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L’America in bilico aspetta il responso della Rust Belt

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L’America in bilico aspetta il responso della Rust Belt

Nell’anno della pandemia, della crisi economica e della grande incertezza, le elezioni Usa sembrano destinate a prolungarsi oltre i tempi: con un Paese mai polarizzato sul piano politico, economico e sociale come in questi mesi, la sfida tra Donald Trump e Joe Biden si risolverà con l’assegnazione degli Stati che furono decisivi già nel 2016.

Fatta eccezione per la probabile conquista dell’Arizona da parte di Joe Biden, la tornata presidenziale del 2020 ha mostrato una mappa elettorale estremamente simile a quella del 2016, in cui buona parte degli Stati degli Usa meridionali e del cuore del Paese (i “flyover States”) sono stati conquistati dal Partito Repubblicano, mentre le coste hanno visto la predominanza del candidato del Partito Democratico. Trump consolida la presa su Florida e Ohio, Stati storicamente cruciali in cui il Grand Old Party evita lo sfondamento avversario, Biden mantiene il Minnesota ma fallisce il colpaccio in North Carolina e Georgia, Stati in cui grazie all’ampia popolazione afroamericana il vicepresidente di Barack Obama sperava di piazzare il colpo decisivo.

In questa tornata, un elemento di incertezza è sicuramente legato alla necessità di contare le decine di milioni di voti espressi in anticipo, di persona o per posta. Sono circa 102 milioni, infatti, gli statunitensi che hanno deciso di esprime anticipatamente il loro giudizio, e questo influirà notevolmente su molte procedure di scrutinio, destinate a prolungarsi nei giorni a venire nel cuore della competizione elettorale, gli Stati industriali della Rust Belt vinti da Trump nel 2016 con poche decine di migliaia di voti di scarto.

Wisconsin, Michigan, Pennsylvania non finiranno gli scrutini oggi, e bisognerà attendere: con loro deciderà l’ex cuore industriale d’America, l’area geografica più colpita dalla deindustrializzazione, il simbolo del mito del “sogno americano” e del suo complicato rapporto con il mondo globale, che ha spostato altrove, verso la California, il motore propulsivo dell’economia Usa. L’emblema dell’affascinante e contraddittoria storia statunitense.

Al termine di un anno tanto turbolento, gli Usa proseguono nella loro fase di precarietà: e l’esito delle elezioni presidenziali segnala, tra le altre cose, che ci sono due parti del Paese che non riescono a comunicare tra di loro (costa e Stati conservatori dell’interno), che la pandemia e le sue conseguenze potrebbero separare ancora di più. Le cordate avversarie che cercano di scalare verso quota 270, il numero di Grandi Elettori necessari per vincere, dovranno necessariamente passare per quella regione che della vulnerabilità interna statunitense è diventata, agli occhi del mondo, l’emblema.

Dopo la pandemia e le tensioni sociali dei mesi scorsi, si percepiva nel contesto statunitense una grande atmosfera di precarietà. Il finale di queste elezioni è ancora aperto, e passa per la “cintura della ruggine” che alla politica chiede risposte per un destino sospeso tra declino e speranze di rilancio. Avrà avuto presa, quattro anni dopo, il richiamo di Trump agli sconfitti della globalizzazione, ai forgotten men, ai lavoratori dei settori maggiormente in crisi? O la svolta di Biden, che ha recuperato temi cari alla campagna di Bernie Sanders, saprà per le sue proposte pragmatiche sfondare in un bacino elettorale perennemente in fibrillazione che non è stato tra i vincitori del primo triennio trumpiano? Nello scrutinio dei voti rimanenti, giunti principalmente a mezzo posta, sta la risposta a questi quesiti da cui dipenderà il nome del futuro presidente. Ma le domande più profonde sul futuro degli Stati Uniti, dalla risoluzione del problema delle disuguaglianze alla questione della divaricazione tra interno del Paese e costa, sono rimaste fin troppo sullo sfondo in questa campagna elettorale nervosa e piena di colpi bassi. E accompagneranno come sfide ineludibili la futura amminsitrazione.

“AMERICANA” – Il dossier congiunto dell’Osservatorio e di Kritica Economica

  1. La Trumpnomics ha funzionato davvero?– di Andrea Muratore.
  2. La Cina assedia l’egemonia statunitense – di Davide Amato.
  3. Trump e la Cina: un braccio di ferro lungo quattro anni – di Gino Fontana.
  4. Non solo “Stato minimo”: come funziona la burocrazia negli Usa – di Lorenzo Castellani.
  5. La sporca guerra contro Cristoforo Colombo – di Andrea Muratore.
  6. Il peso elettorale decisivo dei cattolici americani– di Emanuel Pietrobon e Andrea Muratore.
  7. L’agenda di Biden per la politica estera statunitense – di Marco D’Attoma
  8. Il futuro delle politiche statunitensi in Medio Oriente – di Annachiara Ruzzetta
  9. “Consuma et impera”: la crisi ecologica secondo l’amministrazione Trump – di Francesco Giuseppe Laureti.
  10. Trump contro Biden: si scrive post-ideologia, si legge propaganda – di Camilla Pelosi.
  11. Continuità o transizione? Le elezioni Usa e la politica energetica – intervista a Gianni Bessi
  12. Come si sceglie il Presidente degli Stati Uniti – di Alessandro Catanzaro

Bresciano classe 1994, si è formato studiando alla Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali della Statale di Milano. Dopo la laurea triennale in Economia e Management nel 2017 ha conseguito la laurea magistrale in Economics and Political Science nel 2019. Attualmente è analista geopolitico ed economico per "Inside Over" e "Kritica Economica" e svolge attività di ricerca presso il CISINT - Centro Italia di Strategia e Intelligence.

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