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Geopolitica dell’Eni di Enrico Mattei

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Geopolitica dell’Eni di Enrico Mattei

Nel contesto delle analisi dedicate a Enrico Mattei pubblicate in queste settimane dall’Osservatorio presentiamo, su concessione dell’autore, un ritratto della politica estera del presidente dell’Eni realizzato dal giovane analista Guido Dell’Omo e pubblicato nel saggio “Bella e perduta” curato da Leonardo Palma e dedicato alla storia della politica estera italiana.

Per quanto fosse conosciuto soltanto come il capo del complesso monopolio dei combustibili del suo Paese, Enrico Mattei era forse l’individuo più importante in Italia. Tuttavia egli preferiva rimane- re dietro le quinte, nel ruolo di un’eminenza grigia. La sua influenza spaziava nella politica italiana, nell’equilibrio della guerra fredda tra Oriente e Occidente e, indirettamente, nei rapporti diplomatici di un’importante potenza della Nato con il blocco comunista e i neutrali afro-asiatici.

Così, il giorno dopo la tragica morte di Mattei nei cieli di Bascapè, scriveva sul “New York Times” il giornalista Cyrus L. Sulzberger, riassumendo in poche parole quasi tutto ciò che rappresentava la figura di Enrico Mattei. In Italia Vanoni – ministro delle Finanze (1948-1954) e del Bilancio (1954-1956) – lo sostenne molto, mentre Lombardo del Psi – Ministro del commercio con l’estero dal gennaio del 1950 all’aprile del 1951 – e Morandi, uno dei leader del Psi fino al 1955, erano contrari ai suoi progetti che, all’epoca, venivano considerati a dir poco azzardati se non addirittura utopici.

De Gasperi era perplesso e non sapeva come gestire questo partigiano bianco dalla carriera folgorante[1], inoltre andavano aggiunte le pressioni delle grandi multinazionali americane. Lui, che la notte del 3 gennaio 1947 partì su un quadrimotore Skymaster che portava la delegazione italiana da Roma a Washington, sapeva quando fosse necessario l’appoggio statunitense. Alcide De Gasperi ricordava gli sforzi compiuti da lui e la sua delegazione, formata dalla figlia Maria Romana, dal direttore della Banca d’Italia, Domenico Menichella, dal capo dell’ufficio cambi, Guido Carli e dal ministro del commercio con l’estero Pietro Campilli, per assicurarsi la fiducia e il supporto degli americani.

Anticipando e facendo sue, forse, le parole pronunciate nel 1963 dall’ambasciatore Roberto Ducci: “[… with] Italy unable to be inde- pendent and Europe unable to proceed with a real integration, then the richest and most distant master is always the best[2], De Gasperi cercava di non infastidire oltremodo l’alleato d’Oltreoceano. Alla fine Vanoni, che rimarrà sempre vicino a Mattei, lo convinse e fu così possibile la nascita dell’Ente Nazionale Idrocarburi (1953). Anche tutta la finanza italiana, guidata da Giorgio Valerio, Presidente della Edison – allora il più importante monopolio industriale italiano – era contro Mattei. Antagonisti con cui il Presidente dell’Eni si scontrerà, senza esclusione di colpi, per tutta la sua carriera; all’epoca la Edison era alleata con l’industria petrolifera americana, a sua volta sostenuta dalla politica energetica dello Stato, e fu perciò un nemico non trascurabile e molto scomodo (per pochissimo non acquistarono l’AGIP per tre miliardi nel suo mo- mento di massima difficoltà).

Ma Mattei non si curava dei suoi nemici e detrattori, perché voleva portare a termine il suo obiettivo: fornire all’Italia un approvvigionamento energetico quanto più diretto, sicuro e diversificato. Era a conoscenza di quanto questo elemento fosse capace di influenzare la politica interna ed estera di una nazione; e di quanto queste fossero strettamente legate.

“Non c’è indipendenza politica sen- za indipendenza economica”, ripeteva spesso durante i suoi comizi. L’ex militante della Dc non si fece intimorire dalle sette sorelle e dai loro alleati italiani e non appena nacque l’Eni richiamò i tecnici dell’Agip, azienda che in passato fu incaricato di privatizzare, e riprese immediatamente le ricerche e le perforazioni. Per superare gli attacchi burocratici trasgredì a ogni regola (per la precisione a ottomila ordinanze): tutti i suoi dipendenti lavoravano di notte e quando mancavano i fondi era Mattei stesso a garantire i finanziamenti con le sue proprietà. Per l’assetto politico-economico internazionale l’avvento di un’azienda caparbia e talentuosa come l’Eni fu dirompente. Agli attacchi continui di Don Sturzo, che sosteneva gli interessi degli americani, Mattei rispose costruendo il metanodotto. L’ex partigiano e militante della Dc stava facendo a pezzi il sistema fino allora istituito dal monopolio delle sette sorelle e all’estero veniva considerato un anarchico sedizioso e traditore. Il primo grande passo verso lo scardinamento della regola imposta dalle grandi compagnie petrolifere internazionali partì dall’Egitto. Qui l’Agip avrebbe concesso un introito che sarebbe potuto arrivare fino al 75% anche grazie all’acquisto di una partecipazione nella Sociéteé Coopérative Egyptianne du Petrole. La promessa di Mattei era che in caso di insuccesso i costi sarebbero gravati esclusivamente sull’Eni. Eventualità non verificatasi dato che di lì a poco avrebbero scoperto un giaci- mento petrolifero ad Abu Rudeis, nella penisola del Sinai. Questi sono gli anni che porteranno alla crisi del Canale di Suez che oltre a suscita- re l’iniziativa, raccontata precedentemente, del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, portò a ulteriori riflessioni anche Mattei, che stava ragionando sul ruolo che l’Italia avrebbe dovuto giocare nel Mediterraneo. Infatti il 26 luglio 1956 Mattei era presente insieme a Nasser all’inaugurazione dei lavori di un oleodotto che sarebbe dovuto passare dal Cairo a Suez; nel contesto della decisione del leader egiziano di nazionalizzare il Canale propose a Nasser i servizi dell’Eni per costruire la diga di Assuan.

La proposta di Mattei fece storcere il naso agli americani per diverse ragioni, non solo perché il presidente del cane a sei zampe stava ritagliando per l’Italia un ruolo da protagonista nella partita energetica, ma anche perché offrendo di contribuire al finanziamento della diga di Assuan aveva di fatto tolto peso alla decisione degli Stati Uniti, che inizialmente si erano offerti di partecipare al progetto per poi tirarsi indietro a seguito dell’atteggiamento neutralista di Nasser.

Uno dei maggiori successi di Mattei corrisponde a quello che viene considerato uno tra i più grandi attacchi lanciati al sistema delle cosiddette Sette Sorelle: lo scardinamento della regola del fifty-fifty imposta dalle compagnie petrolifere angloamericane ai Paesi produttori di petrolio, secondo la quale questi beneficiavano solo del 50% dei profitti in cambio del rilascio delle concessioni di estrazione alle compagnie petrolifere straniere; senza contare che spesso la percentuale scendeva ben al di sotto.

L’astio nei suoi confronti crebbe esponenzialmente quando nel 1957, approfittandosi della crisi di Suez, prese contatti diretti con lo Scià di Persia, Reza Pahlavi, per proporre un accordo sulla scia di quel- lo fatto in Egitto. Mattei riuscì a consolidare ottimi rapporti con l’Iran, soprattutto grazie alla particolarità dell’accordo che lo Scià avrebbe poi accettato: il contratto segnò una novità strutturale nel mondo delle compagnie petrolifere che poi sarebbe stata replicata con simili metodologie anche altrove, come per esempio in Libia. L’Iran e l’Italia avrebbero costituito una società al 50%, che riconosceva il 50% delle royalties allo Stato iraniano ed il restante 50% diviso equamente tra l’Eni e l’ente nazionale petrolifero iraniano (National Iranian Oil Company). Quindi essendo la NIOC un’azienda di Stato, l’Iran beneficiava del 75% dell’accordo. Le Sette Sorelle lo consideravano un vero e proprio attacco al loro ruolo egemone sul mercato.

I rapporti tra Mattei e l’Iran miglioravano, quando insieme all’accordo firmato tra Eni e Nioc il 14 marzo del 1957, l’8 settembre dello stesso anno le due società fecero nascere la Sirip (Società Irano-Italienne des Pétroles). L’Eni promise di prendersi carico di tutte le spese di ricerca del petrolio di cui si sarebbe dovuta occupare la nuova società: la promessa era che in caso di scoperta di riserve e giacimenti petroli- feri sul suolo iraniano, questi ultimi avrebbero rimborsato le spese affrontate precedentemente dall’azienda italiana. È solo l’inizio della battaglia di Mattei contro la dipendenza forzata dal cartello delle grandi compagnie petrolifere. Con una pazienza meticolosa non solo ricostruì i rapporti con Teheran, ma riuscì a recuperare quelli persi con la Libia a causa delle guerre coloniali che l’Italia aveva intrapreso. Qui insieme al primo ministro Ben Halim aveva messo a punto una convenzione che avrebbe dovuto accordare all’Agip un’area di 30.000 km quadrati nel Fezzan per le ricerche petrolifere. Accordo poi fatto saltare dagli americani, stessa fine toccata a Ben Halim. Riuscì ad entrare nelle grazie del Re di Giordania e ad intromettersi nei rapporti fra la Francia e l’Algeria, che all’epoca era ancora colonia francese anche se colpita dai primi subbugli indipendentisti. Stessa cosa che incredibilmente riuscì a fare con la Tunisia, il Libano e il Marocco, allora partner esclusivi dei francesi.

Entrati negli anni ’60, Mattei ritenne che le condizioni politiche fossero mature per mettere a segno un altro colpo. In piena Guerra Fredda decise di partire alla volta di Mosca, dove firmò un importante accordo con l’Unione Sovietica per l’acquisto di greggio: Giuseppe Ratti, allora responsabile del servizio esteri dell’Eni, ricorda che quest’accordo riguardava tra il 25% e il 20% dell’intero fabbisogno dell’Ente nazionale idrocarburi. In cambio l’azienda italiana si sarebbe impegnata a esportare in Unione Sovietica 50.000 tonnellate di gomma sintetica dell’Anic, varie apparecchiature del Nuovo Pignone e 240.000 tonnellate di grossi tubi d’acciaio della Finsider[3]. Accordo che avrebbe anche aperto le porte del mercato sovietico ai prodotti di altre nostre impre- se. Subito arrivarono gli attacchi della stampa statunitense, che lo de- finì “traditore” in quanto accusato di mettere a repentaglio la sicurezza della Nato e del mondo occidentale. Enrico Mattei rispose alle critiche sia con interviste che durante i suoi innumerevoli incontri con ufficiali americani. La traccia era sempre simile: gli italiani vogliono “rimanere al fianco” degli Stati Uniti, ma l’aspettativa è dunque quella di “essere trattati da alleati, amici, e cioè alla pari non solo in teoria, ma anche e soprattutto sul piano economico”.

Insomma, Mattei era un personaggio scomodo, controcorrente, voleva un’Italia caparbia e forte. E aveva ben intuito quanto l’alleanza con gli Stati Uniti e la partecipazione italiana nelle strutture europee che si andavano formando fossero di primaria importanza per il nostro Paese. Voleva però che Italia e italiani fosse- ro trattati alla pari da chi ci vedeva innanzitutto come un Paese uscito sconfitto dalla guerra. Per questo era indicato da molti come un “traditore” che minava la sicurezza del fronte occidentale; nel mercato delle sette sorelle non c’era posto per un’azienda di un altro Stato. Questo perché, come accennato, il compito delle società petrolifere non si riduce a meri fornitori di petrolio, bensì a vere e proprie basi di intelligence di istanza nei diversi paesi del Medio Oriente e Nord Africa.

Il padre del cane a sei zampe stava guadagnando sempre più influenza e autorità in una zona dove inglesi, americani e francesi avevano fatto i loro comodi a spese degli abitanti, che ora invece vedevano nell’italiana Eni l’unica vera possibilità di trarre mutuo beneficio attraverso accordi con uno stato straniero. I rapporti che l’ente petrolifero italiano di Stato stava allacciando con l’Algeria per lo sfruttamento dei suoi giacimenti portò il fondatore dell’Eni a partecipare alla causa per l’indipendenza algerina, cosa che irritò l’OAS (Organisation Armée Secrète), l’organizzazione terroristica oltranzista di destra fondata nel 1961 a Madrid da Raoul Salan con l’anacronistico obiettivo di mantenere lo status di colonia francese per l’Algeria, che minacciò di morte Mattei con una lettera scritta e divulgata dai media internazionali.

Il 10 gennaio 1962 fu registrato il primo tentativo di sabotaggio all’aereo del Presidente dell’Eni: venne ritrovato un cacciavite nei serbatoi. Il 27 ottobre 1962 l’aereo con a bordo il Presidente dell’Eni, il pilota Bertuzzi e il giornalista McHale precipitò a Bascapè in provincia di Pavia. Nel 2005 il Prof. Donato Firrao, docente di metallurgia e preside della Facoltà d’Ingegneria presso il Politecnico di Torino, accertò che i passeggeri furo- no sottoposti ad una deflagrazione con un ordigno stimato in 150 grammi di tritolo. La morte del padre dell’Ente nazionale idrocarburi rappresen- ta uno dei più grandi misteri, ammantati da un velo di complottismo, del nostro Paese. Mattei insistette per tutta la sua vita: “Non possiamo più andare all’estero come poveri migranti che non hanno niente se non le proprie braccia. Vogliamo andare anche noi come imprenditori”.

Tratto da Leonardo Palma (a cura di), “Bella e perduta”, Idrovolante, Roma 2019, pp. 137-142


[1] Enrico Mattei, Scritti e Discorsi 1945-1962, raccolta integrale dall’archivio storico ENI, 2012

[2] Leopoldo Nuti, The Role of the U.S. in Italy’s Foreign Policy, The International Spectator, 38:1, 2003, pp. 91-101

[3] Enrico Mattei, Op. cit., p. 45;

Romano, classe 1995, laureato magistrale in Global Studies alla "Luiss Guido Carli" di Roma con una tesi dal titolo The natural gas revolution: how the end of the oil era is affecting geopolitical balances”. Lavora come analista nel settore dell’Energia. Ha collaborato con "Inside Over", "Il Giornale" e "Agenzia Nova".

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