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Porfirio Diaz, tra dittatura e positivismo

Porfirio Diaz, tra dittatura e positivismo

Nel ritratto di oggi, Andreas Massacra ci parla di Porfirio Diaz, dittatore messicano che traghettò il Messico tra l’Ottocento e il Novecento.

Non è facile coniugare sviluppo sociale ed economico e la dittatura di Porfirio Diaz in Messico è un esempio di come la crescita in un settore non sempre corrisponde a quella dell’altro. Analizzare il “porfiriato” e la complessa biografia di Diaz nelle intricate vicende politiche messicane della seconda metà del XIX secolo in modo sintetico non è semplice, perché la sua parabola lo vede vero e proprio protagonista per più di 50 anni.

Porfirio Mori Diaz nacque ad Oaxaca il 15 settembre 1830. Il padre Faustino Diaz aveva dapprima una attività estrattiva metallurgica ad Ixtlan de Juarez, poi fu colonnello durante la Guerra di Indipendenza Messicana e infine gestore di una locanda con relativo podere ad Oaxaca. Faustino morì nel 1833. Nel 1843 Porfirio entrò nel seminario di Oaxaca, raccomandato dal padrino e futuro vescovo di Antequera, Augustin Dominguez. Era un alunno brillante specialmente in latino e per aiutare la famiglia fece da precettore privato in questa materia per i figli dell’avvocato Marcos Perez. Fu proprio Perez a presentare al giovane Diaz l’allora governatore di Oaxaca Benito Juarez. Erano gli anni della guerra contro gli Stati Uniti e del tramonto della figura di Antonio Lopez di Santa Anna. Nel 1850, dopo aver abbandonato il seminario e aver studiato legge all’Istituto di Scienza e Arte di Oaxaca, divenne insegnante di diritto naturale presso il medesimo istituto e allievo di Benito Juarez che insegnava diritto civile. Nel 1854 scoppiò la Rivoluzione di Ayutla, condotta dai liberali, guidati politicamente da Juarez contro Santa Anna. Diaz prese parte alle rivolte che portarono alla fuga il Presidente e ricevette il comando militare di Santo Domingo Tehuampetec, ottenendo diversi successi militari nella Guerra della Riforma (1857-1860), combattuta contro i conservatori ribelli al nuovo governo liberale, raggiungendo il grado di Tenente Generale. Terminata la guerra divenne membro eletto del congresso per il collegio di Oaxaca nel 1861, lasciando però il seggio per tornare a dirigere l’esercito contro le ultime sacche di resistenza conservatrici.  Il governo Juarez non saldò però i debiti esteri e questo comportò l’invasione francese del 1862(Spagna e Inghilterra invece accettarono un accordo, i cosiddetti Trattati di La Soledad). Diaz difese con successo Puebla, fu fatto prigioniero, scappò e diresse la guerriglia ad Oaxaca contro i francesi e i conservatori, non permettendo a quelle forze di porre basi stabili nello Stato. Conquistò e poi perse la città, venne fatto prigioniero e fuggì nuovamente al sud del paese dove con i cacicchi locali organizzò un nuovo esercito con cui riprese Oaxaca alle truppe fedeli al nuovo Imperatore del Messico Massimiliano d’Asburgo (1867). Nel febbraio di quell’anno Napoleone III ritirò le truppe spinto dal parlamento e dalle tensioni sul confine renano. Diaz riconquistò definitivamente Puebla e Toluca, cosa che spianò la strada alla presa di Città del Messico. Juarez ricompensò Diaz, una volta finita la guerra, con una hacienda a La Noria unitamente al comando dell’Esercito Orientale, e lo sconfisse alle elezioni presidenziali di quell’anno. Una volta dismesso l’esercito dal governo centrale nel 1868, si dedicò agli affari: agricoltura e una fonderia di cannoni e munizioni. Nel 1871 Diaz si ricandidò insieme a Juarez e al Presidente della Corte Suprema Lerdo de Tajeda per la carica di Presidente. Juarez vinse nuovamente ma Diaz, complice il fratello Felipe, governatore di Oaxaca, contestò l’esito delle elezioni e si ribellò. Era l’inizio della Rivoluzione di La Noria che vide schierati con Diaz gli stati di Oaxaca, Guerrero e Chiapas. Quando Juarez morì improvvisamente nel 1872 per attacco cardiaco, la ribellione terminò e si andò ad elezioni, dove Diaz fu nuovamente sconfitto, questa volta da Lerda. Mai domo politicamente, nel 1874 venne eletto Deputato alle elezioni suppletive di Veracruz, località in cui si era trasferito per aprire una piantagione di zucchero. Nonostante non fosse un brillante oratore, si contrappose a Lerdo acquisendo molti sostenitori tra i militari cui il governo voleva tagliare stipendi e uomini. Altri scontenti di Lerdo si unirono a Diaz: rappresentanti e agenti dei governi stranieri e la Chiesa Cattolica, entrambi toccati rispettivamente dalle norme protezioniste e dalla tassazione che fu aumentata soprattutto per i ceti più abbienti. La campagna elettorale fu aspra e alle repressioni del governo, Diaz rispose con una nuova Rivoluzione, partendo dalla città di Tuxtepec. Dopo alterne vicende, grazie alla collaborazione di Justo Benitez e Manuel Gonzalez, nel 1877 Porfirio Diaz divenne finalmente, dopo tre tentativi e due rivolte, Presidente. Iniziò così la lunga stagione del “porfiriato”. Durante gli anni della guerra di occupazione francese Diaz era venuto a conoscenza della filosofia positiva e si ispirò ad essa per dettare le sue politiche: ordine, pace e progresso. Il primo punto era ottenere il riconoscimento degli Stati Uniti, il rapporto con i quali era incerto e teso dalla fine della guerra texana. La seconda questione da risolvere era per Diaz quella della messa in sicurezza del paese. Il Messico aveva attraversato in circa 60 anni 7 tra guerre e rivoluzioni e ciò aveva indebolito la capacità dello stato di controllare il territorio: compagnie di banditi e briganti attaccavano le vie di comunicazioni e i convogli carovanieri di merci. Rimobilitando nuovamente l’esercito e nominando militari di sua fiducia al governo degli stati, grazie ad un Congresso condiscendente, nel giro di un anno pacificò il paese e poté dare il via, dopo aver raggiunto “l’ordine”, al “progresso”. Ottenne il riconoscimento degli Stati Uniti e iniziò ad attrarre i primi capitali esteri nordamericani, dando come garanzia un paese stabile e molte agevolazioni fiscali e datoriali. Dopo aver represso nel sangue una rivolta dei lerdisti, fece in modo che venisse eletto Presidente nel 1880 Manuel Gonzalez, riservandosi il ruolo di Ministro dello Sviluppo e dell’Industria. Fu lui a sovrintendere ai lavori di espansione della rete ferroviaria e telegrafica, nonché a farsi promotore di una delegazione che visitò gli USA per attirare in Messico uomini d’affari, venendo ricevuto dal presidente Arthur in persona. Nel 1884 venne tranquillamente rieletto per la seconda volta Presidente e mantenne la carica per 35 anni, grazie alla modifica della costituzione.

 Questo periodo è noto come “pax porfiriana”. La cultura, la scienza, la tecnica e l’economia ebbero in Messico uno slancio come mai se ne ebbero e il paese diventò una nazione moderna. Dal 1880 al 1909 Diaz fece ampie concessioni agli investitori anglo-americani per la costruzione di una lunga rete ferroviaria che collegasse il paese, dando la possibilità di spostare lavoratori e merci in maniera più rapida e sicura, rispetto alle vetuste, e impraticabili in caso di maltempo, strade. Al prezzo però di espropri iniqui e forzati. Nel 1911, alla fine del governo Diaz in Messico vi erano più di 24000 km di strada ferrata.

L’espansione del sistema ferroviario era il presupposto per lo sviluppo di industria e commercio: l’industria mineraria è stata quella che durante il porfiriato ha ricevuto le maggiori attenzioni, in particolare quella legata all’estrazione dell’argento e dei combustibili fossili con le prime concessioni estrattive del petrolio. In secondo luogo, più per ordine temporale che altro, l’industria di trasformazione dai tessuti alla birra, dal vetro alla siderurgia. Per quanto concerne il commercio, la bilancia commerciale durante i primi anni del porfiriato era largamente in attivo grazie all’abolizione dell’imposta sulle vendite: argento, oro, gomma, animali da tiro, zucchero e caffè. In cambio venivano importati ferro e tecnologie per ferrovie, telefoni e telegrafi. Sul versante tecnologico venne implementata prima la linea telegrafica, che ricalcava quella ferroviaria, poi quella telefonica che venne prioritariamente utilizzata per i pubblici uffici, per la polizia e per i Rurales (gli equivalenti dei Ranger statunitensi ma molto meno rispettosi delle regole). Il sistema integrato di ferrovie, telegrafi e telefoni collegava le più grandi città messicane: Città del Messico, Veracruz, Puebla, Guadalajara, Monterrey, Oaxaca. Ultimo punto fu il settore energetico: grazie al capitale tedesco, sfruttando l’orografia messicana, vennero costruite le prime centrali idroelettriche, così da aumentare la produzione industriale. In questo programma di governo Diaz era coadiuvato da una squadra di intellettuali di matrice filosofica positivista ed economicamente aderenti al capitalismo del XIX secolo, i cosiddetti “Los Científicos”: membri della élite provinciale, nati a ridosso della caduta di Santa Anna, che avevano avuto l’occasione di viaggiare all’estero e che avevano fatto fortuna nel mondo finanziario e del commercio. Sostenitori di una idea tecnocratica, ambivano a eliminare le dogane interne, nonché la riduzione delle tariffe; attirare coloni e capitali stranieri attraverso una politica commerciale; migliorare l’istruzione pubblica e la giustizia. Infine, riformare la costituzione per consentire rielezioni successive del Presidente onde perpetuare il regime tecnocratico e oligarchico.

Gli indirizzi degli scientifici si allargavano anche ai campi della cultura e dell’istruzione: grande impulso fu dato allo studio della storia, per creare l’unità nazionale come frutto di fusione delle diverse culture del Paese; e della scienza con la fondazione di accademie e licei. Essendo l’istruzione primaria già obbligatoria, Diaz rese obbligatoria l’istruzione primaria superiore che fungeva da collegamento tra quella primaria e quella superiore, con annessa fondazione di scuole di formazione per insegnanti. Lo studio della storia fu accompagnato anche da un nuovo slancio artistico che recuperasse le forme d’arte precolombiane e le fondesse con gli influssi europei. Una obbligatorietà che però rimaneva in larga misura sulla carta, rimanendo un sistema elitista.

A livello internazionale fu innegabile che Diaz ottenne notevoli successi, se la situazione alla fine del porfiriato viene paragonata a quella del suo inizio: pagamento del debito estero e riconoscimento internazionale dovuto alla pacificazione interna (obiettivi raggiunti tutti entro l’ultima decade del secolo).

Ovviamente la “pax” aveva il suo rovescio della medaglia, “Pan o Palo” era il suo motto: la stampa fu controllata e messa sotto torchio con leggi molto restrittive per limitare le voci dissidenti; le zone rurali, per lo più a maggioranza indigena, vennero trascurate dal sistema di sviluppo e diverse furono le rivolte contadine causate dalle espropriazioni delle terre; i diritti sociali dei lavoratori erano pressoché inesistenti. Le zone di Chihuahua e dello Yucatan (con le popolazioni degli Yaqui e dei Maya) erano le più problematiche: in particolare i lavoratori agricoli sia al nord che al sud del paese erano costretti al cottimo e di fatto venivano pagati con buoni da spendere nelle haciendas in cambio di cibo, che però aveva un prezzo molto superiore a quello dei buoni. Le coltivazioni legate all’esportazione avevano fatto lievitare i prezzi dei prodotti destinati al mercato interno, cosicché i contadini erano perennemente indebitati verso il proprietario terriero. Infine, molti terreni erano stati espropriati per convertire le colture locali a quelle più redditizie per l’esportazione. Impossibilità di sciopero e cottimizzazione erano per altro caratteristiche anche degli impieghi in miniera e industria, dove i lavoratori messicani venivano sottopagati rispetto a quelli stranieri.

In aggiunta a ciò le leggi emanate dal governo, pur formalmente costituzionali, vietavano ogni manifestazione di opposizione politica che veniva intercettata e stroncata grazie alla polizia segreta.

Il sistema resse fintanto che le congiunture economiche permettevano una moderata ascesa sociale e una crescita economica generale, seppur disomogenea. La prima decade del Novecento fu l’inizio della fine del porfiriato, un regime che si considerava solido e ben fondato. La crisi del 1907: provocò un collasso della giovane industria messicana legata al mercato statunitense, determinando un aumento del tasso di disoccupazione e un calo brusco dei salari, causò un crollo delle esportazioni portando al passivo la bilancia commerciale; il crollo dell’argento generò una caduta del pesos messicano e la siccità diede luogo ad una diffusa carestia che colpì la popolazione. In questo quadro emersero i rivoluzionari Emiliano Zapata e Pancho Villa, che guidavano le prime rivolte contadine.

In una intervista al “The Pearson’s Magazine Diaz lasciò intendere che avrebbe consentito elezioni democratiche per il 1910, con un vero avversario politico: furono creati comitati di azione politica e i liberali (costituitisi nel Partito Liberale Messicano, in opposizione al Partito Liberale di Diaz) presentarono candidati per cariche elette dal popolo. Emerse la figura di Francisco Madero, proprietario terriero e uomo d’affari che coalizzò attorno a sé i malcontenti dei contadini e degli operai che, oltre a tutele sociali e salariali, chiedevano il ripristino delle libertà democratiche. Nel luglio del 1910 Diaz vinse le elezioni ma la Rivoluzione di San Luis (dal Piano di San Luis, che era il manifesto politico, ma non programmatico, di Madero era iniziata). A nulla valsero i festeggiamenti e il lustro dato al Messico durante le celebrazioni per il centenario dell’Indipendenza. Nel marzo del 1911 i rivoluzionari avevano preso le città più importanti e il governo Diaz si riscoprì senza appoggio popolare. Diaz, vecchio, quasi sordo e fisicamente fiaccato, rassegnò le dimissioni dopo la perdita di Ciudad Juarez, dimissioni ratificate dalla Camera il 25 maggio 1911. Diaz andò in esilio a Parigi, risiedendo vicino al Bois de Boulogne, viaggiando per tutta Europa e venendo ricevuto dai maggiori capi di stato e politici europei. Affetto da demenza senile si spense nel 1915. Dopo la “Pax Profiriana” e il tramonto del progetto politico/sociale approssimativamente positivista, il Messico piombò in tre decenni di turbolenze e violenze politiche.    

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Laureato magistrale in Scienze Filosofiche all'Università degli Studi di Milano, è attualmente consigliere comunale nel paese di Cesano Boscone.

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