c) non sono però mai però esplicite e chiare a tutti quali siano i parametri di queste scelte di priorità che a me possono sembrare ovvie e naturali ma a qualcun altro no. C’è sempre un apparato mentale che opera queste scelte e poiché non si discute mai di apparati mentali, finiamo col fare lunghe ed inutili discussioni su quello che risulta e me e non a te o viceversa. Questo misfatto lo compiamo tutti per le ragioni sopraesposte.

Il secondo misfatto compiuto nell’operazione è invece il lato puramente ideologico e deriva proprio dall’apparato mentale che opera la riduzione. Io scelgo quali fattori includere nella verità che vado ad esporti. Chiaramente, chi ha facoltà poi di comunicare da pochi a tanti, determina l’agenda pubblica dei temi e dei significati. Se la riduzione la facciamo tutti per ragioni meramente cognitive, il come lo fai e soprattutto il come lo comunichi ha invece ragioni ed effetti diversi. Da cui il dominio dell’immagine di mondo, della mentalità, dell’opinione pubblica e condivisa, da parte dei poteri. Da questo potere ne deriva ogni altro mentre molti sono convinti del contrario. Iniziarono i sacerdoti del culto pubblico cinquemila anni fa e da allora non se ne esce.

Ne consegue la copertina di Time. Qui abbiamo una ragazza simbolo della sensibilità e quindi lotta contro il cambiamento climatico. Cambiamento che non si sa bene come quantificare, ancora meno diagnosticare (umano? naturale? umano e naturale?), ancora meno come prognosticare (che accadrà? quando? che fare quindi?). E’ però molto utile per alcuni prelevare un singolo fatto dalla rete dei fatti interni al tema ecologico-ambientale, e ridurre il tanto del problema a quell’uno. L’utilità è creare consenso nell’opinione pubblica per poi condurre azioni selettive legate logicamente a quel singolo fatto, singolarmente diagnosticato e singolarmente prognosticato.

Ma quel singolo fatto è invece posto oggettivamente in una rete di fatti. Fatti che portano a decine di indicatori alcuni sintetici altri meno perché non tutto sta in numero-peso-misura. Tutti quei indicatori portano non solo al clima con le sue incertezze diagnostiche-prognostiche, ma ad un problema molto più grosso e complesso che in letteratura oggi ha nome: Antropocene. Ripeto per i distratti: Antropocene non è riducibile al cambiamento climatico. Non c’è da esser uno scienziato per capire che una popolazione umana quadruplicata in 120 anni, che oggi si organizza ovunque con le modalità dell’economia moderna che è una modalità essenzialmente entropica (massiccio prelievo di energia e materia, produzione di scarti di lavorazione, produzione di scarti dopo l’utilizzo), porta a modificare la stessa casa in cui vivi. La casa, non solo il suo clima. A riguardo sappiate che l’economia immateriale non è poi vero lo sia, ma soprattutto che se pure una parte di mondo si volge all’economia immateriale, la sua vita materiale che rimane quella di sempre andrà prodotta da un’altra parte di mondo. E ricordate che noi aspiranti “immateriali” occidentali siamo il 15% del totale umanità planetaria. Quindi è un gioco a somma zero.

Questo problema, l’Antropocenico, ha dei grossi nodi: 1) è complesso; 2) se quello climatico è da discutere i tanti possibili indicatori dimostrano che il tema in questione (Antropocene) non ha proprio nulla da discutere poiché è auto-evidente a logica e pluriconfermato se proprio si amano i dati prelevati dai fatti; 3) innesca in sede di prognosi molteplici problemi difficilissimi ovvero: a) problemi della forma moderna di economia; b) problemi politici sul suo eventuale cambiamento; c) enormi problemi geopolitici tra già sviluppati, sviluppandi e desiderosi di svilupparsi; d) quindi problemi sociali interni ai 200 stati del globo; e) quindi enormi problemi di mentalità, ideologia, verità, leggi, teorie, analisi, ruolo dei saperi tecno-scientifici e decisioni da prendere con la mentalità. Per qualità, il problema appartiene alla fascia “cambiamenti epocali” tipo transizione dalla caccia e raccolta seminomade alla stanzialità agricolo-pastorale che compimmo in migliaia di anni quando sul tavolo da gioco, ovvero il pianeta, eravamo in tutto max 8 milioni e non 8 miliardi, lasciando comunque non pochi morti prematuri per strada.

Eccovi allora quella che avrebbe dovuta esser la copertina di Time nel migliore dei mondi possibili, che non è il nostro. Qui solo 14 indicatori ma ce ne sono molti e molti di più che mostrano inequivocabilmente il problema reale e non quello ridotto, quello antropocenico e non tanto o solo quello climatico, quello complesso e non quello semplice, quello che non si vuol far sapere e quello che invece è utile far sapere, quello che produce smarrimento e non quello che produce certezze, quello che distrugge le ragioni del nostro modo di stare al mondo e non quello che serve per un nuovo impeto di crescita che remuneri il capitale.

Così va il mondo. Chi impone la riduzione cognitiva del mondo, domina il mondo. Quindi, amate Greta odiate Greta, odiate chi odia Greta o odiate chi chi ama Greta. Ma soprattutto, evitate di capire qual è il problema di cui Greta è solo la parziale e voluta riduzione. Conviene a tutti, forse. O almeno così ci sembra …

61 anni, professionista ed imprenditore per 23 anni. Da più di quindici anni ritirato a "confuciana vita di studio", svolge attività di ricerca da indipendente.Si occupa di "complessità", nella sua accezione più ampia: sociale, economica, politica, culturale e soprattutto filosofica. L'applicazione più estesa è in geopolitica. Nel 2017 ha pubblicato il libro: Verso un mondo multipolare, Fazi editore. Ogni tanto commenta notizie di politica internazionale su i principali media (Rai3, la7, Rai RadioTre Mondo, Radio Blackout ed altre testate on line). Fa parte dello staff che organizza l'annuale Festival della Complessità.

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